venerdì 3 febbraio 2012

Ma cosa significa stare insieme in un partito?

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 4 DEL 3 FEBBRAIO 2012
Pag. 47
PD, FACCIAMOCI DEL MALE
Francesco Palazzo

Ci si potrebbe chiedere, visto quanto sta succedendo nel PD a Palermo, come chiamare una comunità di uomini e donne che riesce a bruciare ben tre candidati espressione del partito nel giro di pochi mesi. Rita Borsellino, lo hanno detto in tutte le salse, non va bene a una parte molto consistente dei democratici perché non accetta accordi con il cosiddetto terzo polo e con gli autonomisti. Ma, allora, cercatevi uno che non disdegna di riproporre la maggioranza regionale per le prossime amministrative nel capoluogo. Non è che dovevano stancarsi più di tanto. Il candidato che le larghe intese non le rifiutava, anzi, già c'era. Ninni Terminelli, da decenni consigliere comunale nel capoluogo, con passate responsabilità dirigenziali nel partito, già capogruppo a Palazzo delle Aquile, era pronto a sposare con convinzione la causa. Ma l'hanno fatto ritirare. Eppure è un giovane, ha esperienza e capacità. Insomma, non va bene chi sostiene una posizione politica, la Borsellino e chi, come Terminelli, afferma l'esatto opposto. Uno così si disorienta. Poi magari comincia a pensare che i maggiorenti democratici coltivino l'aristotelica via di mezzo. Che consiste nel cercare di evitare gli eccessi, conseguendo in tal modo la virtù perfetta. E cosa si può dire a delle persone che si incamminano sulla strada della perfezione? Ci si può solo complimentare. Certo, uno pensa che è difficile trovare la via dell'equilibrio. Non nel nostro caso. Perché i democratici, avevano, sempre tra i loro iscritti, una terza candidatura. Quella di Davide Faraone, che da molto è in pista con obiettivo la poltrona di primo cittadino. E' stato consigliere comunale, capogruppo, è deputato regionale. Anche lui giovane e già abbastanza esperto. Non ha mai pronunciato il no deciso della Borsellino e non ha neanche profferito il sì convinto di Terminelli. Ma neppure così, a chi adesso comanda nel partito, (a proposito, chi comanda?) va bene. Anzi, proprio sul renziano rottamatore gli attacchi e gli sfottò sono all'ordine del giorno e abbastanza pesanti. Pare che sia troppo autonomo e incontrollabile. Ma non è questo il punto. Quello che non riusciamo a capire, oltre al fatto che al PD non bastano tre posizioni interne che completano il quadro delle scelte possibili su Palermo, tanto da dovere andare fuori a cercarsi il quarto uomo (o donna), è come un partito possa sacrificare allegramente, senza pensarci più di tanto, due giovani cresciuti tra le proprie fila senza corsie preferenziali, ma con molto lavoro e impegno. In realtà, quello che continuiamo a chiamare partito, è il discorso ovviamente vale non solo per il PD, è soltanto un agglomerato di uomini e donne che non hanno mete comuni e idealità condivise. Ci troviamo di fronte, e anche se è un mal comune dal Partito Democratico era lecito attendersi altro, non alla normale dialettica che caratterizza tutte le aggregazioni complesse, ma a una serie di clan, tribù, squadre, chiamatele come volete, armati sino ai denti. Che hanno, come unico obiettivo, di far fuori il rivale della porta accanto, senza esclusione di colpi. Si dirà, e molti lo affermano con qualche ragione, che proprio perché nel PD, al contrario di ciò che accade negli altri partiti, ha cittadinanza un concetto molto ampio di prassi democratica, la conseguenza è questa lacerazione che porta inevitabilmente alla guerra per fazioni. Quando, in realtà, l'esercizio della democrazia, se davvero è tale e non una sua scimmiottatura, dovrebbe portare a stabilire, insieme, un qualche scopo condiviso, un sano spirito di appartenenza, una difesa non ideologica delle ragioni comuni. Niente di tutto questo. E lo spettacolo che i democratici hanno già dato a Palermo, al di là di come andrà a finire la tornata elettorale nel capoluogo, è qualcosa di molto pesante. Che graverà nella conduzione della quinta città d'Italia, anche se il partito dovesse alla fine trovarsi sul carro dei vincitori. Allora, la domanda che ci sentiamo di porre agli iscritti e alle iscritte del Partito Democratico, se trovano un attimo di tempo per posare la sciabola nel fodero, a Palermo e nel resto della Sicilia, è la seguente. Ma per voi cosa significa esattamente avere la tessera di un partito in tasca?

1 commento:

  1. Questa storia della V città di Italia, non riesco a capirla...
    In questi mesi di fermento non é stato molto bello quello che é apparso.
    Molto vicino comunque alla situazione nazionale....spaccati, spaccatissimi ed intanto dall'altra parte si fanno i fatti, o chi per loro.

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