venerdì 9 novembre 2012

La violenza sulle donne e la pubblicità.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 42 del 9 Novembre 2012
Pag. 46
Carmela, la pubblicità non c'entra
Francesco Palazzo
 
Quando accadono fatti come quello dell'uccisione della giovane liceale palermitana, cerchiamo parole e motivazioni su cui appendere crimini così atroci. E' umano. E allora assistiamo a un campionario di sociologismi, magari da approfondire, per carità, ma che spesso mi sembrano dei tentativi a buon mercato per trovare vie d'uscite dai labirinti mentali che certi accadimenti creano dentro le nostre coscienze. Subito dopo l'omicidio della giovane Carmela, abbiamo visto salire sul bando degli imputati pure la pubblicità che commercializza prodotti sbandierando corpi di donne. Addirittura il comune intende fermare tutte le campagne promozionali sessiste. Ora, a parte il fatto che semmai occorrerebbe prendersela, più che con i pubblicitari, con le donne che si fanno ritrarre e donano i propri corpi, ma davvero si pensa che ciò possa essere, anche lontanamente, collegato, o motivare, atti come quello accaduto in Via Uditore o i tanti che si verificano con sempre maggiore frequenza? Tutti questi omicidi o aggressioni dovrebbero essere compiuti da uomini che, vedendo pubblicità su pubblicità, giorno dopo giorno, alla fine scelgono una donna su cui scaricare la libido che le immagini succinte del corpo femminile provocano. Se cosi fosse, dovremmo assistere pure ad una strage di uomini, visto che questi ultimi compaiono sempre più, forse in misura maggiore delle donne, nei manifesti di cui sono pieni le nostre strade. Ma davvero vogliamo raccontarcela così? Ma non sono sempre i mariti, i fidanzati, i padri, ossia il cerchio delle conoscenze e delle parentele più intime a farsi carico di sferrare colpi su colpi, perseguitando sino ad annullare identità e vite? E cosa c'entra, con tutto questo, un gluteo posto in bella vista in una fiancata di un autobus, un decolté impresso in un tre per sei, una coscia immortalata in uno spot televisivo? Magari c'entra un'altra cosa. Che a fatica, noi maschi perbenisti, che andiamo in cerca di mostri per non leggerci dentro, riusciamo ad ammettere. E cioè che l'immagine che abbiamo delle donne della nostra vita è quella dei nostri nonni e dei nostri bisnonni. Che non ammazzavano perché le loro compagne, figlie, mogli e fidanzate stavano al loro posto. Un posto che però la cultura borghese non ha modificato, semmai aggiornato e reso più presentabile. Insomma, quanti, pur sentendosi moderni e rispettosi delle donne, magari partecipanti alle fiaccolate contro i femminicidi, non pensano che queste debbano, contemporaneamente, badare alla casa, ai figli, lavorare, fare la spesa, stirare, lavare, occuparsi delle cene per farci fare bella figura e tutte le corvée a cui millenni di storia le hanno destinate? Se voi pensate che tutto questo accada in via Oreto, vi sbagliate, perché succede soprattutto nei nostri quartieri bene e nelle nostre case accessoriate e all'ultima moda. Ah, non dobbiamo dimenticare che, per molti appartenenti alla cultura borghese, che non stanno in via Oreto e non guadagnano quanto quelli della via Oreto, il problema della fedeltà non è bilaterale. Le loro donne devono rimanere fedeli, loro possono passare da un'amante all'altra. Lo fanno perché vedono le pubblicità? Non diciamo sciocchezze. Va bene, allora, lo slogan, che contiene un impegno che deve essere di tutti, “fermiamo i femminicidi”. Ma fermiamo anche le analisi inconsistenti e le banalità. Perché non aiutano ad affrontare bene la questione e creano falsi problemi. Piuttosto, guardiamoci di più dentro, noi che pensiamo di esserne fuori da certe questioni. E domandiamoci, nella rude pratica quotidiana e non solo nell'esternazione di bei principi, che ruolo consegniamo alle donne della nostra vita. Per parte mia, continuerò a guardare serenamente le pubblicità che ritraggono donne. Così come quelle che ci consegnano immagini di altri esseri viventi. In fondo, quando c'era carosello ci divertivamo, non pensavamo affatto che fosse un crimine contro l'umanità.

2 commenti:

  1. Caro Francesco: analisi impegnativa, la tua. Condivido al 90%. E' vero che non si ammazzano le donne perchè c'è una pubblicità che mostra le cosce femminili. Ma è anche vero che certe pubblicità che mercificano il corpo delle donne non aiutano a vederle come persone, portatrici di diritti, autonomia e dignità.

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  2. Maria, non so. La pubblicità è un genere artistico che tende a colpire chi la guarda e mercifica tutto, nel senso che è fatta per vendere merci. Quindi vediamo il viso di un bambino accoppiato a quel prodotto, una donna gravida che sponsorizza quella marca, un'altra che propone un oggetto evidenziando una parte del corpo, un uomo mezzo nudo che veicola un altro marchio, pezzi di natura utilizzati per questa o quella reclamè, animali che magnificano le bontà di certi alimenti. Si può discutere questa o quella pubblicità particolare, ma in genere non penso che slogan e immagini ledano l'autonomia e la dignità degli esseri viventi. Molto più lo fanno altre forme relazionali quotidiane sommerse, vedi ad esempio le dinamiche familiari, ma non solo, che invece ci vanno giù pesante. Poi si potrebbe fare un ragionamento sulla vita ridotta a una serie di merci da vendere per aumentare il PIL, ma è un discorso che ci porta lontano. A presto e grazie.

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