CENTONOVE
4 APRILE 2008
ALTERNANZA ANCHE IN SICILIA
di Francesco Palazzo
Tra pochi giorni sapremo i risultati siciliani delle elezioni politiche e regionali. I voti che usciranno dalle urne ci diranno chi sarà a guidare il governo della regione, come sarà composta la nuova assemblea regionale e quale sarà l’apporto che la Sicilia darà agli schieramenti in campo che, a livello nazionale, si sfidano per la guida del paese. Alle ultime politiche, sino al giorno prima del voto, pareva che la coalizione guidata da Romano Prodi potesse contare su parecchi punti di vantaggio. Invece la lunga notte dello spoglio ci consegnò un quasi pareggio. In Sicilia difficilmente si assiste a questo tipo di sorprese, almeno per quanto riguarda le elezioni politiche e quelle regionali. Nei comuni e nelle province talvolta s’insinuano, vuoi per i ballottaggi, vuoi per situazioni locali particolari, alcuni elementi di sorpresa. Ma stiamo a quello che ci attende nei prossimi giorni, avremo modo e tempo per ragionare sul voto amministrativo. La domanda allora è la seguente. E’ possibile sperare che nella nostra regione vi sia qualche inversione di tendenza rispetto alle politiche e alle regionali che, nel 2001 e nel 2006, hanno dato al centrodestra delle sicure e larghe vittorie? In altre parole. E‘ possibile che la nostra isola si possa avviare a essere, al pari di tante altre regioni, un luogo dove è possibile sperimentare l’alternanza? Capite bene che questo è un aspetto cruciale della vita pubblica di qualsiasi comunità. Soprattutto se questa, come la nostra, presenta problemi di portata storica che non ci permettono di fare sostanziali passi in avanti. Anzi, ci fanno restare costantemente al palo, se consideriamo indicatori fondamentali, contemplati costantemente nelle varie classifiche sulla qualità della vita. E’ abbastanza comprensibile a tutti i nostri lettori che un gruppo di partiti, che ha vinto le elezioni e che sa di potere essere scalzato dalla parte avversa alla prossima tornata elettorale, farà il possibile per impedire tale evenienza, governando al meglio e cercando di farsi confermare o aumentare il consenso dal corpo elettorale. Nelle democrazie normali funziona così. Ma come si comporterà quella maggioranza la quale ha capito che invece è indifferente per i cittadini il modo in cui governa, tanto sarà sicuramente sempre vincente? E’ chiaro che in essa presto prevarranno fatalmente le sole logiche di potere, dei meccanismi tendenti a far perdere di vista il bene pubblico e a far prevalere un sistema di spartizione, per fini personali o di gruppo, delle risorse che fanno capo ai pubblici poteri. Assisteremo, dunque, al continuo svuotamento delle assemblee rappresentative, degli stessi partiti, della società più diffusa, con gli interessi legittimi che la caratterizzano. Al loro posto, più o meno visibili, anzi spesso più che sommersi nelle loro reali intenzioni, conteranno i pochi che sapranno sempre più entrare nelle stanze dove si decide. Che siano eletti dal popolo, potentati economici, gruppi di pressione o altro, poco importa. Alla lunga costituiranno un sistema ben strutturato e difficilmente scalfibile. In esso cercheranno di trovare spazio i poteri mafiosi, alla ricerca di denaro fresco a buon mercato, proveniente dagli ambiti regionale, nazionale ed europeo. In un quadro siffatto, che ruolo si ricaverà un’opposizione destinata per lunghissimo tempo a restare tale? Prima o poi cercherà di entrare nel sistema o sarà costretta a partecipare al gioco, non essendovi altre possibilità per continuare ad esistere. E’ questa la situazione della politica siciliana di oggi e di ieri? E’ difficile sostenere il contrario. Sarà anche quella del dopo 13 e 14 aprile? Non bisogna essere dei veggenti per sapere che difficilmente i risultati delle regionali e delle politiche potranno modificare una contesto che conosciamo sin troppo bene. Quando la Sicilia diverrà una regione con due parti che si contendono di volta in volta la vittoria, avremo la possibilità di sperimentare le virtù della democrazia dell’alternanza. E conosceremo parti politiche che cercheranno di fare bene quando governano, perché sapranno che altrimenti altri saranno chiamati dal popolo a occupare il loro posto. Sino a quel momento non potremo che sperimentare una democrazia politica che, pur rispettando la lettera della Costituzione Repubblicana, che quest’anno compie sessanta anni, ne tradisce in maniera clamorosa e quotidiana la sostanza.
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