La Repubblica Palermo – 11 ottobre 2018
La sindrome della sinistra che fa vincere il nemico pur di far perdere
l’amico
Francesco Palazzo
Alla “Leopoldina” palermitana l’ex
ministro degli Interni Marco Minniti, durante l’intervista finale, in cui ha
chiarito con apprezzabili parole e trasporto umano quanto fatto in tema
d’immigrazione, ha raccontato una barzelletta. Dio fa un regalo all’Italia,
chiama san Pietro e gli dice di portargli tre italiani. Pietro sceglie un
romano, un sardo e un calabrese. Vengono portati al cospetto del Padreterno,
che dice loro: «Esprimete un desiderio e io lo realizzerò». Il romano si fa
avanti: «Vorrei che Roma tornasse agli antichi splendori, caput mundi». Il
Padreterno esegue. Arriva il sardo: «Io sono molto modesto, vorrei un gregge
con mille pecore». Accontentato. Quando è il turno del calabrese, questi si
avvicina all’orecchio di Dio e gli dice: «Io non chiedo niente per me».
«Possibile?», chiede l’Altissimo. «Sì — spiega il calabrese — voglio soltanto
che muoiano le pecore del sardo». La morale è facile da ricavare, difficile da
attuare. Riguarda intanto il Pd. Ma il trattamento riservato a Matteo Renzi,
dai suoi e dalla sinistra esterna ai democratici, è soltanto l’ultima puntata.
La stessa pratica del «voglio che muoiano le pecore del sardo» è stata messa in
pratica pure facendo cadere, in nome di una sinistra che sta nell’alto dei
cieli, i due governi Prodi nel 1998 e nel 2008. E se andiamo indietro nella
storia repubblicana, troviamo altri momenti simili. L’obiettivo è il
solito: mettere in discussione il riformismo italiano, in nome della nobile
sinistra, sotto qualsiasi veste si presenti. E quando vanno gli altri al
potere, anche grazie a questo atteggiamento, schiacciare con il rullo
compressore i tentativi di riaprire la discussione politica. Nella due
giorni al teatro Santa Cecilia ci sono stati tanti interventi interessanti,
oltre a quello di Minniti. Che sarebbe un ottimo candidato alla segreteria
nazionale. Umberto Santino, nel commento pubblicato ieri su Repubblica, liquida
senza appello questa edizione della Leopolda sicula. Definendola un incontro di
reduci delle sconfitte al referendum costituzionale del dicembre 2016 e alle
Politiche di marzo. A me non è sembrato. Ma per rendersene conto, piuttosto che
soffermarsi solo su qualche frammento più scoppiettante e alla fine
marginale, e tenuto conto che erano stati invitati tre esponenti di primo piano
della sinistra esterna al Pd, si dovrebbero ascoltare tutti i cento e più
contributi, reperibili facilmente in Rete. Si troveranno molta politica e tante
analisi sul Mezzogiorno. Da parte di parlamentari, amministratori locali,
dirigenti del partito, iscritti e invitati di varia estrazione. Tante energie e
competenze immolate sull’altare della disgregazione e delle guerre intestine.
Ci sarebbe però da capire cosa hanno esattamente vinto, dopo il 4 dicembre 2016
e il 4 marzo 2018, quanti si sentono a sinistra vincenti, visto che ci
sarebbero i reduci perdenti. Quando ammazzi le pecore del sardo, sperando che
spunti il sol dell’avvenire, non trovi più sinistra. Allora è auspicabile che
si metta in discussione tale procedura e si offra, perché no?, a partire dalla
Sicilia, un campo largo. Di coalizione riformista ampia parla Romano Prodi in
un’intervista (5 ottobre) al Corriere della sera. L’ex premier,
invitando a non confondere il riformismo con un partito, sottolinea che «le
etichette del passato sono un punto di riferimento, ma non bastano». Prospetta
dunque un orizzonte di fronte al quale grandi porzioni di elettorato e di
società possano potenzialmente riconoscersi. Sapendo che la politica non è mai
la realizzazione del paradiso in terra.
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