La Repubblica Palermo – 25 agosto 2018
Se ai migranti dicessimo “A favorire”
Francesco Palazzo
Offrire cibo, come scrive Michele Serra su "L’amaca" di ieri,
commentando quanto avviene al porto di Catania, «è un gesto universale di
accoglienza, antico come la civiltà umana, ed è un gesto sacro».
Marcello Benfante su queste colonne ragionava, sempre ieri, sulla
popolarità delle due offerte, l’arancina e la calia e
semenza, protese dalla sinistra e dalla destra siciliane alle persone
tenute sulla nave Diciotti. Sia la sinistra, volutamente con l’arancina, sia la
destra, non pensandoci forse bene, con la calia e la
semenza, offrendo vettovaglie hanno fatto gesti d’apertura.
Tale approccio,
che non deve farci dimenticare il dramma di quanti vivono, hanno vissuto e,
visti i chiari di luna, vivranno in questi contesti, mi fa pensare a un modo di
dire siculo, usato anche da mio nonno materno, quando qualcuno, chiunque fosse,
si affacciava alla persiana durante i pasti. «A favorire», esclamava. Un invito
a unirsi alla mensa, e non perché si trovasse di fronte ad affamati, ma come
segno di amicizia e accoglienza.
Ecco, in questo momento, per rimanere umani e reagire alle folate di odio
che si alzano dai social e non solo, un ritorno ai fondamentali, in questo caso
il cibo da condividere, non risolve ma almeno aiuta.
Se poi la si vuole
prendere da una prospettiva meno laica, visto che i cattolici abbondano, nel
Vangelo sono scolpite per sempre queste parole: «Perché io ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e
mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato,
carcerato e siete venuti a trovarmi».
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