venerdì 12 ottobre 2018

PD e Centrosinistra, salviamo le pecore del sardo.



La Repubblica Palermo – 11 ottobre 2018

La sindrome della sinistra che fa vincere il nemico pur di far perdere l’amico
Francesco Palazzo

Alla “Leopoldina” palermitana l’ex ministro degli Interni Marco Minniti, durante l’intervista finale, in cui ha chiarito con apprezzabili parole e trasporto umano quanto fatto in tema d’immigrazione, ha raccontato una barzelletta. Dio fa un regalo all’Italia, chiama san Pietro e gli dice di portargli tre italiani. Pietro sceglie un romano, un sardo e un calabrese. Vengono portati al cospetto del Padreterno, che dice loro: «Esprimete un desiderio e io lo realizzerò». Il romano si fa avanti: «Vorrei che Roma tornasse agli antichi splendori, caput mundi». Il Padreterno esegue. Arriva il sardo: «Io sono molto modesto, vorrei un gregge con mille pecore». Accontentato. Quando è il turno del calabrese, questi si avvicina all’orecchio di Dio e gli dice: «Io non chiedo niente per me». «Possibile?», chiede l’Altissimo. «Sì — spiega il calabrese — voglio soltanto che muoiano le pecore del sardo». La morale è facile da ricavare, difficile da attuare. Riguarda intanto il Pd. Ma il trattamento riservato a Matteo Renzi, dai suoi e dalla sinistra esterna ai democratici, è soltanto l’ultima puntata. La stessa pratica del «voglio che muoiano le pecore del sardo» è stata messa in pratica pure facendo cadere, in nome di una sinistra che sta nell’alto dei cieli, i due governi Prodi nel 1998 e nel 2008. E se andiamo indietro nella storia repubblicana, troviamo altri momenti simili. L’obiettivo è il solito: mettere in discussione il riformismo italiano, in nome della nobile sinistra, sotto qualsiasi veste si presenti. E quando vanno gli altri al potere, anche grazie a questo atteggiamento, schiacciare con il rullo compressore i tentativi di riaprire la discussione politica. Nella due giorni al teatro Santa Cecilia ci sono stati tanti interventi interessanti, oltre a quello di Minniti. Che sarebbe un ottimo candidato alla segreteria nazionale. Umberto Santino, nel commento pubblicato ieri su Repubblica, liquida senza appello questa edizione della Leopolda sicula. Definendola un incontro di reduci delle sconfitte al referendum costituzionale del dicembre 2016 e alle Politiche di marzo. A me non è sembrato. Ma per rendersene conto, piuttosto che soffermarsi solo su qualche frammento più scoppiettante e alla fine marginale, e tenuto conto che erano stati invitati tre esponenti di primo piano della sinistra esterna al Pd, si dovrebbero ascoltare tutti i cento e più contributi, reperibili facilmente in Rete. Si troveranno molta politica e tante analisi sul Mezzogiorno. Da parte di parlamentari, amministratori locali, dirigenti del partito, iscritti e invitati di varia estrazione. Tante energie e competenze immolate sull’altare della disgregazione e delle guerre intestine. Ci sarebbe però da capire cosa hanno esattamente vinto, dopo il 4 dicembre 2016 e il 4 marzo 2018, quanti si sentono a sinistra vincenti, visto che ci sarebbero i reduci perdenti. Quando ammazzi le pecore del sardo, sperando che spunti il sol dell’avvenire, non trovi più sinistra. Allora è auspicabile che si metta in discussione tale procedura e si offra, perché no?, a partire dalla Sicilia, un campo largo. Di coalizione riformista ampia parla Romano Prodi in un’intervista (5 ottobre) al Corriere della sera. L’ex premier, invitando a non confondere il riformismo con un partito, sottolinea che «le etichette del passato sono un punto di riferimento, ma non bastano». Prospetta dunque un orizzonte di fronte al quale grandi porzioni di elettorato e di società possano potenzialmente riconoscersi. Sapendo che la politica non è mai la realizzazione del paradiso in terra.

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