sabato 22 novembre 2008

Intellettuali e società in Sicilia

CENTONOVE
21 11 2008
A che servono gli intellettuali
Francesco Palazzo


Da più parti torna a farsi viva la questione del silenzio degli intellettuali in Sicilia. Qualcuno ha detto chiaramente di non credere al ruolo di trascinamento degli intellettuali. Tra questi, gettando uno sguardo al passato, potremmo citare Sciascia. Tuttavia, molti pensano, e scrivono, che se questo silenzio finisse, si potrebbe porre mano ai tanti guai in cui siamo immersi. Il dibattito, è bene ricordarlo, è abbastanza ciclico e non riguarda ovviamente la sola società siciliana. Ogni tanto spunta fuori questa storia degli intellettuali, per alcune settimane s’incrociano le “armi” del pensiero e della parola scritta. Poi si torna al quotidiano. Senza che niente sia cambiato. E del resto non può che essere così. E ciò accade perché si sconta, con tutto il rispetto per chi la pensa diversamente, un ritardo culturale antico. In sostanza, si continua a pensare che la società abbia bisogno di qualcuno che pensi per tutti, che formi le coscienze, che suoni la sveglia, che indichi le risposte alle più spinose domande. Abbiamo ancora bisogno di persone siffatte? E quando abbiamo pensato di averne bisogno, ed esse si sono rivelate in carne e ossa, hanno contribuito forse a spostare di qualche centimetro la comprensione e il cambiamento della realtà quotidiana? Con tutta evidenza, pare di no. E se ciò è accaduto ha riguardato una cerchia ristretta di soggetti e non il tessuto vivo di una società come quella siciliana. Il problema è che si ha ancora una visione elitaria, minoritaria, aristocratica, della cultura. Con questo termine s’intende, infatti, un sapere (che spesso non è un saper fare) circoscritto a poche individualità e staccato dal resto del mondo. Che cosa è in questo momento la cultura siciliana, che fattezze presenta? Sta nelle stanze degli intellettuali, sia che parlino sia che stiano in silenzio, o la troviamo in una sommatoria infinita, sempre da ricomprendere, di mille sfaccettature difficili da vedere? Le città delle nostra regione, la Sicilia intera, non stanno mai silenti. Parlano in continuazione, comunicano sempre qualcosa, in un flusso ininterrotto di decisioni e di modi di essere e di fare. Bisognerebbe intendere meglio le une e gli altri. Non auspicando la nascita o la scoperta di una o più guide intellettuali, oppure di quartieri generali da dove emanare direttive al popolo bue, ma spalmando la parola cultura, democraticamente, su tutta la società, per afferrare quale è la risultante, sempre provvisoria, del ragionamento complessivo. O meglio, cercando di scoprire quante culture ha un popolo come quello siciliano, in quali luoghi e in che maniera si esprimono. Cosa lasciano nel terreno della storia e della società negli anni e cosa trattengono. Forse, dopo aver fatto tale operazione, ci si renderà conto che non sono gli intellettuali (o gli scrittori) a produrre cultura, ma un intero popolo. E allora gli intellettuali (o gli scrittori), o il ceto medio riflessivo, apprenderanno cultura dalla parte restante della società siciliana. E non se ne sentiranno una parte staccata che deve far finta di capire tutto, standosene in silenzio o parlando, fate voi, anche quando niente hanno compreso. Se deve esserci cambiamento in questa terra, e certamente tanto va nel verso sbagliato, questo non può prefigurarsi trainato da presunte menti illuminate. Ma deve fare i conti con la società siciliana così com’è. Cercando di trovare in essa, e insieme con essa, i frammenti culturali, cioè schegge di vita vissuta, per mettere insieme qualcosa di diverso e di più civile. Se si farà il contrario, come sinora sempre accaduto, cioè se si penserà che pochi devono pensare e decidere per tutti, perché hanno letto più libri o sono più intelligenti, ecco che gli intellettuali, ammesso che esista ancora questa figura ottocentesca, potranno anche parlare sino a sfinirsi e a sfinirci. La storia andrà dove decideranno il 99.9 per cento dei siciliani. Che sono, piaccia o meno, i veri produttori di cultura, in quanto sono loro che hanno il timone dell’oggi e del domani tra le mani. Chi si vuole mettere in ascolto, che si senta un intellettuale o meno, cominci a farlo. Senza assumere atteggiamenti pedagogici verso chi si pensa non elabori pensieri e visioni del mondo e che invece, con nostra grande sorpresa, potrebbe donarci gli occhiali per guardare meglio.

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