mercoledì 17 settembre 2025

32 anni dall'omicidio mafioso di don Puglisi e i suoi Cento Passi

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

Don Pino Puglisi e le parole che non dimenticheremo, 32 anni dopo

Francesco Palazzo

 https://www.portadiservizio.it/2025/09/15/don-pino-puglisi-e-le-parole-che-non-dimenticheremo-32-anni-dopo/



Il 15 settembre 1993 era un mercoledì. Caldo come molti giorni di settembre alle nostre latitudini. Don Pino Puglisi quel giorno compiva 56 anni, essendo nato il 15 settembre del 1937. Nelle ultime ore della sua vita era stato visto da occhi belluini mentre chiamava da una cabina telefonica nei pressi della chiesa di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo.

Proprio di fronte a quel Centro Padre Nostro da lui fondato, voluto di fronte la chiesa parrocchiale e inaugurato all’inizio del 1993, presente il cardinale Salvatore Pappalardo. Quel Centro, che don Pino volle legare indissolubilmente alla comunità parrocchiale e che tanta paura fece alla mafia pur non prendendo – non c’era ancora l’euro – una lira di finanziamento, è ancora lì, in via Brancaccio 461. Pietra angolare povera e viva di profezia.

Gli ultimi istanti

Non si sarebbe festeggiato quella sera. Don Pino, sapendo che ormai era entrato nel mirino di Cosa nostra, aveva detto agli amici e alle amiche di non fare nulla. Solo a una coppia aveva detto sì, ma non lo avrebbero trovato se non in ospedale. “Tutto è compiuto”, si legge nel Vangelo di Giovanni.

La scena si sposta sotto casa di don Pino. Chissà cosa è passato per la testa di 3P negli ultimi minuti della sua vita. Non sono i cento passi del celebre film su Peppino Impastato quelli che separano quella cabina telefonica, vicino la chiesa di San Gaetano, dalla casa di Puglisi a piazzale Anita Garibaldi dove ci sono i mafiosi ad attenderlo per chiudere, pensano loro, definitivamente i conti. Ma sono a pochi giri d’orologio i due luoghi, pochi minuti. Lo stesso tratto di strada, era il 1996, quasi trent’anni fa, che ho percorso con un gruppo di ragazzi e ragazze di Brancaccio, alcuni universitari e universitarie, per rappresentare una via Crucis che avevo composto per loro e che ancora viene utilizzata nella chiesa di San Gaetano.

“Me lo aspettavo”

Era arrivato davanti casa don Pino, aveva già infilato la chiave nel portone quando sente i passi di due soggetti avvicinarsi. “E’ una rapina”, gli dicono, sottraendogli il borsello. “Me lo sarei aspettato” o “Me lo aspettavo”, risponde don Pino. E magari, innamorato com’era dell’importanza del dialogo, della parola ascoltata per aiutare l’altro o l’altra a orientarsi, avrebbe potuto anche sperimentare un ultimo tentativo di soluzione umana. Insomma, ragazzi, qual è il problema. Venite su e ne parliamo. E se non l’ha detto magari, come ebbe a ipotizzare uno di quelli che gli è stato più vicino negli anni di Bancaccio, potrebbe averlo pensato.

Ma quella canna di arma da fuoco che portava morte, soprattutto per coloro che hanno spento una vita santa, non per chi quella morte l’ha subita, bloccò quel possibile pensiero che avrebbe potuto trasformarsi in salvezza. Non per chi stava per cadere, perchè mai è caduto, ma per coloro che stavano per spargere il sangue di un martire su quel marciapiede. E dunque “me lo aspettavo”. Dietro, intorno e dentro al quale c’è tutta una vita. Fatta di una profondità che i mafiosi non potevano capire. Perché se ne avessero compreso solo un frammento, mai sarebbero stati mafiosi.

La Chiesa e il mondo

È possibile che quel “me lo aspettavo” sarà stato detto pure con quel sorriso ironico che spesso guizzava negli occhi, prima ancora che nel verbo, del parroco dalle orecchie a sventola e dalle mani grandi. Ma è un’ironia, che è l’atteggiamento tipico di chi sa volare alto, che atterra in quella sera di fine estate con gli occhi e la mente già diretti verso quella canna fredda, che si posa sulla sua nuca facendolo in pochi secondi cadere rovinosamente a terra.

Ancora vivo, ma con tutto il suo corpo e il suo essere più profondo già al cospetto di quella dimensione di vita altra e alta che ben coniugò, a Brancaccio, a Godrano, come insegnante, nel mondo vocazionale, dappertutto sia stato, con quella del mondo.

Rapporto Chiesa-mondo, l’asse portante del Concilio Vaticano II. Ricordo, nelle settimane successive all’autunno del 1990, cioè del suo esordio presso la parrocchia di San Gaetano, una sua frase che mi faceva notare che, sulla scorta del Vaticano II, la parola, ossia il luogo da dove si proclamavano le letture, stava nell’altare sullo stesso piano della mensa, cioè del mistero di fede.

Parole indimenticabili

Ci sono frasi che, nel momento in cui le sentiamo, non sappiamo che non riusciremo più a dimenticarle. Senza neppure riuscire a spiegarci il perché. Così come quelle, ero consigliere di quartiere eletto nel 1990 come capolista di minoranza nelle liste di Insieme per Palermo, ascoltate da don Pino che cercava, con pochi risultati concreti, di farsi capire dal consiglio, allora di quartiere, Brancaccio-Ciaculli, ora di circoscrizione. Anche se nulla o poco è mutato nel decentramento attuato, e non semplicemente parlato, a Palermo.

Difficile per me pure scordare la sua riflessione in occasione della prima riunione con i giovani della parrocchia. Riprendendo il titolo di un brano molto famoso e cantato in quegli anni, “Questione di feeling”, diceva a noi ventenni che nella vita non poteva essere questione di sensazione, di sentimento momentaneo ma di impegno profondo, di decisioni importanti, definite se non definitive, soprattutto per noi giovani. Lo guardammo quasi scandalizzati. Ma aveva ragione lui.

martedì 9 settembre 2025

Libera Palermo, tra memoria e territori

 Il MEDITERRANEO 24

8 settembre 2025

Libera Palermo: trent’anni di impegno tra memoria e giustizia sociale

Francesco Palazzo 

https://www.ilmediterraneo24.it/buone-notizie/libera-palermo-trentanni-di-impegno-tra-memoria-e-giustizia-sociale/

Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie è presieduta da don Luigi Ciotti ed è stata fondata nel 1995. Coordina più di 1600 realtà nazionali e internazionali. Le finalità sono quelle di promuovere i diritti di cittadinanza, la cultura della legalità democratica e la giustizia sociale, valorizzando la memoria delle vittime delle mafie.

Nell’anno di Palermo Capitale del Volontariato ne parliamo con Eliana Messineo, di Libera Palermo. Che opera nel capoluogo ma pure in provincia. Ci ricorda che la genesi di Libera va retrotadata ed ha come epicentro la Sicilia, Palermo, le stragi del 1992, tra Capaci e Via D’Amelio, e quelle oltre lo stretto del 1993. Il Coordinamento di Libera Palermo fu tra i primi a nascere. Si trova in un bene confiscato in quella che i palermitani chiamano Piazza Politeama e per fare questo nel 2008 si è trasformata in associazione autonoma. Adesso sta partecipando al Bando del Comune per avere rinnovato l’affido, in questo caso decennale, del bene. La sede del coordinamento è pure una bottega che è nata e vive, sottolinea Eliana, per promuovere i prodotti provenienti da Libera Terra, ossia da terreni confiscati alla mafia. Va ricordato che Libera è stata promotrice della Legge, approvata nel 1996, sull’uso sociale dei beni confiscati.

Negli ultimi 10 anni, puntualizza Messineo, si è dato ancora più spazio al coordinamento provinciale delle attività di Libera. Ciò ha comportato un rafforzamento del rapporto con le altre organizzazioni associative lavorando sui diversi territori, continuando la forte presenza nelle scuole e confermando i percorsi di memoria (che culminano il 21 marzo nella giornata di memoria di tutte le vittime di mafia). Ma c’è anche la giustizia riparativa del Progetto Amunì. Che consiste, precisa Eliana, nella messa alla prova di giovani condannati per favorire percorsi di ripensamento. La strada che si percorre da tempo, per fornire un’altra gamba all’antimafia oltre quella della memoria e del contrasto diretto, ha una linea d’azione che intende contrastare e affrontare le povertà educative nei luoghi dove nascono. Libera interviene sulle famiglie attraverso una coprogettazione che vede coinvolti comunità educanti ed associazioni. Come, ad esempio, l’ultimo progetto Effetto Volontariato all’Albergheria. Ma si è intervenuti, ci dice Eliana, e si interviene, pure nei quartieri palermitani dello ZEN e del CEP.

Messineo mette in evidenza che attraverso i contatti con le scuole Libera è presente in molti pezzi di territorio. C’è da considerare nel campo scolastico la Rete di promozione per la cultura antimafia con 100 istituti coinvolti. Poi altri progetti specifici. Come quello denominato Fuori dal giro, sul contrasto alle dipendenze, condotto nelle scuole, anche allo Sperone di Palermo. Alla Scuola Pertini, sempre allo Sperone, con l’Associazione Per esempio, sono stati supportati diversi percorsi educativi. Le persone che direttamente lavorano a Libera Palermo sono nove. Altre sedi di Coordinamento sono presenti a Catania, Siracusa e Trapani oltre i presidi esistenti in vari territori. Esiste un coordinamento regionale molto articolato. Libera Palermo, apprendiamo da Eliana, organizza assemblee periodiche con associazioni e singoli soci e socie aderenti. Poi vi sono i rapporti con le istituzioni e con le grandi organizzazioni aderenti a Libera, come ad esempio ARCI e CGIL. Il quadro è molto esteso, ce ne rendiamo conto dialogando con Messineo. Ci cita i campi settimanali di impegno e formazione sui beni confiscati alle mafie, denominati E!State Liberi!, dove si incontrano i familiari di vittime di mafia. Ad agosto si è concluso, ci rappresenta l’esponente di Libera, il progetto CORE (Comunità Responsabili) nel quartiere Albergheria di Palermo relativo al rafforzamento di reti giovanili.

Libera guida anche a Palermo un percorso di co-progettazione ricadente nel centro storico che vede coinvolte più di 30 associazioni. C’è anche uno sguardo al problema migratorio. Libera Palermo è impegnata a garantire l’autonomia dei minori stranieri non accompagnati. Il ruolo di Libera, sintetizza Eliana, è di facilitazione nel mettere insieme le forze presenti sul territorio, non necessariamente iscritte a Libera. Sullo sfondo sempre la memoria, le memorie. Soprattutto quelle che tendono per vari motivi a passare nell’oblio. Messineo ci ricorda ad esempio la Mattonella per Lia Pipitone fissata nel giugno di quest’anno nel luogo dove è stata uccisa, nel quartiere Arenella. Anche questo è il frutto di un lavoro comune con altri soggetti e con le istituzioni voluto da Libera Palermo. A conferma che la lotta alle mafie si può condurre meglio, e con più incisivi risultati nei territori, se si fa strada insieme.


sabato 6 settembre 2025

Santa Rosalia, il racconto a più voci dell’acchianata notturna

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

4 settembre 2025

Cronaca di una “acchianata”, percorso di fede tra le luci di Palermo

Francesco Palazzo

https://www.portadiservizio.it/2025/09/04/cronaca-di-una-acchianata-percorso-di-fede-tra-le-luci-di-palermo/?sfnsn=scwspmo 




 

Nel giorno in cui si ricorda l’eccidio mafioso che vide morire il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, il 3 settembre di 43 anni fa, proprio nelle stesse ore ogni anno, i palermitani fanno, e io tra loro, la “acchianata” sul monte Pellegrino verso la Santuzza. Di cui il 4 si ricorda il giorno della morte (era il 1170) e in cui le tante Rosalie palermitane festeggiano l’onomastico.

Non è il Festino del 15 luglio, fantasmagorico, brillante, con il pienone di gente dal piano del Palazzo dei Normanni al piano della Marina. Nella nottata tra il 3 e il 4 settembre, questa volta insolitamente fresca, il clima è più di riflessione, silenzio, in compagnia delle stelle, della luna e, caso raro, di qualche nuvola. Anche in questo 3 settembre 2025 il serpentone di devoti e devote che sale e scende è abbastanza trasversale.

Un contesto inusuale

Il contesto, per uno come me, “acchianatore” seriale alla luce del sole nei giorni in cui Rosalia non viene festeggiata, e dunque si incontrano poche persone nei tornanti verso l’alto e verso il basso, è inusuale. Non soltanto per i numeri ma anche perché di sera, di notte, di Palermo vedi le luci. Che delineano forme e immagini davvero belle da ritrarre.

C’è Julian vestito con un completino del Palermo e c’è una bambina con il palloncino rosso a forma di cuore. Don Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, ricorda Dalla Chiesa e le vittime del 3 settembre 1982, sottolineando il no alle mafie. Il vescovo saluta e abbraccia cordialmente e fraternamente molti e molte.

È la prima volta, superati i 60, che Mariagrazia e Sabina hanno deciso di fara il percorso a piedi, sono della parrocchia di Santa Rosalia. Per loro la santa è il legame con Palermo, sia religioso, devozionale che popolare. Paola sale con le stampelle, c’è andata pure a Lourdes. È un ex catechista di Acqua dei Corsari. Chiede salute e che si dia testimonianza cristiana ai giovani.

Un messaggio di speranza

Mi avvicino a don Corrado e gli chiedo com’è cambiato, in questi 10 anni in cui è arcivescovo, il rapporto con la santa. Mi dice che c’è intanto una conoscenza sempre più profonda, che lo appassiona per quello che è il suo messaggio di fede, soprattutto di speranza che dà alla città. E che la sente sempre presente nella sua vita, insieme a don Pino Puglisi e a Biagio Conte.

Per la città cosa chiederebbe il suo vescovo a Rosalia? Un senso di responsabilità maggiore per gli adulti nell’accompagnare i giovani – mi risponde – perché non si lascino nelle mani di predatori che li illudono. Dobbiamo dire loro – aggiunge – che la droga è morte e però noi dobbiamo dare loro altra sostanza.

Le voci di chi sale

Una ragazza e un ragazzo inglesi salgono mano nella mano. Le luci messe per l’occasione in alcuni punti abbagliano, ma è la città che rimanda forme accese che affascinano. C’è chi sale recitando il rosario, chi parlando di storie personali, chi non sbaglia un verbo, chi non va oltre il palermitano stretto. Rosalia è ancora lontana nei primi tornanti ma è pronta ad accogliere tutti e tutte.

Elena mi dice che chiederà tranquillità, serenità, salute personale e familiare e per gli amici. Ma poi evidenzia che “la storia della Santuzza può esserci d’aiuto nella prospettiva di indipendenza femminile, se è riuscita ad essere libera lei tanto tempo fa possiamo farcela pure noi”.

Due giapponesi si inerpicano fotografando tutto. Tiziana non è religiosa, ma ci tiene a dire che il rapporto con Rosalia è per lei importante, di stima, “perché vede che smuove le folle e le coscienze. Poi è una donna libera, quindi il suo spirito lo apprezza in toto. Dovrebbe illuminare le menti dei palermitani affinché amino di più la città”.

Un uomo mi chiede se è vero che ci siano ancora 27 chilometri per arrivare. La compagna se la ride per averlo preso in giro. Filippo ha la maglietta di Santa Rosalia realizzata su un suo disegno. Da quando è nato è un “acchianante”, i suoi genitori lo portavano da piccolissimo. Da 18 anni la fa da solo. Rosalia, credi o non credi, è lì – mi dice – come punto di riferimento per tutti. Collabora col Festino e ha realizzato la statua bianca della Santa che si trova in cima.

I volontari e le forze dell’ordine in tutto il percorso sono abbastanza presenti. Così come l’assistenza sanitaria. Rosalia, con un passato in Comunione e Liberazione, con la famiglia e il cane Baltica, sale per la prima volta il 3 settembre. Come donna libera è stata un esempio – afferma – chiede a Lei che i giovani possano rimanere e che ci sia un lavoro per loro e per tutti.

Norma è filippina, sorride sempre, la rispetta come protettrice della città e ha offerto anche le bavette dei suoi figli nati a Palermo.

Siamo quasi a metà percorso. C’è chi si ferma un attimo per riprendere forze. José Antonio Sabino è della Congregazione di Gesù e Maria ed è da quattro anni parroco a Nostra Signora della Consolazione di via dei Cantieri. Sono in 4, due colombiani, un messicano e lui. Che è alla quarta acchianata. Ha un viso e un sorriso empatici e accoglienti. Santa Rosalia è la patrona della parrocchia di sua madre in Venezuela. Anni fa, appena arrivato a Palermo, si è ammalato di Covid. È stato più di un mese ricoverato e ha chiesto alla patrona la guarigione.

Bisogno di pace

Ci sono tantissimi ragazzi e ragazze che salgono. Due suore fanno strada insieme. Una, Mena, è filippina, opera allo Sperone in parrocchia e insegna a scuola. L’altra, Lidia, è originaria del Benin, è infermiera, presta servizio presso una casa di cura ed è impegnata nella parrocchia di Santa Lucia al Borgo Vecchio.

Lidia chiederebbe, come ha detto il vescovo, sottolinea la pace nel mondo. Mena un aiuto per i ragazzi dello Sperone e le loro famiglie che spesso sono in difficoltà, coinvolte in storie di droga. Federica fa l’acchianata a piedi scalzi, come tanti, anzi tante, perché sono soprattutto donne ad andare senza scarpe. Di Santa Rosalia la colpisce il coraggio, chiede salute, serenità e pace.

Non è possibile evitare di riprendere le immagini di luce che provengono dalla città. Valentina sale col marito e col figlio piccolo nel passeggino. L’acchianata l’ha fatta l’ultima volta prima della nascita di Giuseppe, adesso che ha 5 anni ci riprovano. Per suo figlio chiede una buona condotta di vita, onestà, trasparenza e tanta pace.

In compagnia di don Natale

Un pezzo di percorso lo faccio con don Natale Fiorentino, parroco del Santuario dal settembre 2023. È un religioso del Don Orione, realtà che da 80 anni cura il Santuario. Il mio rapporto con lei – mi dice – è mediato dal Vangelo, nel senso che leggi il Vangelo e ritrovi dappertutto lei. Contemplazione, servizio, silenzio, amore della natura la definiscono secondo il suo punto di vista. Aggiunge che Rosalia può essere imitata da tutti, nelle case, nelle famiglie, nei quartieri, perché con semplicità ha vissuto il vangelo. Piuttosto che chiedere grazie dovremmo fare di più noi, chiosa. La vera devozione è l’imitazione dei santi. Chiediamo allora a Santa Rosalia – mi dice – di poterla imitare.

La sua è una parrocchia particolare. Il Santuario, sostiene don Natale, è una parrocchia che ogni giorno cambia parrocchia. I parrocchiani cambiano. La sfida – conclude don Natale – è che in pochi minuti devi dare un messaggio, una freccia d’amore del Signore nel cuore di chi viene, perché chi sale è già molto ben disposto.

Quel che conta è il viaggio

Sono quasi arrivato. Un ultimo sguardo su Palermo e già inizia la piccola discesa asfaltata verso il Santuario. Matteo lo trovo sotto l’ultimo pezzo di scala che porta all’entrata del Santuario. Abbraccia una grande statua di Santa Rosalia attorniato dalla sua famiglia e dai nipoti. Ha lavorato per tanto tempo in Germania, nei pressi di Stoccarda, adesso è in pensione ed è rientrato in Sicilia. Ed è qua, lo dice alla palermitana, per una “promisione'”.


La coda per entrare al Santuario è molto lunga. Scelgo di non varcarla perché questa volta conta il viaggio. Che ho fatto molto lentamente. Da soli si arriva prima, ma insieme si arriva meglio.

Chiudo il taccuino elettronico e inizio la discesa. Sino alla fine c’è ancora tanta gente in salita. Palermo la ritrovi giù. Nelle cure miracolose della Santuzza, ma anche quotidianamente nelle mani dei palermitani.

Concludiamo con don Corrado. Nel suo discorso iniziale chiedeva che la città sia più umana, più vivibile, luogo di incontri veri dove non prevalgano interessi personali. Ne saremo capaci? Abbiamo, al netto della protezione di Rosalia, ampi margini di miglioramento.


martedì 19 agosto 2025

Rotazione parroci. Forse si è compresa la centralità delle comunità

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

16 agosto 2025

Nuovi parroci, meno polemiche: un segno di maturità delle nostre parrocchie

Francesco Palazzo

 https://www.portadiservizio.it/2025/08/16/nuovi-parroci-meno-polemiche-un-segno-di-maturita-delle-nostre-parrocchie/



Negli ultimi due anni, tra agosto 2023 e agosto 2025, nell’arcidiocesi di Palermo ci sono state decine di avvicendamenti di parroci disposti dall’arcivescovo, monsignor Corrado Lorefice, e altri se ne annunciano, almeno così leggiamo sul sito ufficiale della Curia.

È un ricambio davvero significativo e importante. Intanto per i sacerdoti. Fare più esperienze in un territorio molto vasto, che presenta tante differenze al suo interno, significa arricchire il proprio bagaglio conoscitivo e avere modo di approfondire e mettere in pratica scelte pastorali sempre più piene di prospettive mature.

Meno proteste

Su questi cambiamenti però è possibile fare anche qualche riflessione in più. Al netto dei comprensibili e umani impatti esistenziali dovuti ai distacchi bilaterali parroci-comunità, normali dopo anni di vita parrocchiale comune, non si sono registrate reazioni sopra le righe. Se non alcune lamentele, devo dire abbastanza contenute, direi quasi del tutto trascurabili, da parte dei fedeli. Ed è una bella e interessante novità.

In tempi passati, chi ha qualche decennio sulle spalle sa a cosa mi riferisco, nelle parrocchie e sotto le sedi arcivescovili si registravano veementi proteste di piazza con annesse raccolte di firme per scongiurare il trasferimento di questo o quel presbitero. E se poi avveniva lo spostamento, si seguiva il parroco nella nuova parrocchia.

Un episodio simile avvenne nel 1985, parliamo di 40 anni fa esatti, nella parrocchia che frequentavo sin da bambino, dove il parroco fu spostato dopo 15 anni di servizio pastorale.

Un cambiamento positivo

I tempi sono dunque cambiati, in questo caso in positivo. Vuol dire che evidentemente si è compreso da parte delle comunità parrocchiali un aspetto cruciale. E cioè che in questi passaggi del tutto fisiologici di ricambio si deve dare rilievo, importanza, a parrocchie non parroci-dipendenti, ma a comunità di fede in continua crescita, mature, responsabili, legate al territorio. In cui i parroci sono una parte, certo non secondaria, dei mosaici parrocchiali.

Perché sono le parrocchie in sé stesse, con tutti i carismi e le potenzialità espresse, e le tante ancora da esprimere, che costituiscono il tessuto vitale, il cuore pulsante, delle diocesi. E il primo compito dei parroci, per me, è proprio questo. Fare emergere tutto il potenziale che esiste nell’ambito parrocchiale, che è fatto di tempio e territorio, del contesto in cui vengono inviati.

Inoltre è un diritto/dovere dei fedeli compiere questo percorso verso una partecipazione e una presenza sempre più piene. Altrimenti il rischio, persino banale dirlo, è quello di ridursi a semplici spettatori/valutatori di quanto accade in parrocchia. Quel parroco mi piace/non mi piace, è simpatico/antipatico, quell’altro predica bene o male. Se parroci e comunità parrocchiali sapranno mettere in campo questo, doppio ma in realtà unico, cammino, ci guadagneranno sia la Chiesa che tutto il territorio della diocesi. E quando giungerà il momento di separarsi nessuno resterà monco di nulla.

Parrocchie in dialogo

Per quanto rappresentato, spero chiaramente, è un buon segno in questa direzione di sempre maggiore consapevolezza conquistata dalle comunità parrocchiali, rispetto al passato tumultuoso in occasione di spostamenti cui facevo cenno, il fatto che vengano salutati serenamente e ringraziati con il sorriso coloro che si spostano perché chiamati altrove. E ci si prepari (sui social ho letto tanti messaggi in tal senso) con spirito di vera accoglienza a continuare, rafforzare, trasformare, da protagonisti, la vita parrocchiale insieme ai nuovi arrivati.

Va anche aggiunto che lo scopo della crescita costante di tutti può essere raggiunto pure facendo dialogare le varie realtà parrocchiali, vicine o distanti. Non so in che misura venga attualmente praticata una cosa del genere. Ma anche questo serve, servirebbe, a tutti e a tutte per generare buone pratiche, virtuosi confronti e alla fine percorsi di fede sempre più radicati e robusti.

mercoledì 6 agosto 2025

Chiesa e giovani. Dai raduni al dialogo quotidiano con le nuove generazioni.

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

Speciale Giubileo 2025

La Chiesa e i giovani, oggi come ieri. Strade nuove per un dialogo

Francesco Palazzo

 3 agosto 2025  

 https://www.portadiservizio.it/2025/08/03/la-chiesa-e-i-giovani-oggi-come-ieri-strade-nuove-per-un-dialogo




Il Giubileo dei Giovani, che ha portato oltre un milione fra ragazze e ragazzi a Tor Vergata, somiglia molto alla Giornata Mondiale dei Giovani istituita quarant’anni fa da Papa Wojtyla. Era il 1985, anno internazionale della gioventù. La giornata della gioventù, tra appuntamenti diocesani e mondiali, ha già conosciuto 41 edizioni. L’altro Giubileo della Gioventù è stato a Roma nell’aprile del 1984.

Tantissimi gli appuntamenti importanti di questo Giubileo. Ma non si può negare che questo dei giovani abbia un carattere assai speciale, direi unico. C’è un luogo comune che trova il punto di caduta nella seguente frase: “I giovani sono il nostro futuro”. Che in realtà vuol dire soltanto che per i grandi questo futuro è davvero molto lontano.

La Chiesa e i giovani

Con questi ormai consueti appuntamenti la Chiesa mostra di avere, invece, un vero interesse oggi, non nel futuro, per questa fase fondamentale dell’età umana. Sono anch’io cresciuto, nei due decenni  tra gli anni Settanta e Ottanta del cosiddetto secolo breve, in realtà lunghissimo, in un ambito parrocchiale, nella chiesa di San Gaetano. Dove don Pino Puglisi, ucciso da vile e senza onore mano mafiosa, fu presbitero negli ultimi tre anni della sua vita.

Noi giovani allora eravamo tanti e ciò era valso anche per le generazioni precedenti la mia. Per la verità in quei tempi c’erano anche altri centri di aggregazione e di formazione. Erano i partiti, di centro, di sinistra, di destra o extraparlamentari che fossero, mobilitavano anch’essi le vite di tante ragazze e tanti ragazzi. Oramai, purtroppo, dobbiamo notare, si sono trasformati tutti in comitati elettorali suddivisi in fazioni ferocemente contrapposte al loro interno. I giovani continuano ad esserci, seppure in numero molto inferiore rispetto al passato.

Ma non ci sono più i riferimenti ideali di un tempo. Si appartiene a questa o quella cordata e difficilmente il linguaggio politico giovanile è diverso da quello acuminato e di parte degli adulti. In ambito cattolico sono invece ancora rinvenibili degli orizzonti di impegno e di fede comuni nel mondo giovanile.

I punti di domanda che si potrebbero provare a dipanare, con riferimento al mondo cattolico, si possono riferire alla consistenza numerica dei giovani a livello parrocchiale e al tipo di approccio che la Chiesa utilizza per farli crescere sempre più in quantità e qualità.

I giovani e la fede

Secondo le più recenti statistiche, i giovani che dai 18 ai 35 anni  frequentano i riti cattolici sono intorno al 10%. Tale percentuale non può che scendere se consideriamo quanti gravitano in maniera costante negli ambiti parrocchiali per impegni che vanno al di là dei riti. Ai miei tempi in parrocchia, oltre la messa domenicale, si discuteva in momenti specifici per giovani, si giocava, si facevano gite, si vivevano in modo più intenso i periodi natalizi, pasquali, le Quarantore e si aveva un dialogo costante e anche personale con il parroco.

Certo, le forme attraverso le quali si comunicava allora con noi giovani non sono più moneta formativa utilizzabile oggi. C’è da chiedersi se e in che modo si possono intercettare nel terzo millenio le dinamiche giovanili. Tenuto pure in conto che non c’è più come in tempi remoti la catena familiare a fare da traino. Adesso, com’è giusto che sia, le ragazze e i ragazzi decidono per conto proprio.

Quando mi capita di dialogare con persone gravitanti biograficamente nella molto ampia, e per nulla unificabile, fascia d’età compresa tra i 18 e i 35 anni, riscontro punti di partenza e riferimenti abbastanza diversi, anche se non del tutto, dai miei alla loro età. Ma non per questo meno profondi o banali. È soltanto cambiato, tra Novecento e Ventunesimo secolo, il mondo. Quello degli adulti e quello dei giovani.

Le singole parrocchie e le diocesi, spentisi i riflettori di questi appuntamenti aventi caratura internazionale, dovrebbero sempre più, considerato che già senz’altro lo fanno, intensificare con approcci nuovi il dialogo con i giovani presenti e soprattutto con quelli che si tengono lontani.

Non per fare proselitismo con questi ultimi. Sarebbe una pessima modalità per fallire in partenza. Ma per sperimentare insieme a loro, e a quelli già impegnati, tutte le possibili vie che possono essere aperte dal messaggio che proviene dalla buona novella evangelica.

Papa Leone XIV ha detto durante la veglia alla presenza di un milione di giovani: “Cercate con passione la verità”. Ecco, è questo un percorso che può attrarre tanti altri milioni di giovani.


lunedì 14 luglio 2025

L’acchianata verso Santa Rosalia.

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

13 luglio 2025

La mia “acchianata” a Santa Rosalia, cronaca di un percorso verso l’alto

Francesco Palazzo

https://www.portadiservizio.it/2025/07/13/la-mia-acchianata-a-santa-rosalia-cronaca-di-un-percorso-verso-lalto/





Lo confesso. Ormai sono un “acchianatore” seriale. Probabilmente pure la Santuzza si è posta qualche domanda sul mio conto. Magari una volta di queste sarà Lei a chiedere a me qualcosa. Per me “lacchianata”, scritta così, alla palermitana, credo che non abbisogni di traduzioni, visto che ho incontrato tutte le etnie in salita e discesa, è tante cose messe insieme.

Certo, ti conduce alla patrona della città. Una santa e una donna che volle essere libera da imposizioni. E già questo, come si suol dire, vale alla grande il prezzo del biglietto. Perché la libertà delle donne che abbiamo accanto è una lezione che tutti gli uomini non apprendiamo mai abbastanza e ancora tanta strada è da fare. Ma c’è altro. L’acchianata, più che per chiedere, potrebbe essere un modo per rispondere alla città. “Non chiederti cosa il tuo Paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese”, disse John Fitzgerald Kennedy.

Come inizia la salita

Poi salire ti serve a riflettere su te stesso e guardare le cose da un punto di vista più alto. E certo salire, oltre che allo spirito fa bene pure al corpo. L’11 luglio, nella settimana del Festino 2025 in corso, “400più1” come è stato chiamato, faccio l’acchianata ascoltando più di una volta “Rosalia di Rosa e di Giglio”, la canzone su Rosalia scritta da don Cosimo Scordato e musicata da lui insieme ad altri. Riprende il “se ognuno fa qualcosa” di don Puglisi, parla di Rosalia libera e di Palermo da liberare.

La mattinata è nuvolosa e  non caldissima, poi vira verso il bel tempo stabile e un cielo terso. Vengo accompagnato da un concerto di cicale. Nelle rampe pochi acchianatori, quasi tutti turisti. Che popolano spesso questo percorso. Non mi è mai capitato di non incontrare nessuno. L’ultima volta una coppia portoghese che portava una carrozzina con dentro un biondissimo pargolo. Il grande cartello in basso segnala sempre il pericolo di perdita di vite umane a causa delle caratteristiche della zona e invita a procedere con prudenza.

La mia partenza non è dalla piazza dell’acchianata, ma dalla zona stadio. Questa volta, caso raro, non c’è nessun cane al seguito delle persone che incontro, una volta ne ho incontrato uno che saliva da solo. La prima rampa è lunga e ripida. Mi colpiscono in tutto il percorso i bordi non curati. Non è sempre stato così. Erbacce alte cui fanno compagnia i resti lasciati graziosamente dai palermitani. Almeno nella settimana del Festino si potrebbe, si poteva, procedere a una pulizia generale. Come in genere si fa per ospitare, nella notte tra il 3 e il 4 settembre, decine di migliaia di palermitani.

Lungo le rampe

All’apice della prima rampa il porto si può quasi toccare e si può ammirare la costa sud. La secondo rampa, parte della prima e sino alla quarta, presentano una strada liscia, nella terza e quarta rampa si vedono degli archi. Dalla quinta rampa comincia il classico pavimento acciottolato, alberi di fichi d’india dappertutto. Dalla sesta si domina meglio la zona porto. Nella settima si vede più da vicino uno dei tanti tralicci sui quali viaggiano i fili della luce elettrica. Nel corso dell’ottava, ai bordi, i resti rinsecchiti di un albero caduto su un fico d’india. Se ne vedono diversi lungo tutto il percorso. Dalla nona si vedono più da vicino le nuvole sopra Palermo e alla fine della decima seduti su un muretto si può ammirare meglio la città. Dall’undicesima rampa spiccano due navi da crociera. La dodicesima rampa finisce con l’edicola votiva del 17 maggio 1905 voluta dall’arcivescovo Lualdi. Vengono concessi 100 giorni indulgenza a chi reciti una preghiera dinanzi l’immagine di Rosalia. Sbirciando leggo che nel 1963, a sue spese, il signor Baiamonte l’ha ricostruita.

Si prosegue con la tredicesima rampa, a sinistra un rudere, chissà cos’era, sarebbe meglio toglierlo. Alla fine il primo incrocio con la strada dove transitano le auto, i pullman, i motori e le bici. Per la verità queste ultime si avventurano, pericolosamente per i pellegrini appiedati e a velocità sostenuta in discesa, oltre che in salita, nella strada vecchia nonostante uno specifico divieto di transito per i velocipedi. Bellamente ignorato, come tante cose a Palermo.

Qua finisce la parte più impegnativa dell’acchianata. La vista su Palermo merita un’altra foto. La 14esima breve rampa inizia con  una cappella chiusa di una certa grandezza. Si intravedono sedie,  dipinti, foto private, simulacri della santa, testi sacri e altro. Accanto  il ricordo dell’ispettore Ninni, uno sportivo. Ci si imbatte nella prima  croce di legno riportante la scritta Itinerarium rosaliae. Qua spesso vedo colombi e gatti che consumano insieme il cibo portato da una signora. Alla fine panchine panoramiche, sosta dei pullman per foto spettacolari e ricordi incivili dei palermitani. Dalla quindicesima rampa inizia ad apparire con evidenza il Castello Utveggio, altra intersezione con la strada. In genere gli attraversamenti, brevissimi e sicuri, sono segnati dalle strisce. Nel corso della 16esima breve rampa un materasso abbandonato e altro incrocio con la strada. La 17esima è più lunghetta ma non ripida, si incontra un altro rudere e un albero dove prendere fresco.

Una poesia

Spesso si vedono i muretti delimitanti la strada divelti ma non c’è alcun pericolo. Dopo l’ennesimo incontro con la strada inizia la18esima rampa, poi una deviazione verso l’Utveggio. Nella 19esima contenitore pieno, ce ne sono diversi in tutto il percorso ma non sempre svuotati, e tanti fazzoletti a terra. Dopo la strada inizia il 20esimo tornante, altro rudere e graziosa installazione di marmo con incisa la poesia di Quasimodo. «Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera».  Si passa poi davanti a indicazioni che conducono a sentieri o punti panoramici. Ve ne sono diversi nel percorso. Dopo l’ennesimo attraversamento stradale inizia la 21esima rampa, lunga ma non molto impegnativa. Foto d’obbligo su Palermo, l’Utveggio e il mare. Ultimo incrocio con la strada. La 22esima sezione presenta una ancora più superba visione della città, del castello e del mare. Altra indicazione di sentieri e punti panoramici.

Al cospetto della Santuzza

Pizzo volo  d’Aquila, ex postazione contraarea, e Pizzo Monaco. D’ora in poi nessun altro incrocio con la strada sino alla piazza del santuario, mancano 1,2 chiliometri, da giù sono 2,5 a questo punto. Di fatto l’ultima parte è un unico lungo ma abbordabile sentiero. Un po’ più avanti a sinistra altri ruderi o simili, a destra il Piano della Ciotola, indicato da una torretta. Proseguendo è d’obbligo una sosta.

Da qui si può dipingere il ritratto di una parte della città e del mare di Mondello che sbuca da due montagne. Siamo a 100 metri dall’arrivo, tocco la sbarra verde per tradizione. A sinistra un piccolo balconcino panoramico e poi un punto di osservazione, al momento interdetto, da dove si scorge la parte di città, stadio compreso, che non si vede percorrendo il sentiero principale della Scala Vecchia. Un breve tratto di strada adesso asfaltata, Via al Santuario Croce, e si arriva in piazza con tanti turisti. A sinistra l’incrocio con la strada e poi la scala che porta al cospetto della Santuzza.

Le intenzioni

Percorsa con diversi stati d’animo, insondabili per definizione. Molto spesso vedo persone in ginocchio o scalze fare quest’ultimo tratto, così come tutta l’acchianata ho visto fare senza scarpe. C’è chi viene per turismo, per un ringraziamento, portando un dolore, per devozione,  per una passeggiata. In tempi lontani gli sposi novelli venivano in queste scale a farsi le foto, ad esempio i miei genitori.

Si entra nella chiesa giubilare, in un tavolino il quaderno con le intenzioni e i ringraziamenti. “Grazie Santa Rosalia per aver guarito mio figlio”. “Voglio fare una preghiera perché santa Rosalia protegga tutti”. “Guarisci la mia mamma e allevia le sue sofferenze”. “Oggi sono venuta a trovarti per l’anniversario di morte della mia mamma”. “Ti affidio mio nipote”. “Ti chiedo tanta pace”.

“Per la conversione del mondo intero” “Ti prego per tutti i giovani”. “Ti affidio mia sorella”. “Proteggi coloro che indossano una divisa”.  “Viva Palermo e Santa Rosalia”. “Ti prego per i miei nipotini”. “Una persona cara a tutta la comunità Tamil sta combattendo per ritrovare salute. Ti chiediamo la grazia”. I Tamil, di religione Indù sono molto legati alla santa, acchianano ogni domenica. “Fammi affrontare bene le due prove scritte e l’orale”. Gli ex voto, un marmo che ricorda la visita di Goethe e poi, dentro la piccola grotta, Lei. A sinistra, a pochi metri dall’ingresso, sotto un baldacchino, in una teca in vetro, vi è l’altare con Santa Rosalia giacente, circondata dagli ex-voto. Sfolgorante di preziosità e ricoperta con una lamina d’oro successivamente applicata, con un angelo che l’assiste e sovrastata da un prezioso altare alla cui sommità c’è un tabernacolo e un’altra riproduzione sua.

Al suo cospetto si riflette e si prega in tante lingue. Un ragazzino disabile e una bambina piccola in salute vengono avvicinati. La ruota casuale della vita, che misteriosamente dà e toglie senza possibili spiegazioni. Fuori una panchina con la scritta: Affidiamo Laura, Sara e tutte le vittime di femminicidio a Santa Rosalia, simbolo di donna libera.

Il Belvedere

Le mie acchianate finiscono al Belvedere, qualche chilometro a piedi sempre in salita ma leggera verso piazzale Salvatore Pappalardo, dove il mare è accecante e Santa Rosalia domina nell’ultimo piccolo tratto alla sommità. Dopo di che non si può che scendere verso la città.

Ciascuno si porta appresso scendendo il suo carico di riflessioni, con più leggerezza e consapevolezza. Del resto come diceva mia nonna “o scinniri tutti i santi aiutano”. E nel salire che le cose si fanno nella vita più complesse. I palermitani per affrontare e dipanare la complessità delle salite hanno scelto la Santuzza. Ma, miracoli a parte, potremmo tutti e tutte fare molto di più per Palermo. Santa Rosalia, dall’alto del sacro monte, non potrebbe che esserne contenta e sollevata.


giovedì 3 luglio 2025

Don Puglisi, un sacerdozio ancora vivo

 Porta di Servizio

Notizie Chiesa locale e universale

2 luglio 2025

Le tracce del beato Pino Puglisi nei luoghi di culto e nel cuore di chi lo ha conosciuto

Francesco Palazzo

 https://www.portadiservizio.it/2025/07/02/le-tracce-del-beato-pino-puglisi-nei-luoghi-di-culto-e-nel-cuore-di-chi-lo-ha-conosciuto/




Oggi, 2 luglio 2025, ricorre il 65° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Padre Pino Puglisi, per tutti 3P. Lo scorso anno, in occasione del 64° anniversario, in un interessante approfondimento su questa testata, Michelangelo Nasca ci raccontava che nel 2021 è stata svelata una lapide commemorativa nel Santuario carmelitano Madonna dei Rimedi di Palermo, per ricordare l’ordinazione presbiterale del martire siciliano, avvenuta proprio in quel santuario a cui Puglisi era molto legato.

Incisa sulla lapide la scritta: «Cristo diventò per me una persona, un amico. Ogni momento della mia giornata io lo riferivo a Lui, me lo sentivo sempre vicino», tratta, ci ricordava sempre Nasca, da uno scritto del trentenne don Puglisi che si riferiva ad un periodo giovanile da seminarista. Questo scritto si conclude con un altro pezzo, ossia la scoperta sempre più evidente, dopo l’accesso al presbiterato, della presenza di Cristo anche negli altri.

Sono stato anche recentemente nel Santuario della Madonna dei Rimedi per il mio consueto giro pasquale del venerdì santo, ma non conoscendone l’esistenza, non ho cercato e comunque non ho visto la lapide. Ci tornerò. Molte ormai sono le tracce di don Pino, e non soltanto nei luoghi di culto. La mafia, quella sera del 15 settembre 1993, aveva pensato di spegnere insieme a una vita la profezia che si portava appresso.

Ma, così come con Falcone, Borsellino, La Torre, Mattarella, Livatino, Impastato, Grassi, e potremmo continuare, non ha fatto i conti con quello che alcune biografie rappresentano. Da vive e, ancora di più, quando il loro sangue viene sparso a causa del loro impegno contro le mafie e i mafiosi in carne e ossa.

Quel 15 settembre 1993, ma gli uomini di Cosa nostra non potevano saperlo, quando erano passati da qualche mese i 43 anni di sacerdozio, quell’ordinazione del 2 luglio 1960 ha trovato il suo sigillo. Che non ha chiuso una storia. Ma l’ha ampliata in eterno a tutte le latitudini. Il 2 luglio 1960 don Puglisi stava per compiere 23 anni, essendo nato il 15 settembre 1937, proprio il giorno di quel colpo alla nuca, in occasione del suo 53° genetliaco.

Proprio ad inizio luglio del 1993, la memoria potrebbe tradirmi, ma credo fosse proprio il giorno della sua ordinazione, risale il mio ultimo incontro con 3P a Brancaccio, circostanza che riporto nel libro su Don Pino, Beato fra i mafiosi, pubblicato nel 2013 per Di Girolamo Editore. Era sera, avevo appena lasciato l’auto nel garage a due passi da San Gaetano e stavo rientrando verso casa, a piedi più di un quarto d’ora.

Erano passate le 22. A un certo punto vedo un’auto alquanto malmessa affiancarsi a me, si apre il finestrino e una voce mi chiede se voglio un passaggio verso casa. Era don Pino. Non lo vedevo da qualche anno, lo avevo incrociato molto da vicino all’inizio del suo parrocato a Brancaccio. Ci fermammo davanti casa mia e mi raccontò, soprattutto, il suo stato di profondo malessere rispetto a ciò che le istituzioni non facevano per il quartiere.

“Se non fanno le cose per il quartiere mi incatenerò al ponte di Via Giafar”. Chi ha conosciuto don Pino può capire quanto lontano fosse dal suo modo d’essere quel tipo di protesta paventata. E può dunque misurare lo stato di malessere in cui si dibatteva 3P negli ultimi mesi. Si finì molto dopo mezzanotte. Mi riproposi, dopo il periodo estivo, di tornare in parrocchia a dare una mano.

Ma prima arrivò quella telefonata durante la cena del 15 settembre 1993. Era un amico comune. Lo vedi come ragionano, esordì, riferendosi, poi ho compreso, ai mafiosi. Non capivo e ancora non sapevo, lo avrei appreso pochi secondi dopo. Il presbiterato di don Pino, durante il quale negli ultimi tre anni aveva messo davanti alla mafia quel Cristo richiamato nella lapide che ricorda la sua ordinazione nel Santuario della Madonna dei Rimedi, era caduto sotto la violenza mafiosa.

O meglio. Era caduto il suo corpo. Perché quell’ordinazione presbiterale del 2 luglio 1960 è viva più che mai. Perché la mafia un giorno finirà. La testimonianza martiriale di don Pino durerà a imperitura memoria e, speriamo, con un seguito concreto e quotidiano sempre maggiore quantomeno nelle parrocchie siciliane.

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giovedì 26 giugno 2025

La virtuosa sinergia del Volontariato nell'anno di Palermo capitale.

 Il Mediterraneo 24

23 giugno 2025

“Effetto Volontariato”: 5 associazioni contro la povertà educativa tra Albergheria e Borgo Vecchio

Francesco Palazzo 

https://www.ilmediterraneo24.it/cronaca/periferie/effetto-volontariato-5-associazioni-contro-la-poverta-educativa-tra-albergheria-e-borgo-vecchio/



 Si chiama Progetto Effetto Volontariato ed è stato presentato, anche con un intervento di don Cosimo Scordato, presso la sede dell’Associazione Parco del Sole, in Piazza San Giovanni Decollato, che è la capofila. Il percorso, nell’ambito di Palermo Capitale italiana 2025 del Volontariato, vede in campo cinque realtà. Buon segno. Spesso il volontariato è fatto di isole che non comunicano. Sono coinvolti, oltre la capofila, Ballarò Buskers, Libera Palermo, Santa Chiara e Per Esempio Onlus. L’obiettivo è rafforzare le attività del volontariato impegnato in attività di contrasto alla povertà educativa minorile nei quartieri Albergheria/Palazzo Reale e Borgo Vecchio, aumendando nello stesso tempo il numero dei volontari. E pure questa, la ricerca di nuovo volontariato, è una buona notizia. Massimo Messina, presidente della capofila, sottolinea che per la prima volta sono riferimento di tante realtà. Abbiamo il compito, dice, di tessere le fila del progetto e verificarne l’andamento.Attraverso il progetto, prosegue Messina, saranno potenziate le attività musicali e sportive, i laboratori creativi e di pittura e il fondamentale supporto scolastico. Sarà, inoltre, possibile garantire l’apertura durante l’estate. Poi saranno, non da soli, punto di riferimento per i nuovi volontari. La coordinatrice, Maria Letizia Saglimbene, sottolinea che il progetto è nato in risposta al Bando Volontariato 2024 ed è finanziato da Fondazione con il Sud. La durata è di 24 mesi a partire da giugno 2025. Il progetto, continua la coordinatrice, si suddivide in tre macroaree: Centri aggregativi, Giovani e volontariato, Quartiere, comunità e partecipazione. Per la prima macroarea don Dario Spinella, di Santa Chiara APS, spiega che l’intervento si concentra sul ruolo dei centri aggregativi nel quartiere, luoghi sicuri e di riferimento per bambini e  famiglie. Rappresentano, continua, fulcri essenziali nella costruzione di comunità resilienti e inclusive. L’azione del progetto, conclude, rafforza le attività già esistenti con l’inserimento di nuovi volontari. Verranno assicurati e promossi, specifica, supporto scolastico, attività sportive, laboratori espressivi e animazione estiva, con 3 doposcuola potenziati, 4 laboratori soft skills, 6 percorsi sportivi e 3 tempi d’estate potenziati. Per la seconda macroarea, Giulia Manzella, dell’Associazione Per Esempio Onlus, puntualizza le iniziative volte al reclutamento di volontari, con una campagna di sensibilizzazione sui social e l’organizzazione di infoday presso scuole, università e centri di quartiere. I volontari potranno candidarsi online. Poi ci saranno incontri conoscitivi per indirizzarli verso le attività più adatte. Una figura dedicata, continua Manzella, si occuperà del matching tra volontari e organizzazioni, garantendo il loro corretto inserimento. Per promuovere il protagonismo giovanile, il progetto prevede la realizzazione di 10 iniziative ideate e realizzate da giovani. A ciascun gruppo sarà assegnato un piccolo budget per realizzare le attività. Giulia ci da anche i numeri possibili di questa macroarea: 200 nuovi volontari coinvolti, 6 infoday e uno sportello di volontariato. La terza macroarea ci viene descritta da Francesca Leone (Ballarò Buskers) ed Eliana Messineo  (Libera Palermo). Leone sottolinea che l’azione si sviluppa su 3 assi: animazione territoriale, riqualificazione urbana ed educazione alla legalità. L’animazione territoriale consiste in attività volte ad animare i quartieri per aumentare la partecipazione. Grazie ai volontari si darà supporto a eventi come il Ballarò Buskers Festival. Per quanto riguarda la riqualificazione urbana, continua Leone, lo spazio gestito da Ballarò Buskers, affidato all’associazione dal Comune di Palermo, grazie al finanziamento si trasformerà in un un luogo aperto a tutti. Eliana Messineo, di Libera Palermo, ci spiega la parte di questa macroarea legata all’educazione alla legalità. Prevista la partecipazione alle principali manifestazioni promosse da Libera in memoria delle vittime di mafia e la realizzazione di incontri nelle scuole. Per rafforzare il coinvolgimento dei volontari e accrescere il loro senso di appartenenza alla comunità, Libera organizzerà campi estivi. Michela Uzzo, del CESVOP Palermo, ritene che questo progetto sia in linea con lo spirito e gli obiettivi di Palermo Capitale 2025 del Volontariato. Un anno che si propone di raccontare e valorizzare le realtà che operano nel campo del volontariato. L’obiettivo è quello di coinvolgere tanti cittadini nelle pratiche solidali e nella partecipazione civica. 

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lunedì 9 giugno 2025

Parroci e parrocchie. Comunicare a tutti e meglio.

 PORTA DI SERVIZIO

Notizie Chiesa locale e universale

6 giugno 2025

Anche una parrocchia può sfruttare al meglio i canali del web

Francesco Palazzo

https://www.portadiservizio.it/2025/06/06/anche-una-parrocchia-puo-sfruttare-al-meglio-i-canali-del-web/



Ai tempi del Covid tanti aspetti delle nostre vite sono mutati, soprattutto quando più stringenti furono le necessarie limitazioni ai movimenti. Tutti allora iniziammo a utilizzare al meglio le opportunità fornite dalla rete. I cellulari e i computer diventarono finestre sul mondo globale e sugli universi familiari. Non si guardavano gli schermi soltanto per richiudersi nei propri perimetri, come si è tornati a fare, ma per dialogare con gli altri che non potevamo toccare.

Anche la vita delle parrocchie, vuote di fedeli, cambiò molto. Tutti ricordiamo le celebrazioni eucaristiche trasmesse in rete e veicolate attraverso i social. Ma anche i vari messaggi e le riflessioni che i presbiteri mettevano a disposizione sul web. Personalmente seguivo molto e con estremo interesse questa nuova, ancorché imposta, fase comunicativa dell’aspetto religioso. Ciascuno in genere conosce soltanto il prere della propria parrochia. In quei mesi conoscemmo tanti parroci.

Gli anni del Covid

Dopo la stagione emergenziale molte cose fortunatamente sono rientrate. Ma quegli anni ci hanno insegnato tanto anche in relazione alle buone pratiche che abbiamo messo in campo. Ci sono aspetti che meritavano e meriterebbero una riflessione mirata all’azione e non il completo abbandono che invece hanno conosciuto. In questo ambito di ragionamento parliamo proprio della possibilità, perché no, feconda, di tornare a utilizzare stabilmemte i social, e questa volta per scelta consapevole e non obbligata, al fine di fare conoscere al più ampio pubblico la vita delle parrocchie.

Sia chiaro, nulla può sostituire la presenza fisica e le relazioni, spirituali, di fede oltre che umane in questo caso, che si sviluppano quando ci si incontra direttamente. In realtà per qualsiasi comunità, a qualsiasi livello di aggregazione, ciò è imprescindibile. Ma si può trovare sempre una via di mezzo.

Alcune proposte

Ad esempio, per cominciare, anzi ricominciare, dopo la pandemia, i presbiteri delle varie parrocchie, rettorie e altri luoghi di culto, potrebbero mettere a disposizione di tutti dei video con le omelie domenicali e quelle legate a giornate importanti come Natale, Pasqua e altre ricorrenze di rilievo.

Oppure proporre, anche a più voci, riflessioni storiche, teologiche, spirituali, sociali, pastorali, a partire dai nomi che le chiese hanno, sui culti specifici che presentano relativamente ai vari santi, sui rapporti con i territori dove insistono, sulla presenza di gruppi all’interno delle comunità parrocchiali, sulle attività svolte. Non solo questo, anche se già sarebbe tanto. La questione va affrontata a più ampio raggio. Occorrerebbe curare al meglio, e certamente in alcuni casi già verrà fatto, i siti web delle parrocchie, in modo che nella trasposizione sui social tutto giunga chiaramente alla comunità cittadina più ampia e anche alle altre parrocchie. Perché può capitare che non so cosa fa la parrocchia che sta a un chilometro da me. Se lo sapessi potrei fare meglio un’attività o potremmo farla insieme.

E decido di dare una mano!

C’è un grande lavoro nelle comunità parrocchiali, me ne rendo conto scrivendo per questa testata di parroci e comunità parrocchiali, che rimane circoscritto in ambiti molto ristretti. Peraltro, va anche considerato che la massima pubblicizzazione via social delle vite parrocchiali può portare ad una convergenza di presenze fisiche da non trascurare. Mi è piaciuta l’omelia, il messaggio, la riflessione di quel parroco e magari voglio andare a conoscerlo. Sono rimasto colpito dall’attività di quel gruppo parrocchiale di cui ho letto su facebook. E decido di dare una mano. Anche perché si trova magari a due passi da casa e non lo sapevo. I social, lo sappiamo sin troppo bene, inutile nasconderlo, sono pieni di trabocchetti e pericoli, alcuni anche assai gravi. Nonché di una marea inarrestabile di false notizie. Ma sono pure, possono essere, e in moltissimi casi lo sono, un portentoso mezzo di comunicazione in positivo. Soprattutto quando si veicolano contenuti tesi alla crescita spirituale e umana.

Da questo punto di vista sarebbe importante che tutte le parrocchie avessero una persona esperta nella creazione, nell’uso e nell’aggiornamento dei siti web e nell’interazione professionale con i vari social. Devo dire che qualche volta mi capita di ascoltare via social sacerdoti non siciliani proporre riflessioni sul vangelo o su altri aspetti della vita non legati a celebrazioni liturgiche specifiche. Sono spunti che aiutano e che possono aprire e favorire riflessioni personali. In definitiva, si tratta di curare entrambi gli aspetti delle vite parrocchiali senza che si perda nulla per strada. Comunità di fede convocate in luoghi precisi e che da quel luoghi parlano al (e col) mondo attraverso le tante infinite strade che il web, la rete immateriale, permette di percorrere.

https://www.portadiservizio.it/author/francesco-palazzo/ 

lunedì 2 giugno 2025

Biagio Conte, il murale e la porta santa.

 Il Mediterraneo 24

31 Maggio 2025

Viaggio nella vita di Biagio Conte attraverso i murales nella Missione di via Archirafi

Francesco Palazzo

https://www.ilmediterraneo24.it/cronaca/periferie/viaggio-nella-vita-di-biagio-conte-attraverso-i-murales-nella-missione-di-via-archirafi/



A Palermo il 30 maggio si è aperta una nuova porta santa. Per inaugurare il grande murale, 23 pannelli e 18 artisti, realizzato sui muri esterni della Missione Speranza e Carità di Via Archirafi, la missione è stata svuotata, chiuso il portone d’ingresso e poi riaperto. Per ripetere il primo ingresso di Biagio Conte, 33 anni fa esatti il 30 maggio, dopo tredici giorni di digiuno, nella struttura abbandonata.

Anche i poveri hanno diritto a un tetto e a un letto, c’era scritto nei cartelloni allora. Le opere sono un dono dell’Associazione Calapanama. “Noi disegniamo il sabato alla Cala – dice Mariella Ramondo – con il cappello chiamato panama. Una ragazza ci ha appellati Calapanama. Siamo pittori, musicisti, letterati. Abbiamo realizzato il muro della legalità alla caserma Carini e dipinti sulla Divina Commedia. Siamo nati nel 2021. Realizziamo anche cravatte della legalità, questa con il volto di Impastato. Abbiamo portato in giro per cinquanta chiese una mostra su don Puglisi, ora si trova nella chiesa di San Marco al Capo”.

I dipinti, che costeggiano il perimetro della Missione, riproducono i momenti più importanti dell’impegno di Biagio Conte. Si inizia con l’immagine del fratello laico e del suo cane, Libertà. Un dipinto, che ritrae anche il cardinale della Sagunto espugnata, ricorda gli esordi alla stazione centrale. “Andò dal cardinale Pappalardo – ricorda don Pino Vitrano, che con Biagio ha fondato la missione – e alla richiesta di cosa potesse fare per i poveri, il frate laico gli disse che poteva benedirli. Dopo una settimana Pappalardo fu lì”.

La più giovane dell’Associazione Calapanama è Giusy Lo Medico. “Lavoravo in un negozio di oggetti etnici, ho sempre dipinto e ho fatto un percorso scolastico specifico, una cliente mi ha segnalato i Calapanama e sono entrata nell’associazione, ora è questa la mia professione. Dovrei ritrarre Falcone e Borsellino in una scuola a Bagheria”. La fotografo davanti ai due dipinti dove ha messo mano, quello che del viaggio di Fratel Biagio in Trentino e l’altro che riproduce la spianata del Foro Italico con Biagio che prega insieme ai musulmani.

Don Pino, col cappello dei Calapanama, spiega tutti i dipinti. Ci dice che la Missione ha sperimentato un ecumenismo pratico donando materie prime legate all’esercizio delle diverse fedi. Mentre parla alla folla radunatasi dentro la missione, ricorda l’ulivo proveniente da Gerusalemme regalato da Rita Borsellino e la prima palma piantata da Frate Biagio quando la struttura conteneva solo quattro tende. Due pezzi di questo lungo murale ricordano la visita di Papa Francesco in missione nel 2018. Due persone della missione nel dipinto che ritrae il pranzo col pontefice ora non ci sono più – chiosa don Pino – che è una miniera di ricordi. Come quello che riprende la scritta sul frontespizio della missione. “Un giorno vennero dei funzionari ricordando che avevano fatto tanto. Da dentro la chiesa sentii Biagio gridare contro di loro, utilizzando la frase: “Il Signore sino a oggi ci ha soccorso”.

Mariella Raimondo racconta che la gente del luogo ha collaborato. “Nel pezzo di murale che ritrae la croce piantata da Biagio allo Sperone ci sono i volti di diversi bambini della zona. Mentre dipingevo è come se fossi guidata da Biagio”. Don Pino svela un episodio. “Quando Biagio andò allo Sperone a piantare la croce, due gli si avvicinarono intimandogli di andare a piantarla ai Rotoli. Lui andò avanti. Dopo tanti anni i due lo andarono a trovare piangendo, chiedendo scusa e pregando di aggiungere un crocfisso, cosa che facemmo subito. Oggi in quel luogo c’è il murales che ritrae Biagio”.

Non poteva non esserci il primo pulmino della missione notturna. Si vede Biagio con la conchiglia del pellegrino, immagine arrivata in missione dopo la morte. Uno dei dipinti, ci dice don Pino, parla di una pesca miracolosa. Un altro del terreno coltivato a Tagliava per dare da mangiare alla missione. Poi quello della permanenza presso i pastori a Raddusa. C’è la visita di Benedetto XVI, ritratto mentre saluta Biagio. Don Vitrano rivela che il papa intratteneva tutti per pochi secondi, alla delegazione della missione vennero dedicati cinque minuti. Ci sono pure ritratti gli ultimi anni di Biagio. Come il suo rifugio presso il Monte Grifone che sovrasta Palermo. Don Pino, e qua invece siamo agli inizi, ci descrive la conoscenza, attraverso un libro che gli era stato regalato da un pastore di Raddusa, di San Francesco da parte di Biagio. E un pezzo di murale lo ritrae ad Assisi. Viene pure riprodotto un suo viaggio a Bruxelles, che Biagio osserva mentre beve acqua da una bottiglietta. C’è anche il pellegrinaggio a Lourdes, in cui Biagio rivela la sua guarigione. Don Pino ci racconta la sua ritrosia, poi vinta, ad immergersi. Un libro a cielo aperto questa lunga opera d’arte a più mani. Dentro il quale non poteva mancare lo sciopero della fame, per scongiurare l’allontanamento dall’Italia di un giovane della missione, Paul, morto oggi, fatto da Biagio nel luogo dove la mafia uccise Don Puglisi. La cui statua compare nel disegno. Frate Biagio e don Pino. Due esempi di santità diversi e simili. Che tracciano dei percorsi di guarigione di Palermo. Che non stanno nell’alto dei cieli, ma che sono percorribili da tutti.





venerdì 30 maggio 2025

Di sera per strada o tra le famiglie, dai volontari di “Per la Rosa” un aiuto ai più poveri

 Il Mediterraneo 24

28 maggio 2025

Francesco Palazzo 

https://www.ilmediterraneo24.it/buone-notizie/di-sera-per-strada-o-tra-le-famiglie-dai-volontari-di-per-una-rosa-un-aiuto-ai-piu-poveri/





Ci sono pure la moglie del fruttivendolo che per Natale, Pasqua ed Epifania dona di tutto e il pescivendolo di famiglia a contribuire. Ma anche la persona inviata dai servizi sociali che, terminato il periodo, torna a dare una mano. Venerdì 23 maggio è la giornata mensile in cui, presso la sede dell’organizzazione di volontariato Per la Rosa, unità di strada diurna e notturna, con sede a Palermo in Via Corradino di Svevia 19, arriva il TIR di derrate alimentari provenienti dal Banco delle opere di carità, con sede a Carini. Silvia Modica è la presidente. “Il nome era stato pensato in riferimento alla violenza sulle donne. Ci siamo anche occupati di questo, ma con il Covid che ha devastato la città, ci siamo dedicati agli ultimi e alle famiglie che si sono ritrovate in povertà per mancanza di lavoro”. La sede dell’associazione è un unico vano, a partire dalle 16 si comincia a riempire. Gli apporti volontaristici sono tanti. Come il magazziniere di un supermercato che si occupa, insieme ai lavoratori di pubblica utilità inviati dal tribunale, della sistemazione di quanto arriva in un luogo non molto grande.

“Tutti i lunedì alle 20 – continua Silvia – usciamo con una squadra di 8 persone con 80/85 pasti completi e caldi, e tanto altro,  abbigliamento, coperte, scarpe”. Le tappe di questo notturno viandare sono Piazzale Ungheria, Piazza Tredici Vittime, poi dalle parti dell’Ucciardone, quindi il marciapiede adiacente il Nautico, si prosegue in zona Piazza Kalsa per finire alla Stazione. Altre realtà assicurano la stessa attività negli altri giorni della settimana. “Quando andiamo in giro – dicono Carmela Provenzano, vice presidente dell’associazione che conta 25 iscritti, e la sorella Daniela – ci rendiamo conto che queste persone, che nessuno vuole toccare, hanno bisogno non soltanto di cibo, ma di un abbraccio, una parola di conforto”. Riprende Modica: “Nonostante tutto ciò che si, fa tra il 2024 e il 2025 ne sono deceduti quattro a noi cari, perché dormire su una panchina o a terra è la fine della vita”.

Ci sono singole storie, alcune conclusesi bene, altre no. Una ragazza è riuscita a risalire, adesso ha un lavoro stabile. A un’altra persona avevano fatto avere una roulotte. Ci sono italiani e stranieri. Prima del Covid si sono dedicati all’accoglienza nel dormitorio Agape, servendo la cena due volte a settimana e concludendo con il dessert preparato da loro. Nel dormitorio San Francesco si occupavano della boutique, donando abbigliamento agli ospiti che afferivano da tutti i dormitori. Ma non c’è solo il lavoro sul territorio. Ce lo spiega la presidente: “Assistiamo 170 famiglie con i prodotti che ogni mese arrivano. Oggi immagazziniamo, nelle prossime settimane faremo la distribuzione a chi è in regola con l’ISEE”.

Le donazioni, in soldi o derrate alimentari, giungono anche dai privati. L’associazione finanzia le proprie attività pure con eventi benefici. Un concerto il 24 maggio a Bagheria. Un altro spettacolo, dal titolo “Un giallo musicale o quasi”, è previsto a Palermo il 29 maggio. La sera del 23 maggio c’è stato uno spettacolo teatrale, “Mai capitato al mondo“, in memoria del 33° anniversario della strage mafiosa, organizzato anche dalla compagnia “I senza dimora”. C’è pure l’attività di raccolta davanti ai supermercati e per ritirare i prodotti in scadenza. I panifici e i bar donano l’invenduto. Per i piccoli di due case famiglia, ai quali portano pure del cibo, stanno organizzando per il 7 giugno la visita ad un maneggio a Partanna Mondello, dove si divertiranno con i cavalli e i giochi. Silvia ricorda una giornata importante. “Il 17 novembre 2024, Giornata mondiale del povero che festeggiamo ogni anno, abbiamo fatto un pranzo alla Chiesa della Gancia con 160 persone e 20 tavoli apparecchiati, con la partecipazione del Banco delle opere di carità e dei volontari di Fra Loris”. I lavori di scarico proseguono. L’attività ferve. Appena il tempo di indicare altre storie, visi, sofferenze. Silvia Modica conclude: “Tanto altro si fa, spesso ci si interroga se potremmo fare di più. Può darsi, ma senza un valido aiuto da parte delle amministrazioni, non si può”. Mi trasferisco sotto l’Albero Falcone per il rito annuale della memoria. Anche chi pensa ai più poveri e sofferenti, rifletto mentre suona il silenzio, contribuisce a costruire dignità e giustizia a Palermo. 



mercoledì 21 maggio 2025

Il Palermo all'ottavo posto. Palermo in coda alle classifiche.

 Rosalio Il blog di Palermo

19 maggio 2025

Palermo calcio, da questo campionato è (quasi) tutto

Francesco Palazzo

https://www.rosalio.it/2025/05/19/palermo-calcio-da-questo-campionato-e-quasi-tutto/



Ciascun seguace di qualsiasi squadra, di qualsiasi sport, a qualsiasi livello, vorrebbe chiaramente che i propri colori si affermassero sempre e brillassero nel firmamento di questa o quella disciplina sportiva. Non sfugge ovviamente a questa regola chi segue più da vicino i colori rosanero e si appassiona alle sorti del Palermo. Parliamo di circa trentamila/cinquantamila persone, tra quelli che vanno allo stadio più o meno abitualmente o una tantum per le occasioni importanti e quanti opzionano il divano di casa e il televisore, su un totale della provincia di Palermo superiore a 1 milione e duecentomila abitanti. Poco più del 4% della sola provincia palermitana. L’1 per cento di tutta la Regione Siciliana. Insomma, relativizziamo. E dobbiamo pure relativizzare e scrutare meglio se guardiamo insieme al Palermo e a Palermo. Da tre stagioni i rosanero sono arrivati in vetta in serie B, che corrisponde ai play off giocati dal terzo all’ottavo posto. Le ultime due indiscutibilmente, il primo anno rimanendo fuori di un pelo ottenendo però gli stessi punti dell’ottava, il Venezia. Focalizziamo questo ottavo posto. Se Palermo, la città, per quanto riguarda la qualità della vita, lo sviluppo, la civiltà degli abitanti e tanti altri parametri relativi al quotidiano, fosse così in cima, in zona promozione, e non invece relegata, come è, in fondo a tutte le classifiche che appunto misurano ogni anno la qualità della vita, non sarebbe male. Magari i rappresentanti delle istituzioni cittadine che si recano allo stadio o sono tifosi e commentano potrebbero pensarci. Senza contare che il Palermo è in solide mani finanziarie, che spendono denari pure per lo stadio, ha un centro sportivo, ed è risalita velocemente dal baratro in cui era caduto nel 2019. Il City Football Group, holding finanziaria di prima grandezza, è stato chiaro. Se non siamo graditi possiamo pure andare via. Se così sarà, speriamo di no, magari i soldi poi li metteranno quelle poche centinaia di rumorosi e tumultuosi ultrà, incassando le royalty sulla proprietà intellettuale del grido, becero e incivile, “chi non salta è catanese” o robetta simile. A questi esimii rappresentanti del Palermo e di Palermo va ricordato che rappresentano, fortunatamente, solo e soltanto se stessi. E che la proprietà è invece benvenuta dall’altro 99% del Palermo e di Palermo. Frequentando il Barbera ho l’impressione che per alcuni la partita sia lo sfogatoio di problemi e frustrazioni personali. Ecco, per queste cose vi sono professionisti in grado di orientare meglio le esistenze.

Per quanto concerne il lato più tecnico, va tenuto conto che una squadra senza gioco e senza impegno, come sostengono migliaia di commissari tecnici della nazionale assisi sugli spalti del Barbera e una congerie di commentatori che i social e quello che a misura di social è diventato il giornalismo, moltiplicano a dismisura, non ottiene 49 punti il primo anno, 56 il secondo e 54 il terzo di cadetteria. Certamente si poteva e si dovrà fare meglio, ma le promozioni non sono un biglietto immacolato che si porta all’incasso come se vincere i campionati fosse un’investitura divina che si ottiene chissà per quale imperscrutabile motivo ad inizio stagione immersi nel solleone agostano. Vi sono tutte le condizioni per fare campionati più di vertice. Nel frattempo non si può andare allo stadio mugugnando insoddisfazione di continuo. Come si è fatto in questi ultimi tre anni, partita dopo partita. Tanto che non si capisce cosa si vada a fare allo stadio con questa disposizione d’animo perenne e triste. E non si parli dei tifosi che vanno in trasferta facendo sacrifici. Quelli li fanno i lavoratori che si spaccano la schiena dalla mattina alla sera. Non confondiamo il gioco e il divertimento con le cose serie. E comunque gli stadi non sono ambiti territoriali dove si può andare a dire di tutto a chi è in campo, arbitri compresi, lanciare fumogeni o fare scoppiare petardi. Il codice penale vale pure dentro gli impianti sportivi. Ed è davvero brutto, diseducativo, molto allarmante direi, vedere e sentire genitori con pargoli al seguito che vomitano parolacce molto al di sotto della cintola emulati ovviamente da coloro che hanno generato.

Personalmente, il prossimo campionato rinnoverò l’abbonamento. L’ho fatto sin dalla serie D, quando un imprenditore palermitano come Dario Mirri, più che parole, sport in cui al sud molti sono imbattibili campioni olimpici, ha messo in campo dei fatti portando subito i rosanero in C, successivamente trasferendo il progetto in mani strasicure e comunque continuando a seguire con passione da presidente in piedi appoggiato a un pilastro della tribuna autorità le partite al Barbera. Non perchè pretenda abbonandomi chissà cosa, magari di vincere lo scudetto e la Champions nel giro di qualche anno. Ma per sostenere un percorso serio che ha una sua importante solidità. Quando vado allo stadio oltre la partita guardo e valuto pure questo aspetto fatto di tanti dettagli. Magari a Palermo vi fossero altre realtà importanti, private e pubbliche nello stesso tempo, da sostenere come questa. Invece abbiamo il disinteresse della stragrande maggioranza dei cittadini da un lato, e i vari lamentatoi dall’altro. Atteggiamenti da sottosviluppo conditi pure di superbia. Che porta, nel caso specifico del Palermo calcio, a mettere alla berlina chi sta cercando di curare, con tutte le difficoltà che presentano le cose umane, il presente e il futuro della società di viale del Fante.

sabato 17 maggio 2025

Lo ZEN, il parroco, le due vocazioni e la Madonna a lutto per la tragedia di Monreale

 Porta di Servizio 

Notizie Chiesa locale e universale

15 maggio 2025

Padre Giovanni, la missione allo Zen: “Lavoriamo di più coi ragazzi”

Francesco Palazzo 

https://www.portadiservizio.it/2025/05/15/padre-giovanni-la-missione-allo-zen-lavoriamo-di-piu-coi-ragazzi/



La chiesa parrocchiale del quartiere San Filippo Neri, ai più noto come Zen, è molto grande, sia all’interno che all’esterno, con un lungo viale alberato e molto curato e un campetto di calcio nuovo dove quattro ragazzi si sfidano all’ultimo fiato.


LA MADONNA NEL QUARTIERE

Padre Giovanni Giannalia, nativo di Villabate, studi commerciali, linguistici e artistici, ma pure un periodo di lavoro dentro l’azienda familiare di infissi, è il parroco. Dentro la chiesa la Madonna di Fatima indossa un nastro nero come simbolo di lutto per i gravissimi recenti fatti di sangue a Monreale. Qualche giorno fa è stata portata in giro in silenzio per il quartiere.


LA VOCAZIONE 

“La mia vocazione è arrivata a 30 anni. Partecipavo agli esercizi spirituali dell’Istituto del Verbo Incarnato e ho sentito la chiamata del Signore. Ho lasciato il lavoro e la mia terra e sono entrato in questo istituto religioso divenendo missionario”. La famiglia religiosa del Verbo Incarnato è presente in tutti i continenti, la sede centrale italiana è a Montefiascone, in provincia di Viterbo. L’istituto è stato fondato in Argentina nel 1984 da Padre Carlos Miguel Buela. È composto da due rami: uno apostolico e uno monastico-contemplativo. C’è anche un ordine femminile, le Serve del Signore e della Vergine di Matarà. Anche questo istituto ha un ramo apostolico ed uno monastico-contemplativo. Una ragazza dello Zen da un anno è novizia a Monreale. Ed è una notizia che mi ha colpito.


IL RITORNO A PALERMO 

Padre Giovanni, dal cui eloquio spunta ogni tanto l’accento palermitano, continua. “Sono stato impegnato nella formazione per 7 anni, poi 13 anni parroco a Prato. Nel maggio 2022 divento parroco in questa parrocchia. Mi sono proposto io stesso per questa missione. Avevo nel cuore il desiderio di spendermi apostolicamente nella mia terra da cui mancavo da 20 anni”.


UN'ALTRA VOCAZIONE NATA ALLO ZEN

In comunità sono tre e abitano tutti in canonica. Ad un certo punto si apre la porta e fa capolino un prete in talare. Si tratta del viceparroco, ci dice padre Giannalia. È padre Filippo Riela, vissuto per tanti anni a cento metri dalla parrocchia, dentro lo Zen 2. Racconta la sua vocazione. “Siamo originari di Pallavicino. È venuta una zia mia a stare qua. Poi mio padre è stato licenziato a causa di un infortunio sul lavoro ed è venuto allo Zen 2. La vocazione è nata tramite mio nonno che mi portava sempre in chiesa. All’inizio un po’ mi vergognavo della mia vocazione perché lo Zen è un po’ così. Non venivo qua in chiesa, andavo in tutte le altre parrocchie. Un giorno mi sono chiesto il perché non dovessi venire qua, ho iniziato un cammino con tante difficoltà nel quartiere, ho conosciuto l’Istituto del Verbo Incarnato in parrocchia e la mia vocazione ha trovato un approdo”. La sua famiglia non sta più allo Zen ma ha ancora tanti parenti nel quartiere. “Nella famiglia di mio padre i figli erano 11. Diversi hanno provato allo Zen a seguire la vocazione religiosa ma non sono arrivati in fondo”.


I GIOVANI E LE FAMIGLIE 

Padre Giannalia ascolta con molta attenzione. Padre Filippo saluta e lui riprende. “Conoscevo il quartiere da prima di arrivarvi come sacerdote. Avevo, e ho, dei cari amici che abitano proprio qui e uscivamo insieme. Venendo qui mi aspettavo un grande lavoro con i ragazzi e le famiglie. Sapevo che avrei trovato problematiche complesse e che sarei stato più esposto all’attenzione mediatica, e così è stato, soprattutto in quest’ultimo periodo purtroppo per i tragici fatti di Monreale. Spero di poter presto tornare sui media ma per testimoniare il bene di cui tanta gente, che qui vive, è capace e può costruire”.

“Nella mia precedente parrocchia a Prato mi trovavo in un contesto complesso per l’impatto che aveva avuto nella città, e nel mio quartiere in modo particolare, lo sviluppo di una comunità cinese che è arrivata a quota 40 mila (in una città di meno di 200 mila abitanti). Un po’ una profezia di quello che può accadere in Italia dove c’è un tasso di natalità bassissimo. Non è così in questa parrocchia che è anzi in controtendenza con una media di tre figli e famiglie molto giovani. Devo dire che questo me l’ha resa da subito molto simpatica, anche se vedo pure i tanti problemi legati ai giovani e alle famiglie”.


LE SINERGIE DEL QUARTIERE

Gli domando come lavora con le altre parrocchie vicine, con le associazioni e le scuole del territorio. “Con le parrocchie limitrofe siamo in contatto e ci sosteniamo a vicenda quando c’è qualche bisogno. C’è il desiderio di fare di più insieme e certamente dobbiamo sforzarci maggiormente in questo senso. Sul territorio sono presenti diverse scuole, la Falcone, lo Sciascia, l’Istituto Maiorana. Siamo in contatto e collaboriamo e anche qui speriamo di poter fare in futuro ancora di più. Stessa cosa con le associazioni. La parrocchia ha anche un gruppo forte di volontari che recentemente è stato in grado con le sue sole forze di eseguire lavori articolati e complessi all’interno della Chiesa. Oltre ai volontari, ci sono anche una ventina di persone impegnate nei lavori socialmente utili. L’interscambio con il territorio si è fatto più intenso e il nostro obiettivo adesso è lavorare di più con i ragazzi”. Al momento la parrocchia ospita una clinica oculistica che rimarrà per circa un mese offrendo visite gratuite alle persone bisognose alle quali poi, in caso di bisogno, vengono donati gli occhiali. Il campo di calcetto è stato ammodernato con il contributo della Caritas italiana e il giardino della parrocchia è mantenuto dal volontariato locale. L’età media delle persone che frequentano la chiesa è alta come dappertutto. Ma con le comunioni la cosa cambia di molto sottolinea il parroco. “Abbiamo otto turni di prima comunione, più di venti bambini ogni turno. È un evento molto sentito, anche se spesso è vissuto come una festa mondana che poco ha a che vedere con il senso profondo dell’Eucarestia. Da questo punto di vista siamo contenti della svolta che darà il nuovo progetto catechistico nel senso di un approccio ai sacramenti e alla fede più profondo, consapevole e che coinvolgerà maggiormente i genitori”. Ma cosa si può fare con un quartiere così? “Tantissimo e quello che accade è per noi un grido d’allarme fortissimo a lavorare e pregare di più per la rinascita del quartiere e la salvezza di tanti giovani e famiglie. In particolare, proprio nel mondo giovanile, già da tempo percepiamo un crescente disagio ed una debolezza diffusa che poi diventa emulazione di modelli sbagliati e distruttivi che purtroppo qui appaiano come vincenti. Anche in quest’ottica leggerei i recenti e terribili fatti di Monreale”.

L’agenda giornaliera di una parrocchia come questa lascia pochi spazi. Dobbiamo concludere. E lo facciamo con una domanda sull’avvicendamento in Vaticano. Padre Giovanni Giannalia ha le idee chiare. “Papa Francesco ha molto semplificato la comunicazione tra il Papa e la gente semplice. Papa Leone mi è piaciuto perché è apparso una figura mite e nello stesso tempo vigorosa”.