giovedì 27 settembre 2007

Partito Democratico, candidato ma non troppo

LA REPUBBLICA PALERMO - GIOVEDÌ, 27 SETTEMBRE 2007
Pagina VIII
Metamorfosi di un elettore candidabile alle primarie
FRANCESCO PALAZZO




È inutile girarci intorno. Sono stato trombato agli albori della mia carriera politica all´interno del costituendo Partito democratico. Avevo deciso da qualche giorno di non andare a votare alle ennesime primarie senza sorprese possibili che, ecco, mi viene chiesta la disponibilità a entrare in lista per cercare di diventare uno dei 360 costituenti regionali del partito. A un mezzo no era seguito un sì. Avevo pensato: perché non andare a vedere le carte di un percorso politico che grida ai quattro venti di volersi aprire a esponenti esterni ai partiti? I parenti e gli amici, che avevano letto sul giornale il mio nome tra i papabili, già si erano informati a quale scranno di potere ero destinato. Cominciavano a guardarmi con occhi indagatori, per capire cosa ci avrei guadagnato. Dissolta con rassicuranti parole la diffidenza, avevo cominciato a spiegare, entrando nella parte e dimenticando le critiche che io stesso avevo pubblicamente formulato, l´importanza di un partito che fa votare i propri iscritti affinché eleggano i segretari politici nazionale e regionale. Certo, il solito nipote, un po´ arrogantello, che si sente chissà chi perché sfoglia qualche giornale, aveva obiettato che non era una grande prova di democrazia far votare la gente dopo aver imposto i candidati sicuri vincenti. Lo avevo licenziato su due piedi sottolineando la «complessità» della politica. Erano cose che non poteva capire alla sua tenera età. Incredibile, riflettevo durante il silenzio notturno che precede il sonno. Già era in atto la mia trasformazione in uomo di partito che tutto capisce, tutto sa e tutto giustifica sull´altare dei compromessi e degli accordi. Ma ormai il dato era tratto. Nel frattempo mi giungevano notizie di altre metamorfosi, simili o peggiori della mia. Erano altri uomini della cosiddetta società civile, contattati come me e ora anche loro «trombati». Potremmo costituire un club. Oppure formare una corrente di aspiranti democratici dentro il democratico partito. Ce ne sono già tante, una in più o in meno non scandalizzerebbe nessuno. Tranne un mio zio, che mi vuole un gran bene. Non riusciva a capire perché mai avrei accettato, contraddicendomi platealmente, di essere inserito in liste bloccate. Per intenderci le stesse della legge elettorale nazionale con la quale abbiamo votato nel 2006, turandoci il naso e tappandoci la bocca. Quella stessa che fa scegliere gli eletti ai partiti e poi chiama alle urne gli elettori e le elettrici. Ecco la critica che mi giungeva da sinistra, c´è sempre qualche saputello che pensa di scavalcarti e di fare il rivoluzionario. Sull´argomento, credetemi sulla parola, ho sfoderato tutto il mio estro riformista. Meglio fare piccoli passi, sentenziavo, mentre già si completava la mutazione genetica, che tentare invano di rovesciare il mondo da un giorno all´altro. Oggi vi facciamo votare per scherzo, domani vi faremo scegliere il colore dei gazebo, dopodomani anche quello delle schede. Poi, col tempo, si vedrà. Un passo dopo l´altro, senza premura. Ormai mi ero del tutto trasfigurato, la sera mi addormentavo tranquillo, senza più sensi di colpa. Poi, improvvisamente, il giorno successivo alla scadenza per la presentazione delle liste, mi viene comunicato che l´apertura alla società civile nel Partito democratico era prevista, per il genere maschile, solo nei giorni dispari. Per le donne anche in quelli pari, ma solo perché era un´imposizione. Malauguratamente, il giorno in cui si definivano le liste era il 22 settembre. Niente da fare. Per quel giorno i posti nelle prime file riservati agli uomini nella lista veltroniana erano stati prenotati da onorevoli nazionali e regionali, dai consiglieri comunali, dai dirigenti dei partiti e via elencando in una lista che non finiva più. È andata così. Però mi sono salvato. Da qualche giorno ricomincio ad avere sembianze umane. Ho contattato parenti e amici e ho spiegato che niente era cambiato. Non diventerò democratico. Così imparo, a 43 anni suonati, a credere ancora alle favole.

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