lunedì 10 settembre 2007

Racket mafioso, tra imprese che si svegliano e politica assente


LA REPUBBLICA PALERMO - MARTEDÌ, 04 SETTEMBRE 2007
Pagina I
LA POLITICA IN RITARDO
FRANCESCO PALAZZO




La decisione di voler mettere fuori dall´associazione degli industriali chi paga il pizzo alla mafia è rivoluzionaria. La nostra regione è tornata a porsi in primo piano. Non per un omicidio, non per i lavavetri ai semafori e neanche per una classe produttiva che non vuole pagare le tasse. Non c´è tornata per merito di una lotta alla mafia rimessa in campo dai partiti e dalle istituzioni rappresentative. Queste due entità, grosso modo, dormono sonni tranquilli, tranne che per esternare solidarietà alle vittime e applaudire le forze dell´ordine quando concludono brillanti operazioni. Rimane in mezzo al guado l´Assemblea regionale siciliana. Che ancora, senza più scusanti, vergognosamente possiamo ben dire, tarda a formare una commissione parlamentare antimafia che non sia solo un dovere istituzionale, com´è stata sino alla passata legislatura, ma il primo presidio regionale della politica nella lotta alla mafia. Questa sarebbe la risposta da fornire agli imprenditori che vogliono scrollarsi di dosso il giogo mafioso. Il dibattito che si annuncia, in occasione della probabile seduta straordinaria dell´Ars sull´argomento racket, rischia soltanto di riversare su tutti noi fiumi d´inutile retorica, che serviranno soltanto a coprire formalmente il vuoto sostanziale che la politica siciliana mostra di avere sulla questione mafiosa. L´opposizione all´Assemblea regionale, se ricordiamo bene, dispone di una delegazione parlamentare che supera abbondantemente le trenta unità. Possibile che non riesca a pressare, anche ricorrendo a una simbolica occupazione dell´aula, al fine di giungere alla composizione della commissione? Non possiamo sottacere il messaggio rassicurante che la politica siciliana, la sua massima istituzione, in tal caso manda alla mafia e quello poco confortante che invia a tutti noi e alla classe dirigente imprenditoriale siciliana. Quest´ultima riconduce, come dicevamo, la Sicilia al centro del dibattito nazionale. Sicindustria non chiede agli imprenditori di fare gli eroi, ma prospetta un maturo cammino collettivo per uscire fuori dalle tenaglie del racket mafioso. È una mutazione di prospettiva e non ha importanza che in questo momento ci si limiti alle parole, perché s´introduce nel vivo del tessuto imprenditoriale siciliano una soluzione di continuità che seminerà parecchio e in profondità. A questo punto, però, va posta onestamente una questione molto delicata. Affermare che saranno messi alla porta dell´associazione degli industriali le imprese e i relativi imprenditori che versano il pizzo e non denunciano l´aggressione che subiscono, ma anzi talvolta la cercano per lavorare «sicuri», in un regione in cui più dell´80 per cento delle imprese paga tranquillamente, significa poi agire di conseguenza. La rivoluzione annunciata dagli industriali non deve restare dunque una affermazione di principio. Quando sarà accertato che un imprenditore ha pagato il pizzo alla mafia, Confindustria dovrà indicargli la porta d´uscita, nel rispetto di regole e garanzie che al momento sono ancora da definire. In caso contrario la «rivoluzione culturale» appena iniziata comincerebbe a ripiegarsi dolorosamente su se stessa, nel riflusso che tanti momenti d´emergenza di lotta alla mafia hanno a un certo punto fatalmente conosciuto. Speriamo che così non vada, ma il rischio, come i nostri lettori possono ben comprendere e come ben sanno i dirigenti attuali di Confindustria in Sicilia, non è campato in aria. Quello che vogliamo dire è che ci si trova di fronte a un primo passo. Adesso il difficile sarà camminare con coerenza nel quotidiano, non appena si saranno spente, e accadrà presto, le luci dei riflettori.

1 commento:

  1. Ma i vertici delle associazione industriale regionale e della provincia di palermo di alcuni mesi fa non sono indagati per mafia ?
    E adesso "sparano" queste "mi...te"
    Ma mi facciano il piacere

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