mercoledì 24 settembre 2025

Biagio Conte, un racconto tra passato, presente, futuro e fatti prodigiosi

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

23 settembre 2025

Biagio Conte, una vita spesa per gli altri

Francesco Palazzo

 https://www.portadiservizio.it/2025/09/23/biagio-conte-una-vita-spesa-per-gli-altri/



Il giornalista napoletano Riccardo Rossi l’ho conosciuto tempo fa in cima all’imponente scalinata del Palazzo delle Poste a Palermo, in via  Roma, mentre assisteva Biagio Conte nel suo digiuno, non il primo e non l’ultimo. Poi l’ho incrociato a piazzale Anita Garibaldi, in occasione di un altro digiuno del missionario laico, nel luogo dove è stato ucciso don Pino Puglisi nel giorno del suo 56mo compleanno, il 15 settembre di 32 anni fa.

Biagio Conte nasce un giorno dopo, il 16 settembre. La cronaca ci racconta, e Riccardo lo conferma, che Biagio il missionario e Pino il sacerdote si incontrarono proprio la mattina dell’ultimo giorno di vita del parroco di Brancaccio, nei luoghi della burocrazia per perorare le loro cause, che poi non erano le loro, perché nulla di personale mai chiesero, ma quelle degli altri.

Un cantiere mai chiuso

Della vita di Biagio Conte ne riparlo oggi con Riccardo, proprio a due passi da dove è sepolto dentro la chiesa di tutti i popoli presso la sede della missione di via Decollati. La chiesa presenta tre porte, ci spiega Riccardo, gli ingressi per musulmani, cristiani ed ebrei. Apprendiamo che il luogo dell’attuale tempio, prima appartenente alle forze armate, era un deposito di armi e di mezzi militari.

Venni in questo posto per un reportage nel 2004, si lavorava per costruire. Non si è mai smesso. Oggi di fronte la chiesa si sta definendo una struttura che ospiterà un teatro e altri posti letto. Accanto abbiamo un altro luogo che dovrebbe contenere i lungodegenti. Qui la messa è la domenica alle 18 e il mercoledì alle 7.

Ciò che lo ha colpito di Biagio, sottolinea il mio interlocutore, è la radicalità nel mettere “a terra” il messaggio evangelico. Una volta, mi racconta, durante una celebrazione eucaristica, dopo il passo del vangelo dove si legge “Se qualcuno vuole venire dietro a me prenda la sua croce e mi segua”, Biagio, in pieno Covid, va in sacrestia ed esce con la croce in spalla, dicendo: “Vado a testimoniare, prendo la mia croce e parto”.

Una vita spesa per gli altri

Da quando è sepolto qui, ci viene riferito, tanti e tante si presentano anche per chiedere un miracolo, una guarigione o semplicemente per dialogare con lui. C’è un libro di dediche pieno. Chiedo a Riccardo. Hai avuto la sensazione di essere al cospetto di un santo? Mi risponde di sì senza esitazione, raccontandomi che più di una volta ha visto persone sanate nel corpo e nello spirito dopo un contatto con lui o una sua preghiera.

Mi rivela che durante il digiuno a piazzale Anita Garibaldi vide accostarsi a Biagio una donna e un ragazzo giovanissimo in lacrime. Quando andarono via gli raccontò che il giovane era stato in coma sino a pochi giorni prima, lui era andato in ospedale ed aveva pregato per il ragazzo. Pare che questo episodio sia conosciuto, secondo il punto di osservazione di Riccardo; infatti, mi dice, tanti vengono qua con familiari che versano in stato comatoso.

C’è pure l’episodio del batterista, ci racconta Riccardo, che durante la messa ha un attacco cardiaco, viene chiamato il 118, quel giorno il vangelo parlava della suocera di Pietro che guarisce dopo che Gesù la prende per mano. Biagio inizia a pregare, il musicista sta bene, i soccorritori lo riportano dentro perchè si era ripreso e lui ricomincia a suonare. Pare che Biagio abbia detto: “Il Signore mi ha ascoltato, gli ho chiesto che gli succedesse come alla suocera di Pietro”.

Poi, continua Riccardo, c’è l’episodio della donna gravida con delle macchie sospette sulle lastre che potevano rappresentare problemi per il nascituro, sparite dopo che fratel Biagio ha modo di pregare con lei e per lei.

Tante persone si sono riconciliate grazie a lui. Tanti hanno ridimensionato la portata di disavventure esistenziali. Ad esempio una ragazza che aveva perso il lavoro, ci dice Riccardo, ma era contenta perché aveva scoperto una grande dimensione spirituale ed era andata a riferirlo a Biagio durante il suo digiuno sotto il portico della cattedrale di Palermo. Riccardo aggiunge che erano in tanti e tante coloro che si presentavano durante il digiuno in cattedrale, rivelando episodi davvero fuori dall’ordinario.

Chi scrive registra. Del resto, è o no un grande miracolo quotidiano ciò che Biagio ha costruito in vita e che continua con ancora più forza a quasi tre anni dalla sua scomparsa? Da Biagio, riflette Riccardo, che aveva vinto una selezione per diventare un militare paracadutista e oggi accoglie i pellegrini in visita nel luogo dove il missionario laico è sepolto, “ho imparato che la vita va spesa solo per Dio. E che quando ci appare ostica, quasi insuperabile, dobbiamo affidarci alla fede e tutto cambia in meglio”.


L’incontro col Papa

Biagio stesso si riteneva un miracolato, stava sulla sedia a rotelle, si è alzato dopo un viaggio a Lourdes. Da allora iniziarono le sue “acchianate” a monte Pellegrino per ringraziare pure Santa Rosalia. Non si può non parlare della visita di papa Francesco il 15 settembre del 2018. Al pranzo alla fine sono entrati tutti, apprendiamo, anche quelli sui quali all’inizio c’erano dei dubbi perché privi del permesso di soggiorno.

Nella chiesa dove ci troviamo Francesco entrò con Biagio e pochi religiosi, per il Papa venne preparata una sedia piccola realizzata per l’occasione. Nella chiesa di tutti i popoli ci sono dipinti di un tunisino musulmano, in forma di ringraziamento per aver accolto un suo fratello, la via crucis è stata realizzata da un ghanese evangelico, i dipinti dell’altare da una cooperativa di ragazzi e ragazze. Mentre dialoghiamo entra una signora, Riccardo sottolinea che tanti non vogliono parlare ma avere un rapporto silenzioso davanti al luogo dove stanno le sue spoglie mortali.

L’eredità

Colpisce all’ingresso della chiesa il fonte battesimale, una scala in discesa e in salita con al centro una piccola vasca per ricevere il battesimo. Negli ultimi tempi tutto lo feriva. L’ultimo digiuno prima della morte fu nell’Oasi della Speranza, sulle colline della periferia di Palermo. Si nutriva soltanto con l’Eucaristia.

Il pane lo dava alle formiche che metteva nel giusto percorso, centinaia di colombi andavano a mangiare da lui, in missione educava i gatti a non attaccare i piccioni.

Al suo percorso si sono avvicinati in tanti anche silenziosamente. Apprendo da Riccardo che don Pippo Russo, un prete palermitano in pensione e che da giovane appartenne al movimento dei preti lavoratori, sino alla fine della sua vita prestò servizio, anche come infermiere, oltre che da parroco, nella missione di via Decollati.

Esco fuori e trovo un presepe sotto una capanna. Mi sembra il luogo giusto che possa giustificarne la presenza anche in un periodo estivo. Mentre lo ammiro penso ad una cosa che mi è rimasta impressa. Un giorno del maggio 2019, durante il digiuno nel luogo dell’assassinio di 3P, mi squilla il cellulare, penso sia Riccardo, è il suo numero. Invece sento la voce di Fratel Biagio. Ha letto in quel giorno il mio reportage sulla missione del 2004. Mi dice che si è emozionato rileggendo i nomi dei tre cani, Birillo, Speranza e Libertà, allora in missione, con cui avevo iniziavo il pezzo quindici anni prima. Caro Fratello Biagio, difficilmente dimenticherò quella voce densa di attenzione e piena di calore.


mercoledì 17 settembre 2025

32 anni dall'omicidio mafioso di don Puglisi e i suoi Cento Passi

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

15 settembre 2025

Don Pino Puglisi e le parole che non dimenticheremo, 32 anni dopo

Francesco Palazzo

 https://www.portadiservizio.it/2025/09/15/don-pino-puglisi-e-le-parole-che-non-dimenticheremo-32-anni-dopo/



Il 15 settembre 1993 era un mercoledì. Caldo come molti giorni di settembre alle nostre latitudini. Don Pino Puglisi quel giorno compiva 56 anni, essendo nato il 15 settembre del 1937. Nelle ultime ore della sua vita era stato visto da occhi belluini mentre chiamava da una cabina telefonica nei pressi della chiesa di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo.

Proprio di fronte a quel Centro Padre Nostro da lui fondato, voluto di fronte la chiesa parrocchiale e inaugurato all’inizio del 1993, presente il cardinale Salvatore Pappalardo. Quel Centro, che don Pino volle legare indissolubilmente alla comunità parrocchiale e che tanta paura fece alla mafia pur non prendendo – non c’era ancora l’euro – una lira di finanziamento, è ancora lì, in via Brancaccio 461. Pietra angolare povera e viva di profezia.

Gli ultimi istanti

Non si sarebbe festeggiato quella sera. Don Pino, sapendo che ormai era entrato nel mirino di Cosa nostra, aveva detto agli amici e alle amiche di non fare nulla. Solo a una coppia aveva detto sì, ma non lo avrebbero trovato se non in ospedale. “Tutto è compiuto”, si legge nel Vangelo di Giovanni.

La scena si sposta sotto casa di don Pino. Chissà cosa è passato per la testa di 3P negli ultimi minuti della sua vita. Non sono i cento passi del celebre film su Peppino Impastato quelli che separano quella cabina telefonica, vicino la chiesa di San Gaetano, dalla casa di Puglisi a piazzale Anita Garibaldi dove ci sono i mafiosi ad attenderlo per chiudere, pensano loro, definitivamente i conti. Ma sono a pochi giri d’orologio i due luoghi, pochi minuti. Lo stesso tratto di strada, era il 1996, quasi trent’anni fa, che ho percorso con un gruppo di ragazzi e ragazze di Brancaccio, alcuni universitari e universitarie, per rappresentare una via Crucis che avevo composto per loro e che ancora viene utilizzata nella chiesa di San Gaetano.

“Me lo aspettavo”

Era arrivato davanti casa don Pino, aveva già infilato la chiave nel portone quando sente i passi di due soggetti avvicinarsi. “E’ una rapina”, gli dicono, sottraendogli il borsello. “Me lo sarei aspettato” o “Me lo aspettavo”, risponde don Pino. E magari, innamorato com’era dell’importanza del dialogo, della parola ascoltata per aiutare l’altro o l’altra a orientarsi, avrebbe potuto anche sperimentare un ultimo tentativo di soluzione umana. Insomma, ragazzi, qual è il problema. Venite su e ne parliamo. E se non l’ha detto magari, come ebbe a ipotizzare uno di quelli che gli è stato più vicino negli anni di Bancaccio, potrebbe averlo pensato.

Ma quella canna di arma da fuoco che portava morte, soprattutto per coloro che hanno spento una vita santa, non per chi quella morte l’ha subita, bloccò quel possibile pensiero che avrebbe potuto trasformarsi in salvezza. Non per chi stava per cadere, perchè mai è caduto, ma per coloro che stavano per spargere il sangue di un martire su quel marciapiede. E dunque “me lo aspettavo”. Dietro, intorno e dentro al quale c’è tutta una vita. Fatta di una profondità che i mafiosi non potevano capire. Perché se ne avessero compreso solo un frammento, mai sarebbero stati mafiosi.

La Chiesa e il mondo

È possibile che quel “me lo aspettavo” sarà stato detto pure con quel sorriso ironico che spesso guizzava negli occhi, prima ancora che nel verbo, del parroco dalle orecchie a sventola e dalle mani grandi. Ma è un’ironia, che è l’atteggiamento tipico di chi sa volare alto, che atterra in quella sera di fine estate con gli occhi e la mente già diretti verso quella canna fredda, che si posa sulla sua nuca facendolo in pochi secondi cadere rovinosamente a terra.

Ancora vivo, ma con tutto il suo corpo e il suo essere più profondo già al cospetto di quella dimensione di vita altra e alta che ben coniugò, a Brancaccio, a Godrano, come insegnante, nel mondo vocazionale, dappertutto sia stato, con quella del mondo.

Rapporto Chiesa-mondo, l’asse portante del Concilio Vaticano II. Ricordo, nelle settimane successive all’autunno del 1990, cioè del suo esordio presso la parrocchia di San Gaetano, una sua frase che mi faceva notare che, sulla scorta del Vaticano II, la parola, ossia il luogo da dove si proclamavano le letture, stava nell’altare sullo stesso piano della mensa, cioè del mistero di fede.

Parole indimenticabili

Ci sono frasi che, nel momento in cui le sentiamo, non sappiamo che non riusciremo più a dimenticarle. Senza neppure riuscire a spiegarci il perché. Così come quelle, ero consigliere di quartiere eletto nel 1990 come capolista di minoranza nelle liste di Insieme per Palermo, ascoltate da don Pino che cercava, con pochi risultati concreti, di farsi capire dal consiglio, allora di quartiere, Brancaccio-Ciaculli, ora di circoscrizione. Anche se nulla o poco è mutato nel decentramento attuato, e non semplicemente parlato, a Palermo.

Difficile per me pure scordare la sua riflessione in occasione della prima riunione con i giovani della parrocchia. Riprendendo il titolo di un brano molto famoso e cantato in quegli anni, “Questione di feeling”, diceva a noi ventenni che nella vita non poteva essere questione di sensazione, di sentimento momentaneo ma di impegno profondo, di decisioni importanti, definite se non definitive, soprattutto per noi giovani. Lo guardammo quasi scandalizzati. Ma aveva ragione lui.

martedì 9 settembre 2025

Libera Palermo, tra memoria e territori

 Il MEDITERRANEO 24

8 settembre 2025

Libera Palermo: trent’anni di impegno tra memoria e giustizia sociale

Francesco Palazzo 

https://www.ilmediterraneo24.it/buone-notizie/libera-palermo-trentanni-di-impegno-tra-memoria-e-giustizia-sociale/

Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie è presieduta da don Luigi Ciotti ed è stata fondata nel 1995. Coordina più di 1600 realtà nazionali e internazionali. Le finalità sono quelle di promuovere i diritti di cittadinanza, la cultura della legalità democratica e la giustizia sociale, valorizzando la memoria delle vittime delle mafie.

Nell’anno di Palermo Capitale del Volontariato ne parliamo con Eliana Messineo, di Libera Palermo. Che opera nel capoluogo ma pure in provincia. Ci ricorda che la genesi di Libera va retrotadata ed ha come epicentro la Sicilia, Palermo, le stragi del 1992, tra Capaci e Via D’Amelio, e quelle oltre lo stretto del 1993. Il Coordinamento di Libera Palermo fu tra i primi a nascere. Si trova in un bene confiscato in quella che i palermitani chiamano Piazza Politeama e per fare questo nel 2008 si è trasformata in associazione autonoma. Adesso sta partecipando al Bando del Comune per avere rinnovato l’affido, in questo caso decennale, del bene. La sede del coordinamento è pure una bottega che è nata e vive, sottolinea Eliana, per promuovere i prodotti provenienti da Libera Terra, ossia da terreni confiscati alla mafia. Va ricordato che Libera è stata promotrice della Legge, approvata nel 1996, sull’uso sociale dei beni confiscati.

Negli ultimi 10 anni, puntualizza Messineo, si è dato ancora più spazio al coordinamento provinciale delle attività di Libera. Ciò ha comportato un rafforzamento del rapporto con le altre organizzazioni associative lavorando sui diversi territori, continuando la forte presenza nelle scuole e confermando i percorsi di memoria (che culminano il 21 marzo nella giornata di memoria di tutte le vittime di mafia). Ma c’è anche la giustizia riparativa del Progetto Amunì. Che consiste, precisa Eliana, nella messa alla prova di giovani condannati per favorire percorsi di ripensamento. La strada che si percorre da tempo, per fornire un’altra gamba all’antimafia oltre quella della memoria e del contrasto diretto, ha una linea d’azione che intende contrastare e affrontare le povertà educative nei luoghi dove nascono. Libera interviene sulle famiglie attraverso una coprogettazione che vede coinvolti comunità educanti ed associazioni. Come, ad esempio, l’ultimo progetto Effetto Volontariato all’Albergheria. Ma si è intervenuti, ci dice Eliana, e si interviene, pure nei quartieri palermitani dello ZEN e del CEP.

Messineo mette in evidenza che attraverso i contatti con le scuole Libera è presente in molti pezzi di territorio. C’è da considerare nel campo scolastico la Rete di promozione per la cultura antimafia con 100 istituti coinvolti. Poi altri progetti specifici. Come quello denominato Fuori dal giro, sul contrasto alle dipendenze, condotto nelle scuole, anche allo Sperone di Palermo. Alla Scuola Pertini, sempre allo Sperone, con l’Associazione Per esempio, sono stati supportati diversi percorsi educativi. Le persone che direttamente lavorano a Libera Palermo sono nove. Altre sedi di Coordinamento sono presenti a Catania, Siracusa e Trapani oltre i presidi esistenti in vari territori. Esiste un coordinamento regionale molto articolato. Libera Palermo, apprendiamo da Eliana, organizza assemblee periodiche con associazioni e singoli soci e socie aderenti. Poi vi sono i rapporti con le istituzioni e con le grandi organizzazioni aderenti a Libera, come ad esempio ARCI e CGIL. Il quadro è molto esteso, ce ne rendiamo conto dialogando con Messineo. Ci cita i campi settimanali di impegno e formazione sui beni confiscati alle mafie, denominati E!State Liberi!, dove si incontrano i familiari di vittime di mafia. Ad agosto si è concluso, ci rappresenta l’esponente di Libera, il progetto CORE (Comunità Responsabili) nel quartiere Albergheria di Palermo relativo al rafforzamento di reti giovanili.

Libera guida anche a Palermo un percorso di co-progettazione ricadente nel centro storico che vede coinvolte più di 30 associazioni. C’è anche uno sguardo al problema migratorio. Libera Palermo è impegnata a garantire l’autonomia dei minori stranieri non accompagnati. Il ruolo di Libera, sintetizza Eliana, è di facilitazione nel mettere insieme le forze presenti sul territorio, non necessariamente iscritte a Libera. Sullo sfondo sempre la memoria, le memorie. Soprattutto quelle che tendono per vari motivi a passare nell’oblio. Messineo ci ricorda ad esempio la Mattonella per Lia Pipitone fissata nel giugno di quest’anno nel luogo dove è stata uccisa, nel quartiere Arenella. Anche questo è il frutto di un lavoro comune con altri soggetti e con le istituzioni voluto da Libera Palermo. A conferma che la lotta alle mafie si può condurre meglio, e con più incisivi risultati nei territori, se si fa strada insieme.


sabato 6 settembre 2025

Santa Rosalia, il racconto a più voci dell’acchianata notturna

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

4 settembre 2025

Cronaca di una “acchianata”, percorso di fede tra le luci di Palermo

Francesco Palazzo

https://www.portadiservizio.it/2025/09/04/cronaca-di-una-acchianata-percorso-di-fede-tra-le-luci-di-palermo/?sfnsn=scwspmo 




 

Nel giorno in cui si ricorda l’eccidio mafioso che vide morire il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, il 3 settembre di 43 anni fa, proprio nelle stesse ore ogni anno, i palermitani fanno, e io tra loro, la “acchianata” sul monte Pellegrino verso la Santuzza. Di cui il 4 si ricorda il giorno della morte (era il 1170) e in cui le tante Rosalie palermitane festeggiano l’onomastico.

Non è il Festino del 15 luglio, fantasmagorico, brillante, con il pienone di gente dal piano del Palazzo dei Normanni al piano della Marina. Nella nottata tra il 3 e il 4 settembre, questa volta insolitamente fresca, il clima è più di riflessione, silenzio, in compagnia delle stelle, della luna e, caso raro, di qualche nuvola. Anche in questo 3 settembre 2025 il serpentone di devoti e devote che sale e scende è abbastanza trasversale.

Un contesto inusuale

Il contesto, per uno come me, “acchianatore” seriale alla luce del sole nei giorni in cui Rosalia non viene festeggiata, e dunque si incontrano poche persone nei tornanti verso l’alto e verso il basso, è inusuale. Non soltanto per i numeri ma anche perché di sera, di notte, di Palermo vedi le luci. Che delineano forme e immagini davvero belle da ritrarre.

C’è Julian vestito con un completino del Palermo e c’è una bambina con il palloncino rosso a forma di cuore. Don Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, ricorda Dalla Chiesa e le vittime del 3 settembre 1982, sottolineando il no alle mafie. Il vescovo saluta e abbraccia cordialmente e fraternamente molti e molte.

È la prima volta, superati i 60, che Mariagrazia e Sabina hanno deciso di fara il percorso a piedi, sono della parrocchia di Santa Rosalia. Per loro la santa è il legame con Palermo, sia religioso, devozionale che popolare. Paola sale con le stampelle, c’è andata pure a Lourdes. È un ex catechista di Acqua dei Corsari. Chiede salute e che si dia testimonianza cristiana ai giovani.

Un messaggio di speranza

Mi avvicino a don Corrado e gli chiedo com’è cambiato, in questi 10 anni in cui è arcivescovo, il rapporto con la santa. Mi dice che c’è intanto una conoscenza sempre più profonda, che lo appassiona per quello che è il suo messaggio di fede, soprattutto di speranza che dà alla città. E che la sente sempre presente nella sua vita, insieme a don Pino Puglisi e a Biagio Conte.

Per la città cosa chiederebbe il suo vescovo a Rosalia? Un senso di responsabilità maggiore per gli adulti nell’accompagnare i giovani – mi risponde – perché non si lascino nelle mani di predatori che li illudono. Dobbiamo dire loro – aggiunge – che la droga è morte e però noi dobbiamo dare loro altra sostanza.

Le voci di chi sale

Una ragazza e un ragazzo inglesi salgono mano nella mano. Le luci messe per l’occasione in alcuni punti abbagliano, ma è la città che rimanda forme accese che affascinano. C’è chi sale recitando il rosario, chi parlando di storie personali, chi non sbaglia un verbo, chi non va oltre il palermitano stretto. Rosalia è ancora lontana nei primi tornanti ma è pronta ad accogliere tutti e tutte.

Elena mi dice che chiederà tranquillità, serenità, salute personale e familiare e per gli amici. Ma poi evidenzia che “la storia della Santuzza può esserci d’aiuto nella prospettiva di indipendenza femminile, se è riuscita ad essere libera lei tanto tempo fa possiamo farcela pure noi”.

Due giapponesi si inerpicano fotografando tutto. Tiziana non è religiosa, ma ci tiene a dire che il rapporto con Rosalia è per lei importante, di stima, “perché vede che smuove le folle e le coscienze. Poi è una donna libera, quindi il suo spirito lo apprezza in toto. Dovrebbe illuminare le menti dei palermitani affinché amino di più la città”.

Un uomo mi chiede se è vero che ci siano ancora 27 chilometri per arrivare. La compagna se la ride per averlo preso in giro. Filippo ha la maglietta di Santa Rosalia realizzata su un suo disegno. Da quando è nato è un “acchianante”, i suoi genitori lo portavano da piccolissimo. Da 18 anni la fa da solo. Rosalia, credi o non credi, è lì – mi dice – come punto di riferimento per tutti. Collabora col Festino e ha realizzato la statua bianca della Santa che si trova in cima.

I volontari e le forze dell’ordine in tutto il percorso sono abbastanza presenti. Così come l’assistenza sanitaria. Rosalia, con un passato in Comunione e Liberazione, con la famiglia e il cane Baltica, sale per la prima volta il 3 settembre. Come donna libera è stata un esempio – afferma – chiede a Lei che i giovani possano rimanere e che ci sia un lavoro per loro e per tutti.

Norma è filippina, sorride sempre, la rispetta come protettrice della città e ha offerto anche le bavette dei suoi figli nati a Palermo.

Siamo quasi a metà percorso. C’è chi si ferma un attimo per riprendere forze. José Antonio Sabino è della Congregazione di Gesù e Maria ed è da quattro anni parroco a Nostra Signora della Consolazione di via dei Cantieri. Sono in 4, due colombiani, un messicano e lui. Che è alla quarta acchianata. Ha un viso e un sorriso empatici e accoglienti. Santa Rosalia è la patrona della parrocchia di sua madre in Venezuela. Anni fa, appena arrivato a Palermo, si è ammalato di Covid. È stato più di un mese ricoverato e ha chiesto alla patrona la guarigione.

Bisogno di pace

Ci sono tantissimi ragazzi e ragazze che salgono. Due suore fanno strada insieme. Una, Mena, è filippina, opera allo Sperone in parrocchia e insegna a scuola. L’altra, Lidia, è originaria del Benin, è infermiera, presta servizio presso una casa di cura ed è impegnata nella parrocchia di Santa Lucia al Borgo Vecchio.

Lidia chiederebbe, come ha detto il vescovo, sottolinea la pace nel mondo. Mena un aiuto per i ragazzi dello Sperone e le loro famiglie che spesso sono in difficoltà, coinvolte in storie di droga. Federica fa l’acchianata a piedi scalzi, come tanti, anzi tante, perché sono soprattutto donne ad andare senza scarpe. Di Santa Rosalia la colpisce il coraggio, chiede salute, serenità e pace.

Non è possibile evitare di riprendere le immagini di luce che provengono dalla città. Valentina sale col marito e col figlio piccolo nel passeggino. L’acchianata l’ha fatta l’ultima volta prima della nascita di Giuseppe, adesso che ha 5 anni ci riprovano. Per suo figlio chiede una buona condotta di vita, onestà, trasparenza e tanta pace.

In compagnia di don Natale

Un pezzo di percorso lo faccio con don Natale Fiorentino, parroco del Santuario dal settembre 2023. È un religioso del Don Orione, realtà che da 80 anni cura il Santuario. Il mio rapporto con lei – mi dice – è mediato dal Vangelo, nel senso che leggi il Vangelo e ritrovi dappertutto lei. Contemplazione, servizio, silenzio, amore della natura la definiscono secondo il suo punto di vista. Aggiunge che Rosalia può essere imitata da tutti, nelle case, nelle famiglie, nei quartieri, perché con semplicità ha vissuto il vangelo. Piuttosto che chiedere grazie dovremmo fare di più noi, chiosa. La vera devozione è l’imitazione dei santi. Chiediamo allora a Santa Rosalia – mi dice – di poterla imitare.

La sua è una parrocchia particolare. Il Santuario, sostiene don Natale, è una parrocchia che ogni giorno cambia parrocchia. I parrocchiani cambiano. La sfida – conclude don Natale – è che in pochi minuti devi dare un messaggio, una freccia d’amore del Signore nel cuore di chi viene, perché chi sale è già molto ben disposto.

Quel che conta è il viaggio

Sono quasi arrivato. Un ultimo sguardo su Palermo e già inizia la piccola discesa asfaltata verso il Santuario. Matteo lo trovo sotto l’ultimo pezzo di scala che porta all’entrata del Santuario. Abbraccia una grande statua di Santa Rosalia attorniato dalla sua famiglia e dai nipoti. Ha lavorato per tanto tempo in Germania, nei pressi di Stoccarda, adesso è in pensione ed è rientrato in Sicilia. Ed è qua, lo dice alla palermitana, per una “promisione'”.


La coda per entrare al Santuario è molto lunga. Scelgo di non varcarla perché questa volta conta il viaggio. Che ho fatto molto lentamente. Da soli si arriva prima, ma insieme si arriva meglio.

Chiudo il taccuino elettronico e inizio la discesa. Sino alla fine c’è ancora tanta gente in salita. Palermo la ritrovi giù. Nelle cure miracolose della Santuzza, ma anche quotidianamente nelle mani dei palermitani.

Concludiamo con don Corrado. Nel suo discorso iniziale chiedeva che la città sia più umana, più vivibile, luogo di incontri veri dove non prevalgano interessi personali. Ne saremo capaci? Abbiamo, al netto della protezione di Rosalia, ampi margini di miglioramento.