domenica 21 novembre 2010

La compagnia del lei non sa chi sono io

Domenica 21 novembre 2010
Il club degli amici delle vittime

Francesco Palazzo

Pareva, negli anni novanta, dopo le stragi, che tutto quel sangue versato fosse almeno servito per raggiungere una consapevolezza condivisa, una soglia del dolore comune. Che l’asticella di quanto è possibile tollerare, non soltanto dentro le aule dei tribunali, ma in primo luogo nelle strade della nostra vita quotidiana, pubblica e privata, fosse stata posta molto in alto. Non è così, ci siamo sbagliati ancora una volta. Quella della politica la si può varcare a piacimento. Ci puoi passare sia sopra che sotto. Oppure di lato. A giorni alterni. Quando conviene. Basta poi pronunciare la frasetta magica che risolve tutto. Blaterata a pieni polmoni. Con voce roboante e arrogante quanto basta. Sulla questione morale non deve darci lezioni proprio nessuno. Quante migliaia di volte abbiamo sentito queste parole? Abbiamo i padiglioni auricolari sanguinanti. Noi, e sottolineo noi, così finisce la litania, siamo il partito di questo e quell’altro. Come se bastasse, per affrontare con coerenza e dignità il presente e il futuro, uscire dal taschino azzimato i santini sanguinanti di chi non può più alzare il dito e dire la sua. Utilizzandoli, i santini, come lasciapassare per se stessi e alla stregua di tanti cartellini rossi. Che espellono dal campo del dibattito chiunque voglia discutere, nel merito, oltre la propaganda, su fatti e persone. Sono sempre buoni i santini. Si possono utilizzare in ogni occasione. Non sempre per lo stesso verso. Una volta per il dritto, l’altra per il rovescio. Chi se ne importa. Chi ha l’alibi morale incorporato come l’airbag nelle auto, può fare questo e altro. Del resto, si tratta di un giochetto facile facile, basta mettere diligentemente una parola dietro l’altra. E che si pagano le parole? Servono ai vivi per chiamare i morti. Per convincere, e convincersi, di essere sulla giusta strada. Si dimentica che i morti ci parlano forte e chiaro già attraverso le loro storie, non hanno certo bisogno di essere piegati alle piccole, a volte ambigue e di basso conio, esigenze di bottega. Quello che si fa, quando si hanno responsabilità pubbliche, se davvero merita, dovrebbe brillare di luce propria. Se si prova a illuminarlo di luce riflessa, quella di chi ha pagato il prezzo della vita per non chinare la testa, vuol dire che si hanno in mano false monete. E poi, appropriarsi di talune biografie, è più che sospetto. Se provassimo a portare per un attimo indietro gli orologi della storia e della cronaca, potremmo accertare come in molti casi la macchina del fango, quando i morti erano vivi pure loro, non li risparmiò affatto. E, talvolta, sorpresa delle sorprese, gli amici di oggi sono i nemici giurati di ieri. In Sicilia, i morti per mano mafiosa hanno tanti affettuosi e teneri compagni di viaggio. E’ semplice essere amico di un morto. Basta, ogni tanto, portare un fiore, anche appassito o di plastica, sulla tomba sempre affollata della retorica. E non c’è nessun settore dello scibile umano più pieno di retorica della politica. Non se ne può più. Almeno in questo mettiamoci un punto. Siamo tutti maggiorenni e vaccinati. Dunque, in grado di capire, da soli, senza l’aiuto di improbabili maestri di vita, che spesso alla dura pratica preferiscono la spumeggiante teoria, cosa hanno fatto i morti. E, soprattutto, cosa fanno, oggi, i vivi. Ai quali non servirà a nulla nascondersi dietro la memoria dei giganti. Tanto, se uno è nano, si vede lo stesso.



venerdì 19 novembre 2010

PD, voti e rivoluzioni

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 44 del 19/11/2010 - Pag. 46
PD tra consenso e riforme
Francesco Palazzo

Le scelte del PD siciliano, oltre il risvolto giudiziario, possono essere valutate anche dai due punti di vista politici accampati dai democratici. Il PD sostiene di avere spaccato il centrodestra, ponendo le basi per l'alternativa. Ciò dovrebbe concretizzarsi, per mantenere i democratici un ruolo non marginale in futuro, in un aumento di consenso. L'altra motivazione del PD sono le riforme, provvedimenti le cui conseguenze devono essere percepite e misurabili. Primo punto. Il PD, sostenendo di aver prodotto uno sconquasso nel panorama politico, non si rende conto che alcuni meccanismi di riposizionamento erano già in corso sullo scenario nazionale. Il centrodestra, sgretolandosi, ha prodotto tre nuovi partiti, FLI, PID e Forza del Sud, i quali, sommati ai preesistenti MPA, PDL e UDC, se si rivotasse oggi, o anche tra qualche anno, è molto probabile che si riprenderebbero, con qualche punto di interesse in più, quel 68,1 per cento totalizzato dal centrodestra nel 2008 alle elezioni regionali. La divisione di pezzi di ceto politico siciliano, non implica affatto che i voti volino come farfalle nella casa dei democratici. I quali, visto il voto d'opinione che guida i suoi elettori, rischiano, a destra, di cedere più che di prendere. Alla sinistra del PD, in Sicilia è facile pronosticare, nelle tornate elettorali future, come previsto nel resto del paese, delle buone performance di IDV, SEL e Grillini. Ciò si tradurrebbe in un'ulteriore emorragia dal forziere democratico. Insomma, né quanto sta accadendo ha per protagonista assoluto il PD, come sopravvalutandosi credono alcuni suoi esponenti, né questo partito può verosimilmente attendersi di guadagnarci in termini di voti. Allora, perché lo fanno? Dicono per il bene della Sicilia e indicano le riforme approvate. Siamo al secondo punto. Scuola, lavoro, sanità, acqua, rifiuti, apertura pomeridiana delle scuole, esenzione ticket. Questi i titoli. Domanda. C'è qualcosa che ci permette di capire, oggi, quanto c'è all'opera dietro questo afflato riformistico? Per l'acqua c'è una norma che impegna la regione, nel 2011, a fornire alle amministrazioni i parametri per eventualmente disdire, senza oneri, i contratti con i privati. Non c'è traccia, intanto, del comitato consultivo degli utenti previsto dalla legge. Gli esperti affermano che si tratta di aria fritta, infatti hanno presentato all'ARS una proposta di legge di iniziativa popolare, supportata da 35 mila firme, e si chiedono che fine abbia fatto. Sulla sanità, sinora al cittadino non è dato verificare un solo indicatore che sia migliorato. Nel frattempo può capitarvi di recarvi presso un laboratorio privato convenzionato e pagare per intero le analisi anche se siete totalmente esenti. Tale aspetto interessa l'esenzione dal ticket per le fasce meno abbienti, sempre a partire dal 2011. Sul lavoro, per il credito di imposta, che privilegia lavoratori svantaggiati e disabili, siamo ancora alla definizione delle procedure per la trasmissione delle istanze. Non si tiene, tuttavia, conto della massa di lavoro giovanile, specializzato, costretto a varcare lo stretto. E' recentissimo l'allarme della Banca d'Italia, che stima al 2,6 per cento il calo dell'occupazione in Sicilia nel primo semestre del 2010. Più del doppio dell'1,1 per cento, ossia la flessione registratasi in tutto il 2009. Quasi il triplo della media italiana (0,9 per cento). Più elevato della media del sud (1,8 per cento). Sulla scuola, dal 2011, pure in questo caso niente di misurabile oggi, è previsto, su fondi europei, che tra qualche anno saranno una lontana e sprecata possibilità, e solo per le scuole in zone a rischio, l'apertura pomeridiana. La scuola vive una situazione drammatica. Ben altro potrebbe fare una regione autonomistica. Il piano rifiuti non si è capito ancora cosa è, l'immondizia torna per le strade e si propone d'inviarla a Rotterdam. Tra le altre cose, viene elogiata la stabilizzazione dei precari alla regione. Requisito, saper fare una fotocopia. Ora dobbiamo aggiungere i più di tremila ex PIP, avviati sul sentiero del trionfo. Due messaggi chiari alle giovani generazioni che riempiono scuole superiori e università. Tiriamo le somme. Dal punto di vista elettorale questa operazione politica, per il PD siciliano, se non è lontano dal vero quanto argomentato, appare tutta in perdita. Per quanto riguarda le cosiddette riforme, sono tutte ancora da attuare e, se mai ne vedremo qualcuna realizzarsi, non sembrano affatto decisive.

venerdì 5 novembre 2010

Chiesa e mafia: parole che ritornano, aspettando i fatti.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 42 del 5/11/2010
Pag. 40
Pastorale di frontiera cercasi
Francesco Palazzo

Che la chiesa cattolica in Sicilia lanci anatemi contro la mafia, è certamente un fatto positivo. L'hanno fatto i vescovi nella sessione autunnale della conferenza episcopale siciliana, conclusasi il 27 ottobre. Il punto di domanda è capire se si riesce, finalmente, a fare qualche passo in avanti rispetto a quella che rimane soltanto una, peraltro datata, petizione di principio. Per dirla tutta, affermare, oggi, che la mafia è antievangelica è come sfondare una porta aperta. Anzi, un portone. E non tanto e non solo per noi, ma per gli stessi vescovi. Dal sito http://www.chiesedisicilia.org/, nella sezione dedicata alla CESI, appunto la conferenza episcopale siciliana, rintracciamo un importante documento, firmato da tutti i vescovi di Sicilia e rivolto a laici, sacerdoti, diaconi e religiosi, datato pasqua 1994. Il titolo è “Nuova evangelizzazione e pastorale – Orientamenti pastorali per le chiese di Sicilia”. Si tratta di sedici pagine molto interessanti, contenenti una parte titolata “Mafia, mentalità e comportamenti mafiosi”. Ebbene, in tale documento, sulla mafia viene “ribadita la denuncia, altre volte espressa, circa la sua assoluta incompatibilità con il vangelo”. Le stesse parole che ascoltiamo oggi. Anzi, si dice di più. “La mafia appartiene, senza possibilità di eccezione, al regno del peccato, e fa dei suoi operatori altrettanti operai del maligno”. Più chiaro di così non si può. Eravamo a pochi mesi dell'uccisione di Pino Puglisi e a quasi un anno dal grido di Giovanni Paolo II ad Agrigento. Il bisturi viene infilato ancora in profondità, denunciando la strumentalità della devozione di taluni soggetti, sottolineando che richiedere o cercare qualsiasi intermediazione tramite ambienti mafiosi, rientra nella fattispecie della collusione. Contro tutto ciò la chiesa, nel 1994, oppone la forza del vangelo che è sì “rivolta alla persuasione, alla promozione e alla conversione delle persone, ma è nello stesso tempo intransigente nel non autorizzare sconti o ingenue transazioni per ciò che concerne li male, chiunque sia a commetterlo o a trarne profitto”. Pure in questo caso parole tombali. Il paragrafo si conclude con il riferimento a Pino Puglisi e alla necessità di una pastorale di frontiera. Che però, ecco il punto, non c'è mai stata. Dopo sedici anni da allora ascoltiamo la stessa reprimenda contro il potere mafioso, l'uguale avvertimento ai mafiosi a non utilizzare simboli sacri, l'identico appello a combattere non soltanto l'esercito di cosa nostra, ma anche il clientelismo e la cultura mafiogena. Allora, a volere essere obiettivi, dobbiamo dire che la presa di posizione odierna della conferenza dei vescovi siciliani non è una notizia, anche se ha conquistato le prime pagine. Il neocardinale Paolo Romeo ha annunciato che sono in cantiere diverse iniziative che dovrebbero muoversi sul solco dei messaggi contro la criminalità organizzata lasciati in terra di Sicilia dagli ultimi due papi. Vedremo di che portata saranno. Ma possibile che, dal 1994 ad oggi, per non dire da prima, non si sia messo in cantiere nulla di cui oggi si possa fare un bilancio? L'argomento, come è a tutti evidente, non è di stretta pertinenza clericale o confessionale. Se davvero la chiesa cattolica scegliesse di scendere in campo contro Cosa nostra, andando oltre le dichiarazioni d'intenti, darebbe un contributo notevolissimo e, forse, decisivo. Proprio per questo non si può sempre ripetere, senza mai passare alle azioni conseguenti, il monito antievangelico contro i mafiosi e farlo passare continuamente come una novità. Cosa che è avvenuta tante volte. Basta ripercorrere lo spazio temporale che va dalla storica omelia del 1982 di Pappalardo, su Sagunto/Palermo espugnata, alla pronuncia dei vescovi di questi giorni. Sulle parole, dunque, ci siamo. Bisogna, una volta per tutte, cominciare ad andare oltre. Restiamo, pertanto, in attesa di queste annunciate iniziative concrete. Sperando di non ritrovarci, tra qualche anno, a risentire il successivo anatema, sempre più roboante, di avversione alle cosche. Se davvero si vuole che santini e bibbie siano visti come avversari dai devoti che fanno parte dell'esercito di Cosa nostra, dalla cattolicissima classe dirigente che si nutre copiosamente a quella fonte, dal popolo credente delle borgate che tuttora riserva ai singoli mafiosi coperture materiali e ideologiche, si deve sfogliare il primo capitolo, e poi gli altri successivi, di un libro del quale, sino a ora, non possiamo che condividere solo il titolo e l'introduzione.

venerdì 29 ottobre 2010

Non si vive di solo cattolicesimo

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 41 del 29/10/2010
Grazie, pastore Giampiccoli
Francesco Palazzo

La domenica successiva alla visita del papa, Palermo è tornata alla normalità, niente a che vedere con il giorno di festa precedente in cui la città si è fermata in silenzio per accogliere il grande ospite. Nessuno si è quindi accorto che nel capoluogo c'era un'altra presenza religiosa importante. Nel tempio valdese, a pochi passi dal luogo dove Benedetto XVI ha incontrato i giovani, era ospite Franco Giampiccoli. E' stato, per sette anni, confermato di anno in anno, tra la fine degli anni ottanta e l'inizio dei novanta, la guida di tutti i valdesi italiani. Una specie di papa, più correttamente il moderatore della tavola delle chiese metodiste e valdesi. Il massimo organismo, eletto, che si occupa della gestione della vita ecclesiastica. E' composto da sette membri tra pastori e laici. E già questa conduzione mista sarebbe una rivoluzione per il cattolicesimo. Così come la durata a tempo degli incarichi, per poi tornare tra i tanti. Tanto che Giampiccoli, dopo tale esperienza, è stato, dal 1994 al 2001, semplice pastore della chiesa dove il 10 ottobre ha condotto la seconda parte del culto. Accompagnato dalla moglie Danielle, prima di salire sul pulpito, in giacca e cravatta, era stato seduto in una panca laterale della chiesa, senza onori, poltrone o attenzioni particolari. Per l'occasione i Valdesi di Palermo hanno messo al centro l'iniziativa ecumenica “Tempo per il creato”, celebrata in tutte le chiese europee dal 1 settembre al 4 ottobre. Il tema specifico di quest'anno è stato quello della biodiversità. Un tentativo per sensibilizzare a non mettere in atto comportamenti di morte verso ciò che i credenti ritengono un atto creativo. Sullo sfondo l'opzione della nonviolenza come presupposto di pace, che vedrà nel maggio del 2011, a Kingston, una convocazione internazionale ecumenica. Il pastore Giampiccoli, nel sermone, ha detto che le chiese devono essere umili in questo campo, perché giungono da ultime a interessarsi della salvaguardia dell'ambiente. Anzi, ha osservato che le chiese, quando non giungono in ritardo, frenano. Vi immaginate se il 3 ottobre il papa avesse fatto un'autocritica simile, magari in riferimento alla lotta alla mafia o al deficit di democrazia di cui la chiesa soffre? Ne avrebbero parlato tutti i giornali del mondo. Con la stessa semplicità è stata richiamata da Giampiccoli l'importanza delle offerte durante il culto. I Valdesi hanno deciso di avvalersi dell'otto per mille, destinandolo però non al sostentamento delle comunità e dei pastori, cosa che avviene appunto con le offerte, ma a progetti di natura assistenziale, sociale e culturale, impiegando almeno il 30 per cento per il sostegno ai paesi poveri. Per i valdesi è la norma, per i cattolici, soprattutto se ad annunziarlo, anche solo come auspicio, fosse il suo massimo rappresentante, sarebbe una notizia a nove colonne. C'era molta autoironia nelle frasi del pastore Giampiccoli, il 3 ottobre abbiamo invece visto all'opera un uomo molto più serioso e con molti meno dubbi. A un certo punto ricorda che la moglie spesso lo rimprovera. Siete in grado, gli dice, di fare tanti bei discorsi, ma appena dovere passare alla pratica ecco che giunge l'amen. Allora lui ricorda il Movimento del Gallo Verde. Il simbolo compare all'esterno di tutte le chiese valdesi del nord Europa e ricorda la possibilità del tradimento. Ebbene, il Movimento del Gallo verde richiama a un funzionamento ecologico delle stesse chiese. Prima di predicare agli altri quindi, questo il messaggio conclusivo dell'ex moderatore della tavola valdese, e sappiamo quanto sarebbe attuale per la chiesa cattolica, bisogna essere coerenti nelle proprie pratiche. Prima della benedizione, Giampiccoli invita a prendere un documento. Parla della decisione della chiesa valdese di benedire le unioni delle coppie omosessuali. Altro tema tabù per la chiesa di Roma. Fuori dalla chiesa si poteva firmare contro il nucleare e a favore delle energie alternative. Alla fine della funzione religiosa, Giampiccoli ha atteso fuori dal tempio i partecipanti, tra cui una cinquantina di ghanesi, per il saluto di congedo. Cronache, normali, di una chiesa che non ha i grandi numeri del cattolicesimo. Ma che può indicare, a laici e credenti, ammesso che tale distinzione abbia senso, più di una strada. Per aiutarci a coniugare le convinzioni della ragione e le ragioni delle fedi, che animano quotidianamente le nostre vite.

venerdì 8 ottobre 2010

Vista del Papa: tra latino e repressione, un pallido ricordo di Agrigento

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 38 del 8 10 2010
Pag. 47
Papa, Agrigento è lontana
Francesco Palazzo

Diciamolo chiaramente. Agrigento è rimasta distante da Palermo. Più dei centoventisei chilometri che separano i due capoluoghi di provincia. Sì, alla fine la parola mafia l'ha pronunciata il pontefice, ha anche fatto riferimento a Pino Puglisi. Non chiamandolo servo di Dio però, come quando ha indicato il giudice Livatino. Non è un volere spaccare in quattro il capello. Ma un preciso segno che la causa di beatificazione del parroco di Brancaccio resta impantanata a Roma. Per il resto, questo papa ha letto diligentemente, sia nell'omelia che nel discorso ai giovani, i testi che gli avevano preparato, senza mai lasciarsi andare a qualche spunto spontaneo e personale. In fin dei conti, ciò che è rimasto del grido di Giovanni Paolo II ad Agrigento, è stata proprio la sua capacità di mettere da parte il catechismo e guardare negli occhi la Sicilia. Poi si deve dire che questo riferimento alla mafia, come un generico male cui opporsi, è datato. Wojtyla aveva inveito contro i protagonisti della stagione stragista. Domenica ci si attendeva un salto di qualità, un accenno deciso alla dimensione politica della questione. E non è che nelle primissime file, durante la messa mattutina, mancassero soggetti ai quali far giungere qualche colpo, s'intende cristiano e pacifico, di fioretto. Da punto di vista liturgico, poi, non si può non rilevare che la liturgia eucaristica, ossia la seconda parte della messa, pronunciata in latino, davanti a un pubblico così vasto, non fa che veicolare un tipo di chiesa abbastanza preciso. Da una parte i chierici, che anche nel linguaggio si differenziano, dall'altra tutto il popolo. Poi c'è da dire che l'apparato di sicurezza è sembrato in certi momenti esagerato. Pensate, quando il papa è arrivato la mattina a Palermo, i due piccoli che erano lì pronti con due doni, si sono avvicinati loro presso la papamobile, a Benedetto XVI non è stato permesso di fare neanche pochi metri per andare lui verso i due pargoli. Stessa separatezza per i prelati, i vescovi delle diocesi siciliane. Mi è sembrato davvero esagerato che non sia venuto loro spontaneo, dopo la messa, fare a piedi, in mezzo alla gente, con i fedeli, quelle poche centinaia di metri che separano il Foro Italico dal Duomo palermitano. Sono passati chiusi in un pullman, benedicenti e salutanti, come tanti burocrati del vangelo che non vogliono mischiarsi con la folla. Motivi di sicurezza anche in questo caso? E, in ogni caso, va detto che una cosa è mettere in moto l'apparato di controllo e prevenzione che il caso richiedeva, un'altra procedere, come è stato fatto, a indiscriminate e ingiustificate azioni di vera e propria repressione. Come quella che ha permesso, all'intelligence disseminata sul territorio palermitano, di sequestrare ad una libreria, Altroquando, un cartello, sistemato all'interno della vetrina del negozio, e le locandine della mostra “La papamobile del futuro”. Così come è stato fatto togliere, con telefonate durante la notte, ed infine con l'intervento dei vigili del fuoco, uno striscione sistemato al Foro Italico che citava, nientemeno, un passo, evidentemente ritenuto blasfemo, del vangelo di Matteo. “La mia casa è casa di preghiera, ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri”, ecco la frase. La vogliamo citare perché almeno da qui nessuno la può togliere. Sino ad oggi. Perché in Sicilia, e qui la visita del papa c'entra poco, si è inaugurata la prassi della censura preventiva ai giornali che ancora devono andare in stampa. Ma questa è un'altra storia. Fa parte della normalità alla quale ci dobbiamo riabituare dopo una giornata in cui Palermo, e con essa tutta la Sicilia, è sembrata una bella città. Pulita, lucida, ordinata e tranquilla. E forse il vero scandalo, più che in quanto si è speso per la visita papale, sta proprio nel constatare che quando si vuole, cioè per nove ore in dieci anni, anche un'amministrazione, incapace a tutto e capace di tutto, può, ma solo se costretta, fare il proprio dovere.

lunedì 4 ottobre 2010

La repressione più papista del Papa

LIVESICILIA
4 10 2010
Tanto casino per niente
Francesco Palazzo

Ma chi decide cosa è un pensiero libero e accettabile e cosa è solo fastidio e scandalo? In realtà, in tutta la giornata di domenica a Palermo, la sicurezza messa in campo doveva soltanto far sì che non accadesse niente, oltre che al pontefice, anche alle folle che si sono mosse (a proposito, ma non vi pare troppo il numero di 250 mila riferito al Foro Italico?) in tutta la giornata. E’ che qui siamo periferia dell’impero e allora l’intelligence diventa più papista del papa. Ma anche i cattolici partecipanti, più che il rutto dell’invettiva delle minoranze, spesso esibiscono il ruggito di chi non ne ha bisogno, visto i numeri di cui dispongono. Proprio mentre uscivo dall’incontro con i giovani al Politeama, ho visto tanti fedeli che inveivano pesantemente contro uno sparuto, e per tutto l’incontro con il Papa silenzioso, gruppo di giovani. La loro colpa quella di issare due striminziti, e quasi illeggibili, striscioni in cui si criticava quanto speso per l’organizzazione. In più, peccato mortale, gridavano, ma a fine evento, “Libera chiesa in libero stato”. Vedi tu che novità. Dovremmo un po’ guardare di più quanto accade in giro per il mondo anziché scrutarci sempre l’ombelico. Se potete, andate a rivedervi le immagini dell’ultima visita del papa, in Inghilterra, condita da vivacissime proteste. A Londra i poliziotti guardano e non si sognano minimamente di intervenire. Lì non confondono sicurezza ed espressione del libero pensiero. Sono due cose diverse, prima o poi l’impereremo anche noi. Quando saremo più grandetti. Intanto, prendiamo atto che per tre cartelli, due peraltro contenenti una frase del vangelo, sai che blasfemia, e un monito antipedofilia, sai che sorpresa, e la locandina di una mostra di disegni, si è fatto un casino. Della madonna.

mercoledì 22 settembre 2010

Puglisi: la chiesa siciliana dalla Valle dei Templi al Foro Italico

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 22 SETTEMBRE 2010
Pagina XIII
SE IL PAPA INCORAGGIASSE LA CHIESA DI PADRE PUGLISI
Francesco Palazzo

Pino Puglisi rimase molto impressionato dall´anatema che Giovanni Paolo II lanciò contro la mafia nel 1993. Ne trasse incoraggiamento ad andare avanti nella contrapposizione ai mafiosi di Brancaccio, la cui cosca era protagonista della stagione stragista. Il parroco stava tentando un approccio con le famiglie che avevano visto cadere i loro congiunti, per favorire una fuoriuscita dagli ambienti criminali. Può essere uno dei moventi che velocizzarono il piano di morte. Chissà se qualche altro parroco troverà la stessa fortificazione dalle parole che Benedetto XVI farà cadere il 3 ottobre sul suolo palermitano. Basterebbe che egli riuscisse a sintonizzarsi sulla vicenda di don Pino. Che è difficilmente capita da chi sta valutando il processo di beatificazione. Se infatti è normale elevare al culto degli altari un componente della Chiesa ucciso in odium fidei, può presentarsi qualche problema se a ideare il delitto e uccidere siano dei cattolici. Magari battezzati, cresimati e sposati nella stessa chiesa, San Gaetano, dove Puglisi svolse, dal 1990 al 1993, i suoi ultimi anni di missione. Bisognerebbe che il Pontefice si interrogasse su cosa vuol dire avere fede e se per caso la Chiesa ne ha ancora una concezione non più proponibile. Cosa significa credere in Sicilia? I mafiosi non temono chi celebra messa e dispensa sacramenti. Sono baciapile formidabili. Lo sono altrettanto i loro manutengoli, quelli che fanno affari con chiunque, tanto i soldi non hanno odore, e sono pronti, per un voto in più, a chiedere il consenso ai mammasantissima. Se Puglisi si fosse limitato a fare il prete tutto casa e canonica, sarebbe morto nel suo letto. I mafiosi avrebbero riconosciuto in lui il pastore che fa il suo senza invadere il campo dove la criminalità semina e raccoglie. Ciò che il potere (mafioso e politico) ha temuto sono stati i frutti di una fede incarnata nel territorio. Quando le cosche colpiscono, sanno cosa fanno. Basta vedere come è andata a finire con l´eredità pastorale e sociale che il prete ha lasciato. Puglisi si era legato con coloro che volevano cambiare le condizioni di vita nel quartiere, entrava nelle famiglie marginali, aveva creato un centro sociale pieno di profezia e povero di denaro, lottava per acquisire locali preda della manovalanza mafiosa, chiamava i ragazzi dai quartieri borghesi affinché si unisse una città divisa, allora come ora, si scontrava con ossequiati esponenti politici, non chiedeva finanziamenti pubblici da spendere inutilmente. È difficile comprendere questa fede. Non solo per chi a Roma deve valutarne la portata, ma pure nella dimensione della periferia dove il sacerdote agì. Con gli altri parroci che rimasero silenti al suo richiamo e che oggi nemmeno si sognano di ripeterne le gesta. Ecco ciò che ostacola il processo di beatificazione. Non che ci serva un santino in più o un altro nome nel calendario. Ma sarebbe di enorme importanza per la Chiesa siciliana se Benedetto XVI, da Palermo, indicasse una fede fatta di giustizia e testimonianza vissute, di povertà, di impegno sul territorio, di carità verso i deboli e schiena dritta nei confronti dei potenti. Insomma, la Chiesa di Puglisi.

venerdì 10 settembre 2010

Diffamare la Sicilia con un gioco?


LA REPUBBLICA PALERMO - VENERDÌ 10 SETTEMBRE 2010
Pagina X
“MAFIA 2", DAVVERO SERVE LA CENSURA?
Francesco Palazzo


Può un gioco dare forza alla mafia e diffamare la Sicilia? E´ la stessa domanda che ci si pone anche dopo le fiction che narrano le gesta delle cosche. La risposta, grosso modo, è sempre la stessa. Sì, le finzioni che descrivono le azioni dei mafiosi aiutano a rafforzarne potere e immagine, e lo stesso accade per i giochi. L´ultimo, "Mafia 2", del quale ho visto il trailer e qualche altro video che gira sulla rete, narra la storia di un giovane siciliano che scala tutte le tappe del crimine negli Usa tra gli anni 40 e 50. Per dare un´opinione sul prodotto artistico bisognerebbe acquistarlo e sperimentarlo, cosa che, a quanto capisco, non hanno fatto i critici della prima ora. Che si sono imbizzarriti per una bandiera siciliana che compare in una scena e per il fatto che il gioco promuoverebbe la cultura mafiosa della violenza. Si è arrivati sino al punto di chiedere il ritiro di Mafia 2, cosa non nuova, visto che la procedura di censura scatta ogni qual volta si parla di mafia e, guarda caso, la si accosta alla Sicilia. In generale, non si dovrebbero mai auspicare atteggiamenti di oscuramento di qualsiasi espressione dell´ingegno umano. Magari ergendosi a custodi della presunta malleabilità delle coscienze dei giovani, che così si troverebbero servita una mafia vincente che fa della brutalità il proprio modo di operare. E questo lo si sostiene nel momento in cui nel meridione viene ucciso un sindaco, in Sicilia viene minacciato un sindacalista, bruciano esercizi commerciali e interi quartieri sono in mano alle cosche, financo per avere le normali utenze come acqua e luce. Non è un gioco, è tutto vero. Così come autentico è il consenso che le mafia ottiene in vasti quartieri popolari della nostra città. Dove i ragazzi non hanno bisogno dei videogiochi e della televisione per incrociare il potere mafioso. Tutti i giorni lo vivono sul proprio territorio e sulla loro pelle. Senza parlare, poi, dei coinvolgimenti, delle connivenze, della politica attuale, siciliana e nazionale, con il potere criminale organizzato. Basta, solo per fermarsi agli ultimi anni, scrutare le sentenze, le dimissioni da cariche importanti, le indagini. Tutto questo, e tanto altro di cui si potrebbe dire, ma non basta un articolo, ci vorrebbe un libro, fa meno o più male di qualsiasi Mafia 2, Piovra o Capo dei Capi che dir si voglia? La risposta non può che essere scontata per coloro che si fanno guidare dal ragionamento e non dalle suggestioni di un gioco che non sposta di niente lo stato in cui ci troviamo. Né la ferocia della mafia, che spara nei videogame e nella realtà ancora di più, né la situazione di una terra come la nostra. Dove la playstation della cattiva politica, manovrata dalla classe dirigente locale, ha intaccato minimamente la mafia. Che, infatti, i più duri colpi li subisce da magistrati e forze dell´ordine. Si lasci, allora, negli scaffali tutto ciò che ci racconta la mafia. Si critichino le produzioni televisive o cinematografiche, ma non si invochi più la cancellazione o la messa al bando di ciò che non piace. Saranno i fruitori, attingendo ai loro portafogli e utilizzando il telecomando, che decideranno ciò che è buono e ciò che, eventualmente, depista.

mercoledì 8 settembre 2010

Palermo: primarie aperte o ingessate?

Live Sicilia
Quotidiano online
8 settembre 2010
Francesco Palazzo

Nel centrosinistra palermitano nelle ultime settimane si registrano alcune novità. C’è un sicuro candidato alle primarie, il deputato regionale e consigliere comunale Davide Faraone. Che sinora è stato l’unico a metterci la faccia. Sul fronte dei partiti si è mossa concretamente soltanto Italia dei Valori. Il movimento civico palermitano, un cartello di dodici associazioni, il 17 settembre deciderà il da farsi. Nel frattempo sta prendendo vita la rete sociale di resistenza palermitana, una serie di sigle in genere vicine alla marginalità sociale ed economica. C’è da aggiungere un comunicato di Sinistra, Ecologia e Libertà. Mi pare sia tutto. Nel frattempo sono scesi in campo i maestri dei distinguo. Sì alle primarie, ma la cosa più importante è vincere le elezioni vere e proprie. Chissà se il problema è stato focalizzato alle regionali del 2008, quando si vollero evitare le primarie e si perse miseramente contro Lombardo, portando il centrosinistra siciliano, e ce ne vuole, ai minimi storici. Poi si dice che è troppo presto per porre candidature, perché non si sa quando si voterà. E’ strano, proprio questo è un conto semplice. Se la legislatura dura cinque anni e se si è votato nel maggio del 2007, ammesso che Cammarata resista sino alla fine, si voterà nel capoluogo esattamente nella primavera del 2012. Manca quindi poco più di un anno e mezzo dalle urne. Non pare affatto un tempo biblico, soprattutto se c’è da mettere in piedi un percorso come quello delle primarie. Il quale non si concluderà prima di una decina di mesi, per cui al prescelto, o alla prescelta, rimarranno dieci mesi scarsi per arrivare alle urne. Se a livello nazionale tutto dovesse precipitare, lo spazio temporale sarebbe ancora più ristretto, quindi a maggior ragione i tempi non sono affatto prematuri. A meno che non si voglia arrivare a cinque minuti dalle elezioni belli nudi e crudi, in modo che si possa dire che bisogna fare in fretta e furia. Alla lista degli attendisti si possono annoverare gli appassionati del programma. Quello del programma che contenga più o meno i massimi sistemi è un sport molto diffuso nel centrosinistra. Ci si perdono nottate intere e discussioni infinite. Per carità, non è che si debba procedere al buio. Ma i candidati alle primarie e le loro squadre possono benissimo, in pochi mesi, sviluppando un dialogo con i partiti, le forze sociali, i movimenti e quanti vogliono esprimere interessi, stilare basi programmatiche, fatte di pochi e concreti punti da sottoporre al popolo dei gazebo. Un’altra categoria di sorprendenti frenatori sono i sostenitori delle primarie apertissime. Non si capisce bene, in realtà, cosa intendano, visto che appena qualcuno sottrae al gossip politico le proprie intenzioni e ufficializza una candidatura, si grida al personalismo. Perché prima ci vuole il programma e bisogna parlare con tutti, in primo luogo i partiti. Ma, così concepite, le primarie sembrano più chiuse e ingessate che mai. Abbiamo anche un’obiezione tecnica, concernente il fatto che non si sa se si voterà con questa legge elettorale. Ora, a parte il fatto che non si capisce quando l’ARS debba trovare il tempo per modificarla, ci sfugge cosa c’entra questo argomento con l’individuazione di un candidato o di una candidata alla prima poltrona cittadina. Ci sarebbe pure una questione politica. Non si sa con chi organizzarle queste benedette primarie. Nel senso che se prima non si sistemano le cose a livello nazionale e regionale, non se ne parla. E’, questo, probabilmente è l’aspetto che bloccherà un po’ tutti. Infine ci sono le candidature del vorrei ma non so se farlo, quelli che attendono non si capisce cosa. Insomma, ci sono tutta una serie di problematiche, più o meno pretestuose, che potrebbero intralciare il percorso. Per sciogliere la matassa e velocizzare tutto, in realtà, si dovrebbero soltanto fissare due date. Quella di presentazione delle candidature alle primarie e la data di svolgimento delle stesse. Qualcuno è in grado di prendere in mano un calendario?

sabato 28 agosto 2010

La Sicilia che anticipa e rimane indietro.

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 28 AGOSTO 2010
Pag. I
Il laboratorio degli alchimisti
Francesco Palazzo

Da un po´ di tempo è tornata di moda, ammesso che sia mai tramontata, la storia della Sicilia laboratorio politico. Un luogo mitico, dove avverrebbero sperimentazioni che poi influenzano il quadro politico nazionale. In tempi di elezione diretta di governatori e sindaci, per la verità, ci sarebbe poco da elaborare. Il mandato che viene dal corpo elettorale è generalmente abbastanza netto e univoco. C´è chi vince le elezioni e c´è chi le perde. Chi dovrebbe provare a governare e chi è chiamato a cimentarsi all´opposizione. Non perché l´ha prescritto il medico, ma in quanto indicazione proveniente dall´unico protagonista in termini di scelte, l´elettorato. Tutto chiaro? Neanche a parlarne. Perché è proprio da quel momento che entrano in funzione, a ritmo costante, i vari laboratori sparsi un po´ ovunque in Sicilia. In altre parole, invece di prendere atto del mandato ricevuto alle urne, per la politica siciliana, un minuto dopo che si sono spenti i motori della propaganda elettorale, brindato alle vittorie e assorbite le sbornie delle sconfitte, comincia un lavorio che a un certo punto viene difficile seguire, nelle sue giornaliere piroette, dichiarazioni, arresti, fughe in avanti. Prendete, ad esempio, questa storia del governo regionale, arrivato alla quarta edizione dopo poco più di due anni di legislatura. Ogni protagonista che si affanna sullo scenario politico vive questo momento di alta sperimentazione istituzionale come meglio gli aggrada. In tale contesto i partiti, quelli che hanno chiesto il consenso, contano niente. Ogni testa è tribunale. Dall´Udc, dal Pd, dal Pdl, suddiviso tra lealisti e ribelli (che contano un´appendice finiana), dal movimento autonomista, arrivano voci a raffica. Il tal deputato un giorno smentisce il suo compagno di partito, un altro il segretario del partito accanto, il terzo giorno arriva a smentire pure se stesso. È la politica del "chi ci sta". Io posso starci oggi. Ma perché devo starci anche domani? È il risultato di un indefesso gruppo di abilissimi e provati alchimisti, questo del formare gli esecutivi con chi ci sta. Perché la politica del "chi ci sta" è davvero la quintessenza, il concentrato più puro della sperimentazione politica siciliana. I siciliani non aspettavano altro per risolvere i loro problemi. Pare che non aspettasse altro pure l´unica opposizione, o ex tale, presente all´Ars, quella del Partito democratico. Che ci sta, eccome. Sia chiaro, non sappiamo più quale esponente democratico ascoltare. All´interno del Pd siciliano, nell´ultimo anno, hanno messo in campo tutte le varianti e subordinate possibili e immaginabili. Qualsiasi cosa succederà alla Regione, loro l´avevano già previsto. E un po´ pure noi, a dire il vero. Ma non ci scandalizziamo più di tanto. È tipico dell´attività dei laboratori più accreditati la prassi del provare e riprovare, del dosare vari elementi per verificare quale sia la soluzione migliore. Se, su base autonomista, togliamo un po´ di Pdl Sicilia, lasciando la parte non andata a male, mettiamo un pizzico di Udc, quella buona e specchiata, spruzziamo una fragranza di Pd, che ormai rischia di rimanere solo quella, e inseriamo qualche tonnellata di antiberlusconismo, che succederà? A fine settembre sapremo il risultato del complicato progetto di ricerca in corso. Si dirà che gli scienziati non sono eletti e che il paragone con il mondo scientifico non regge. È vero. C´è tuttavia una soluzione. Basterà che alla prossima campagna elettorale regionale si formalizzi, con manifesti giganti e slogan appropriati, questo partito trasversale del "chi ci sta". In modo che i siciliani sappiano chiaramente che non a un presidente e alla sua coalizione stanno dando il voto. Ma a un gabinetto scientifico di ricerca politica da esportazione: il Laboratorio Sicilia.

sabato 21 agosto 2010

Un'alternativa per Palermo

LA REPUBBLICA PALERMO – SABATO 21 AGOSTO 2010
Pagina I
I personalismi paralizzano forze politiche e società civile
Francesco Palazzo

Se vogliamo guardare come si prepara il capoluogo al ricambio da proporre per la guida politica dell´amministrazione, si può certo scrutare, in prima istanza, dentro il centrosinistra. Al cui interno ci sono individualità che stanno coltivando, tramite la rete e altre vie, candidature alla prima poltrona di Palermo e che, tuttavia, non hanno, né ipotizzano, un qualsivoglia percorso aggregativo. L´impressione è che in tanti, più o meno giovani di belle speranze, aspirino, come in un gioco di società, alla fascia di primo cittadino e nessuno abbia in testa una reale alternativa a quello che c´è. Se i singoli, confusamente, si muovono, i partiti restano al palo. Per la verità, qualche anno addietro il Partito Democratico, con un manifesto, cui seguì un incontro molto partecipato, si disse pronto a governare la città. La promessa era quella di percorrere una strada comune con tutto il centrosinistra, scegliendo un candidato a sindaco, una squadra e una coalizione a sostegno. Una buona idea. Proprio per questo non ne abbiamo saputo più niente. Anzi, quel poco di unione, che per un certo periodo ha caratterizzato gli eletti al comune sotto le insegne del centrosinistra, è finita. Si è tornati ai personalismi e alle invidie. Insomma, alla solita storia. Non si può voler mandare a casa questa amministrazione e limitarsi soltanto a sventolare la pistola scarica di una mozione di sfiducia. Non si capisce bene chi debba fare la prima mossa. Si dirà che nello scenario nazionale, e ancor più in quello regionale, le acque sono agitate e quindi è meglio aspettare. Ma può ancora Palermo attendere il risolversi degli equilibri politici? Se il centrodestra governante, si fa per dire, può permettersi di stare alla finestra, tanto nel frattempo amministra potere e nomine, può farlo, e sino a quando, il centrosinistra? In giro, tra gli esponenti di partito, si registrano tante buone intenzioni. Parole, fatti concreti zero. Si dice, in genere, che a questo immobilismo fa da contraltare la freschezza della società civile. È, come sappiamo bene, una solenne banalità. Spesso, la cosiddetta società civile, quando s´inserisce nel vivo della lotta politica, non sa far di meglio che copiare il peggio dei partiti. È comunque da accogliere positivamente la nascita del movimento civico palermitano, con la firma di un patto costituzionale cittadino. In tempi di crisi, non solo economica, dalla galassia che si muove fuori dai partiti viene fuori puntualmente una proposta di rigenerazione della politica. Cosa non semplice e non alla portata di tutti. Anche perché la tentazione è quella di buttare via la forma partito, non rendendosi conto che è molto difficile sostituirla. Chi ci prova, puntualmente, fa un bel buco nell´acqua. In questo caso si tratta di tredici sigle associative che vogliono stimolare la partecipazione e favorire il buon governo a Palermo. L´intenzione è quella di cimentarsi alle prossime amministrative. Non si sa se con una o più liste o direttamente con un candidato sindaco. Oppure appoggiando una tra le coalizioni maggiori in campo. Siamo ancora alle dichiarazioni d´intenti. Vedremo. Forse le primarie aperte a tutti, da tenersi nel più breve tempo possibile, potrebbero essere un punto di partenza chiarificatore per partiti e movimenti. Non c´è più tempo per tergiversare e fiutare l´aria. Questo movimento civico, già al primo metro di percorso, conosce una polemica interna. Una delle realtà aderenti, il Comitato di lotta per la casa 12 luglio, ha ritirato l´assenso che uno dei suoi componenti aveva assicurato al cartello. Sul web stanno volando parole grosse. Anche in quest´ambito, pertanto, non è difficile incrociare, come accade nei partiti, delegittimazioni reciproche e accentuati personalismi. Una cosa è certa. Tutti si dicono, da anni, scontenti dell´amministrazione comunale. Ma, sinora, né gli eletti e i partiti che l´elettorato ha mandato all´opposizione, né coloro che si muovono fuori dalle dinamiche partitiche, hanno posto in essere una vera alternativa in cui i palermitani possano riconoscersi. Una cosa sono i buoni propositi, un´altra i voti che occorrono per conquistare Palazzo delle Aquile.

sabato 7 agosto 2010

Il Prefetto e la politica siciliana

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 07 AGOSTO 2010
Pagina XIX
LA CONCRETEZZA DEL PREFETTO NELLA TERRA DEI BIZANTINISMI
Francesco Palazzo

Martedì, sulle colonne di questo giornale, abbiamo avuto modo di leggere, in parallelo, una pagina dietro l´altra, l´intervista al nuovo prefetto di Palermo, Giuseppe Caruso e una ricostruzione,
l'ennesima, della situazione politica alla regione. Il prefetto parla con chiarezza di problemi reali, con l´intenzione di mettersi subito all´opera. Ha affrontato il tema del lavoro, dell´economia che ristagna nell´isola, si è soffermato sui rifiuti, dicendosi favorevole alla costruzione del termovalorizzatore a Bellolampo, invitando la Regione a non tergiversare sull´argomento. Avvertendo, nello stesso tempo, che occorre sempre fare molta attenzione affinché s´individuino quei percorsi che portano la mafia inserirsi nell´economia legale. Poi ha parlato della necessità che l´amministrazione pubblica si sburocratizzi e non faccia attendere, ad esempio, un anno gli imprenditori per una certificazione. Su tutti questi temi, annuncia Caruso, vuole sentire subito il sindaco di Palermo e il Presidente della Regione. E che potranno dirgli? La prima cosa che possono comunicare è di essere senza maggioranza, quindi non potranno dargli alcuna garanzia. Al Comune, la vicenda politica dell´attuale amministrazione è al capolinea da tempo. Siamo di fronte alla formazione di un´altra giunta. Si fanno ipotesi su chi entrerà e chi uscirà. La città rimane sullo sfondo, sempre più abbandonata a se stessa. Chissà quando potrà tornare a scegliere. I protagonisti attuali delle vicende politiche alla Regione sono ancorati alle formulette, sempre più surreali. Solo chi le inventa, giorno per giorno, le capisce. Alla Regione ci vorrà un governo tecnico, con rimpasto incorporato, o un esecutivo tutto politico? Cosa vorrà dire tale differenza non si comprende. Ma abbiamo i nostri limiti. Ogni giorno leggiamo una miriade di previsioni, subordinate, congetture, retroscena. C´è da rimanere letteralmente senza respiro. Capite bene che le problematiche poste dal prefetto, con il piglio di uno che non ha tempo da perdere, e le situazioni politiche di Comune e Regione viaggiano su mondi paralleli. Il prefetto cerca interlocutori certi. Che al momento non ci sono. Per rimanere alla Regione: cosa può proporre, di concreto e immediatamente attuabile, il governo regionale sui rifiuti? E sul contrasto alla criminalità organizzata, non sono per caso recentemente stati messi in discussione i fondi destinati alla legislazione antimafia varata dall´ARS? E sul funzionamento dell´amministrazione, non ci troviamo con uffici immobilizzati per scelte che sono rimandate di settimana in settimana? Magari tutti i protagonisti nel proscenio politico siciliano si sentono dei novelli De Gasperi o dei redivivi Sturzo. Qualcuno dica loro che stanno soltanto riempiendo, sino a stancarci, pagine e pagine di quotidiani. Messi lì, da mattina a notte, a disegnare scenari. Questo non è un laboratorio politico, ma uno sgabuzzino chiuso a doppia mandata dall´interno. Quanti governi, tecnici, politici, misti, ci vorranno per metterci un punto? Qualcuno dovrà dire a questi riformisti che, va bene, ci hanno provato, apprezziamo la buona volontà, ma è chiaro e lampante che questa legislatura regionale è con l´ossigeno attaccato da tempo. Vogliono farci credere che le elezioni sarebbero una sciagura, di cui la Sicilia non potrebbe reggere il peso. Non prendiamoci in giro. La Sicilia, e Palermo, non possono sopportare ancora il fardello di una politica che gira a vuoto, senza una meta precisa. Mentre per sentire un discorso comprensibile a intelligenze medie, occorre ascoltare le parole di un prefetto.

lunedì 2 agosto 2010

Come risparmiare sui fondi pubblici

LA REPUBBLICA PALERMO – MERCOLEDÌ 28 LUGLIO 2010
Pagina I
I cento modi di sprecare i soldi dei contribuenti
Francesco Palazzo

Quando si parla di costi della politica, la prima pietanza che viene data in pasto all´opinione pubblica, ed è notizia recente per i deputati dell´Ars, è il taglio delle indennità degli eletti. Nei discorsi da bar, gli stipendi percepiti da coloro che rivestono cariche elettive, sono continuamente nel mirino, anche se bisognerebbe dire che non si possono mettere tutti sullo stesso piano. L´altra settimana, il sindaco di un paese delle Madonie rivelava che per effetto della Finanziaria la sua indennità mensile scenderà da 1.800 a 1.300 euro, e a lui non resterà altra scelta che tornarsene a lavorare a tempo pieno, diminuendo al minimo il suo impegno per i tanti problemi che ha un paese di diecimila abitanti. Gli faceva eco il primo cittadino di un comune più piccolo dell´area madonita, che guadagna, pressappoco, quanto un precario. Lo stipendio di un sindaco è un costo che la collettività dovrebbe sobbarcarsi con maggiore convinzione. Peraltro, i guadagni delle cariche elettive sono sotto i riflettori. Ciò non accade per i tantissimi incarichi di sottogoverno, donati a galoppini, grandi elettori, portaborse e via elencando. Se a ciò aggiungiamo le consulenze, che in Sicilia non si negano a nessuno, ci troviamo davanti una montagna di spesa pubblica. Alla quale ogni tanto viene data una piccola limata, lasciando le cose sostanzialmente immutate. Non è difficile trovarsi davanti un ras di voti, che ha appoggiato il tal onorevole, poi diventato assessore, che lo ha omaggiato, per ringraziarlo di qualche centinaia di consensi, con una consulenza. Sai che quella persona ha un diploma tirato per i denti e ti chiedi in cosa caspita deve essere consultato. Quant´è ampio, in Sicilia, questo universo di compensi inutili, gravanti sulle nostre tasche? Difficile dirlo, protetto come è da occhi indiscreti e da interessi che vanno da destra a sinistra. Se davvero, e non per vendere fumo, si avesse l´intenzione di iniziare una moralizzazione della vita pubblica, questo vasto settore sarebbe quello da dove partire immediatamente. Comuni, province e regione sono gonfi sino all´inverosimile di personale, tra presenti in organico e precari in via di stabilizzazione. All´interno di questo enorme bacino di risorse umane, è banale dirlo, per la legge dei grandi numeri, è senz´altro possibile rintracciare tutto ciò che serve, in termini di qualità e quantità. La lista prosegue. Una categoria a parte è quella dei comandati. Che spesso usufruiscono, per arrivare all´ambita scrivania e guadagnare qualche gruzzolo in più, di legami con questo o quel potente. Quanti ve ne sono, provenienti da altri luoghi pubblici, magari corsie ospedaliere che soffrono di organici ridotti al lumicino e turni massacranti, nell´amministrazione regionale? Possibile che da una parte si dice che si è troppi e dall´altra si chiamino rinforzi? I quali non apportano niente che già gli uffici non abbiano. Ed anche quando risultano depositari del lume della genialità, ed è, capirete, come fare un terno al lotto, sono destinati a passare come meteore. Non lasciando niente dietro di sé e del tutto sguarniti gli uffici che si riducono a meri esecutori di ordini. Per non parlare, poi, degli uffici di gabinetto. Ci si scandalizza tanto per i direttori esterni rimossi perché non avevano i titoli, e non si fa lo stesso per i soggetti imbarcati nelle amministrazioni pubbliche siciliane, Regione in testa, senza che ve ne sia il minimo bisogno. Ecco, se proprio si vuole dare una svolta, non ci si prenda in giro con i 550 euro in meno ai deputati regionali e non si mortifichino i sindaci delle piccole comunità. Si proceda a una pulizia totale di tutti gli emolumenti ingiustificati e degli incarichi senza senso. E si avvii una valorizzazione, considerando meriti e titoli, delle sovrabbondanti piante organiche. Si raggiungeranno due obiettivi. Un effettivo, e non populistico, risparmio e uffici pubblici che saranno messi nelle condizioni di servire, non la politica, ma i siciliani.

martedì 29 giugno 2010

PD, l'ora delle scelte chiare e comprensibili

Francesco Palazzo
Alla regione il balletto intorno al quarto governo si fa sempre più frenetico. Ogni giorno una dichiarazione, un passo avanti, uno indietro, e veti come se piovesse. Su tutto, ovviamente, il bene della Sicilia. Nell’Italia repubblicana, il ripostiglio di coloro che hanno agito per favorire questa terra, è pieno all’inverosimile. Ma c’è ancora, evidentemente, posto. Sembrano parole provenienti da un passato sin troppo remoto. La Sicilia vittima dei governi romani che hanno favorito e continuano a privilegiare il nord. E, questo, si badi bene, non da ieri, ma dall’unità d’Italia. Insomma, il mondo si muove veloce, la rete consente di estendere le conoscenze teoricamente all’infinito, e noi ancora a dibattere su Garibaldi e dintorni. Su quanto e come siamo stati offesi e cosa ci hanno tolto. Sarebbe materia di un convegno di storici. Invece è il vocabolario corrente della politica siciliana nel 2010. Ci nutriamo stancamente di Ottocento e Novecento, restando con la testa che guarda indietro perché non sappiamo come andare avanti. Senza mai lasciarci prendere dalla domanda fondamentale. Ma cosa pensano gli altri guardandoci in questo momento? Possono solo registrare quello che esce dal pentolone della politica siciliana. Sintetizzabile con una sola parola: emergenza. Tra città alla bancarotta, precari imbufaliti che premono, fondi europei non spesi o utilizzati male, rifiuti che si ammassano, amministrazioni immobili, soldi che si chiedono a Roma e che andranno ad alimentare stipendi e spesa corrente, dirigenti generali nominati senza neanche avere i titoli minimi, e perciò bocciati, una sanità che ha messo i conti a posto ma non ha di un millimetro migliorato la qualità dell’assistenza per i pazienti. E potremmo proseguire. La sensazione che si ha, sempre, più netta, è di una sostanziale mediocrità degli eletti. Questi ultimi, se analizziamo cosa accade alla regione in questa legislatura, e la politica regionale lo sappiamo influenza tutto il resto, appaiono più confusi che persuasi. Tre esecutivi e il quarto è sull’uscio, in due anni, è un record niente male. Nella tanto vituperata prima repubblica li avremmo chiamati governi balneari. Adesso, invece, coprono tutte le stagioni, evitando le mezze, che, come sappiamo, non ci sono più. L’opinione pubblica, nelle ultime settimane, è stata investita da formule diverse. Rispetto alle quali le famose convergenze parallele brillavano per chiarezza. Dal governo politico, l’unico licenziato dagli elettori, ma ormai è diventato un piccolo dettaglio, si è passati a un secondo e a un terzo governo in cui sono usciti pezzi della maggioranza, UDC e PDL lealista. Ora si transita, a giorni alterni, dal governo politico, a quello tecnico, per virare su quello dei competenti e poi planare su un’ipotesi istituzionale. Prima, però, affermano gli stessi protagonisti, occorre affrontare le emergenze che attanagliano la regione. E il metodo migliore per risolverle, le emergenze, appare quello di cambiare allegramente quattro squadre di assessori quando ancora non si è consumata nemmeno metà della legislatura. Le elezioni sono viste come il peggiore dei mali. Soprattutto dal Partito Democratico. Il quale si comporta come quei fidanzati che chiedono all’amata, dopo svariate delusioni, di fare di più e meglio. Non rendendosi conto di ciò che hanno davanti. Ora siamo all’invocazione, rivolta a Lombardo, che non è più possibile galleggiare. Come se, a parte qualche riforma scritta sulla sabbia, non si fosse fatto altro dall’inizio della legislatura. Ma cosa vogliono, i democratici, il disegnino con le indicazioni didascaliche? Ogni fase ha un suo inizio e un suo compimento. Occorre comprendere quando è il momento di spegnere la luce, senza lasciare che siano gli altri a lasciarti al buio. Il Partito Democratico ha interpretato la fine della maggioranza di centrodestra alla regione, nell’unico modo realmente possibile. Adesso rischia di innamorarsi di formule e formulette che faranno perdere quel poco di buono che si è fatto in questi ultimi mesi. E’ abbastanza evidente l’impossibilità, visto l’assetto politico attuale, di applicare le riforme approvate e di farne altre. Non ci potrà né un quarto governo, né un quindo o sesto. Bisogna avviare una nuova fase. E qui il PD dovrà averne, di coraggio. Dica chiaramente quello che tutti hanno capito. Che intende fare, con il movimento autonomista e qualche residua frangia del PDL Sicilia, un patto di legislatura. Verifichi chi ci sta del vecchio centrosinistra, Italia dei Valori in testa, e sottoponga, nella prossima primavera, il tutto al corpo elettorale. Sarà più semplice spiegare una scelta di questo tipo, che ingarbugliarsi stancamente in piroette politiche e verbali sempre più insipide e incomprensibili. Se il quarto governo Lombardo serve a preparare questo scenario, ha un senso. Altrimenti non si capisce più di cosa stiamo parlando.

domenica 27 giugno 2010

PD, uno spartito con troppe voci

LA REPUBBLICA PALERMO - DOMENICA 27 GIUGNO 2010
Pagina I
La trappola nascosta del neo milazzismo
Francesco Palazzo


Si è scritto, e detto, che in Sicilia saremmo di fronte a un nuovo milazzismo. Cioè quell´esperienza politica che andò da destra a sinistra della politica siciliana. Solo che quel tentativo fece davvero preoccupare l´assetto di potere democristiano che, a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, era rappresentato da Amintore Fanfani, dominus del partito di maggioranza relativa. Si può dire che oggi sia la stessa cosa? Difficile sostenerlo. Se è vero, com´è vero, che l´operazione politica che sta nascendo intorno alla legislatura iniziata nel 2008, vede in cabina di regia proprio una parte di partito, il Pdl dei ribelli, che non ha mai davvero reciso i legami con il leader nazionale. In questo scenario, s´inscrive la vicenda che ha fatto entrare in travaglio il Partito democratico. La disputa è sull´autonomia da Roma. Dal naufragio della maggioranza di centrodestra, il Pd, senza essere costretto da qualche fax proveniente dalla capitale, ha deciso di appoggiare l´esecutivo senza maggioranza del presidente della Regione. Per approvare le riforme. Dopo averne messe alcune in cantiere, e in seguito al voto favorevole sulla finanziaria, strumento eminentemente politico sul quale da Roma errano arrivati inviti a procedere coi piedi di piombo, adesso si chiede autonomia. Se non è autonomia questa, cosa s´intende con questo termine? Ora il Pd sta trattando sulla nascita del quarto governo Lombardo. Lo stanno facendo, autonomamente, i dirigenti siciliani del partito. Il punto è forse un altro e chi ieri ha assistito all´affollata assemblea degli autonomisti democratici, se n´è reso conto. Ci troviamo di fronte a tanti partiti. Ogni leader, con appresso il suo seguito, ha in testa un Pd diverso. E non è che non ci siano stati i momenti in cui i democratici hanno provato a fare sintesi. A ottobre 2009 è stato eletto, con le primarie, il segretario regionale. Sono passati pochi mesi e si mette tutto in discussione. Si chiede un congresso straordinario o la celebrazione di un referendum tra gli iscritti. Pare che la maggioranza che nel 2009 ha eletto il segretario, adesso sia minoranza. Da una parte e dall´altra ci si lancia l´accusa di scissionismo. La parte che più appoggia l´azione dell´esecutivo regionale, afferma che bisogna andare avanti. Contemporaneamente sostiene che il governo attuale non è adeguato. Quindi ce ne vuole un quarto, e poi forse un quinto o un sesto. Chiediamo: davvero un alternarsi così veloce di governi, stile prima Repubblica, può garantire la Sicilia e i siciliani? Senza contare quello che accade nell´amministrazione. È di questi giorni il siluramento di alcuni direttori regionali. Bocciati, se abbiamo ben capito, non tanto perché non avevano qualcosa in più dei dirigenti già presenti alla Regione, e già questa sarebbe una notizia, ma per il motivo che non sussistevano i requisiti minimi per la loro nomina. Un partito di opposizione, pur collaborativo, su una cosa così importante, avrebbe già chiuso il discorso. E invece non lo fa, pur continuando a dire che la Regione è bloccata. L´altra parte del partito vorrebbe forse porre fine a questa esperienza. Ma quanto è consistente, oggi, questo pezzo di Pd? E, soprattutto, avrà il coraggio di presentare una mozione di sfiducia a Lombardo? In genere, le spaccature che si verificano nella parte sinistra dello schieramento politico, sono più profonde di quelle che si registrano nella parte destra. Può essere che nel Pdl siciliano torni il sereno. Può quindi accadere che, mentre il Pd cerca di ottenere i titoli richiesti dal Pdl Sicilia per sedersi attorno al tavolo, alla fine i democratici, lacerati, non trovino più ad attenderli i loro interlocutori. Non sarebbe meglio, allora, prospettare un percorso che porti nel giro di un anno a elezioni, sfidando su questo terreno Mpa e Pdl Sicilia? La risposta è che si ricompatterebbe il centrodestra. Tuttavia, a parte il fatto che non si può chiedere di andare al voto solo quando i democratici saranno certi di vincere, questo attendere, di governo in governo, di trovare la giusta miscela, può portare ugualmente allo stesso risultato. E nel modo peggiore. Nell´attesa che il Pd dica, con una sola voce, cosa vuole fare da grande, la cronaca politica recente ci indica una diversa soluzione. Il 19 giugno si è svolta a Roma una manifestazione del Pd contro la finanziaria. Il primo intervento, sulla scuola, è stato dell´insegnante palermitana Mila Spicola, dirigente del partito a Palermo. Parlando di scuole di periferia, di Brancaccio, con un discorso chiaro e forte, ha ottenuto una standing ovation e l´abbraccio commosso del segretario Bersani. Segno che è possibile, dalla Sicilia, citando una delle sue più sperdute periferie, farsi ascoltare e orientare l´agenda del partito a livello nazionale.

giovedì 17 giugno 2010

Politica in Sicilia - 16/18 luglio Seminario a Castelbuono

ASSOCIAZIONE SCUOLA DI FORMAZIONE etico-politica “G. FALCONE”
LA POLITICA IN SICILIA: MODERNITA' O PASSATO REMOTO?
Venerdì 16 – Domenica 18 Luglio
Castelbuono - Locali dell'ex Badia Biblioteca Comunale - Via Roma
Venerdì 16 ore 10,30
Accoglienza e Iscrizioni Presentazione del Seminario – Francesco Palazzo

Ore 11,30/13,30
Il punto di vista del mondo produttivo. La politica regionale dalle parole ai fatti
Moderatore Massimo Accolla
Ivan Lo Bello (Presidente Confindustria Sicilia) - Elio Sanfilippo (Presidente Legacoop Sicilia)

Venerdì 16 ore 17,30/19,30
L'analisi:le difficoltà nel raccontare questa fase politica
Moderatore Augusto Cavadi
Enrico Del Mercato (Caposervizio Politica La Repubblica Sicilia) - Roberto Puglisi (Coordinatore LiveSicilia)
Sabato 17 ore 11/13
Il punto di vista della cittadinanza: i Movimenti Civici per migliorare le città e la regione
Moderatrice Daniela Aquilino
Marcello Capetta (Muovi Palermo) - Liboria Di Baudo (Movimento Per Palermo)

Sabato 17 ore 17/19
La politica regionale vista dagli enti locali
Moderatore Francesco Palazzo
Mario Cicero (Sindaco di Castelbuono) - Santo Inguaggiato (Sindaco di Petralia Sottana)
Domenica 18 ore 11/13
La politica regionale e le scelte dei partiti
Moderatore Pietro Spalla
Giuseppe Lupo - Segretario Regionale del Partito Democratico
Leoluca Orlando – Portavoce Nazionale Italia dei Valori

La politica siciliana vive un momento di grandi incertezze. La maggioranza uscita dalle elezioni regionali del 2008 non c'è più. Al suo posto, nel parlamento regionale, a sostenere il governo, troviamo una compagine eterogenea. Coloro che appoggiano questa svolta affermano che si tratta di un momento positivo della politica regionale, fatto di modernità e di abbandono di logiche del passato. Quanti, invece, la pensano diversamente, sostengono che si è rimasti ancorati al passato, più o meno remoto, e che poco sta cambiando. Nel frattempo il mondo produttivo avanza legittime richieste, i sindaci si trovano a far bilanciare sempre più magri conti e nelle città sorgono movimenti animati dalla voglia di esserci. Abbiamo chiesto una lettura plurale di tutta questa situazione a diversi soggetti che operano in ambiti diversi della vita pubblica siciliana.
NOTE TECNICHE Per la partecipazione al seminario è prevista la quota di € 25. Per un solo giorno o incontro la quota è di 10 €. La somma raccolta servirà a coprire le spese organizzative e di ospitalità per i relatori. Al seminario ci si può iscrivere chiamando i seguenti numeri 3386132301-3384907853-3297337883–3288135673 oppure agli indirizzi di posta elettronica francipalazzo@gmail.com – acavadi@lycos.com – pspalla@neomedia.it
COME ARRIVARE In auto Da Palermo: Autostrade A19 PA-CT, A20 PA-ME, uscita Castelbuono, proseguire su S.S.286 per Km. 12 (Km. 90 -1h CA); S.S. 113 direzione ME fino al bivio per Castelbuono, proseguire su S.S. 286 per Km.14; Da Messina: Autostrada A20 Me-Pa S.S. 113 direzione PA fino al bivio per Castelbuono, proseguire su S.S. 286 per Km. 14 (Km.170) Da Catania: Autostrada A19 CT-PA, uscita Scillato, proseguire su S.P. direzione Collesano, Isnello, Castelbuono (Km.185); Autostrade A19 CT-PA, A20 PA-ME, uscita Castelbuono, proseguire su S.S. 286 per Km.12 (Km 200) In autobusDa Palermo tramite gli autobus di linea si può raggiungere Castelbuono. Per maggiori informazioni consultare AST Tel. 0916208111 E SAIS Tel. 0916166028.In treno Arrivare alla stazione di Cefalù, Per Castelbuono prendere l'autobus che in 30 minuti vi porterà al centro del paese.
DOVE DORMIRE Alberghi:Paradiso delle Madonie - Via Dante Alighieri, 82 – Tel. 0921.676.197; Alle Querce - c/da Mandrazze snc – Tel. 0921 677020 - 338 7170385; Milocca - C.da Piano Castagna - Tel. 0921/671944; Rifugio F. Crispi - C/da Piano Sempria – Tel. 0921/672279 - 368 989 887; Ypsigro Palace Hotel - Via Cefalù 111 - Tel. 0921 676007. Bed & Breakfast: Panorama - Via Isnello s.n.(C.da Madonna del Palmento) – Tel. 0921672071-3383171223-3288952224; Villa Calagioli di Abbate Mario - Via R - C.da Calagioli – Tel. 0921676153 Cell. 3385884421- 3283181593; Abbate - Via Mariano Raimondi,14 – Tel. 0921 676153 cell 3385884421; Villa Letizia di Maria Letizia Fina - Via Isnello s.n. - Tel. 0921/673247 cell.3339083896; La Casa di Isi - C.da Pedagni Aquileia – Tel. 0921679035 – 3201150612; La Tannura di Anna Maria Sferruzza - C/da Pedagni – Tel. 0921 676595 - 333 6955690; Agriturismi: A Rametta - C.da Rametta – Tel. 333.41.29.141 – 333.91.73.950; Azienda agrituristica biologica ortofrutticola Bergi – Tel. 0921/672045; Villa Levante – C/daVignicella – Tel. 0921/671914 Cell 3356394574; Masseria Rocca di Gonato - Contrada Gonato – Tel. 0921 672616 - 0921 676650 – 368481624.DOVE MANGIARERanch San Guglielmo - C.da San Guglielmo – Tel. Cell.338/7593939; Ristorante Donjon - Via Sant'Anna, 42 – Tel. 0921.671.154; Ristorante Ristor bar - Via Vittorio Emanuele, 132; Ristorante Nangalarruni - Via delle Confraternite, 5 – Tel. 0921/671428; Ristorante La Corte del Conte - Via Cefalù, 111 – Tel. 0921.676007; Ristorante La Lanterna - Salita al monumento, 11 – Tel. 0921/671371; Ristorante Palazzaccio - Via Umberto I, 23 – Tel. 0921.676289; Ristorante Hostaria Cycas - Via Di Stefano,9 bis – Tel. 0921/677080; Ristorante La Tavernetta - Via Garibaldi,7 – Tel. 3285790642; Panineria - Bistrot - Via S. Anna,42; Pizzeria - A Rua Fera - Via Roma,71 - Tel. 0921/676723; Pizzeria La Pergola - C/da Vinzeria – Tel. 0921/676047; Pizzeria Al Castello – P.zza Castello - Tel. 0921.673664; Pizzeria Vecchio Palmento - Via Failla, 2 – 0921/672099; Pizzeria Antico Baglio - P.zza Schicchi, 3 – Tel. 0921.679512; Romitaggio S.Guglielmo - C.da S. Guglielmo – Tel. 0921/671323; Pizzeria Quattru Cannola - C.so Umberto I, 40 – Tel. 0921.679.028; Pizzeria U Trappitu - Via S. Anna – Tel. 0921/671764; Pizzeria S. Paolo - Piazza S. Paolo

martedì 8 giugno 2010

Munnizza a Palermo, cinque minuti e poi....

LA REPUBBLICA PALERMO - MARTEDÌ 08 GIUGNO 2010
Pagina XVII
IMMONDIZIA A PALERMO EMERGENZA SENZA COLPEVOLI
Francesco Palazzo

Quella signorina della campagna pubblicitaria della raccolta differenziata a Palermo aveva il volto rassicurante: «Cinque minuti al giorno e la mia città è più pulita». Perché no? Anche dieci, non c´è problema. E in effetti, nella zona residenziale che sinora ha riguardato i due step attivati, immondizia in giro non se ne vede più. Nel resto della città i roghi di cassonetti ormai non fanno più cronaca. Nella parte di Palermo baciata dalla fortuna, si vede ogni tanto qualche cumuletto, per non perdere l´abitudine. La domanda, magari, è dove vanno a finire tutto l´indifferenziato, la carta, l´umido, il vetro e il riciclabile che come bei soldatini conferiamo nei nostri sorridenti contenitori. Ma al quesito è ancora presto per rispondere. Ciò che dobbiamo rilevare, alla luce delle drammatiche notizie che giungono circa la capienza di Bellolampo, è che la campagna dei cinque minuti, che ricorda tanto una canzone degli anni Sessanta, copriva, come un bel vestito nuovo, una situazione al limite dell´incredibile. Chi dovrebbe farci capire qualcosa, sostiene tesi diverse. Da una parte abbiamo appreso che da agosto saremo la nuova Napoli, dall´altra ci informano che non è vero niente. Ci sarebbero altri due anni per dormire sonni tranquilli. Si mettano d´accordo. E poi ci dicano, con calma. Da qui ad agosto, tanto, c´è un´eternità. Perché, siccome l´immondizia non è spirito o filosofia teoretica, non si può sostenere che la quinta vasca di Bellolampo può contenere 700 mila o 145 mila tonnellate di rifiuti. Delle due l´una. Oppure una via di mezzo. Che so, ci si potrebbe fermare a trecentomila, così non fa brutta figura nessuno. In realtà, c´è da fare poca ironia. E sin qui siamo ai tecnici. Spostiamoci sul fronte politico. Alla Regione sono sicuri che sui termovalorizzatori la mafia vuole mettere le mani. Una notizia sconvolgente. Sino a oggi sospettavamo che si occupasse soltanto di popcorn. Al Comune affermano che è invece sulle discariche che la mafia dirige i propri interessi rapaci. Anche in questo caso si tratta di notizia riservata e davvero inaspettata. La politica regionale, se avevamo ben capito, aveva abbandonato la costruzione dei termovalorizzatori. A tutta dritta, senza se e senza ma, sulle discariche e la differenziata. Ora, invece, si parla di tempi brevi, brevissimi, per la costruzione del termovalorizzatore palermitano. Lo sappiamo tutti, del resto. Per costruirlo e metterlo in funzione ci vogliono poche settimane, i più bravi ci mettono qualche giorno, nella Sicilia autonomista non ci vorranno che poche ore. Manco il tempo di assaporare una di quelle belle riforme di cui tutti andiamo fieri, ma mai quanto il Pd, che già giunge il contrordine. Si decidano e ci facciano sapere. Senza che però si sentano pressati. Tanto ad agosto mancano circa cinque milioni di secondi, un tempo infinito. Che dire, infine, dei governanti cittadini? Di quelli che dovevano amministrare la quotidianità ed evitare i disastri sin troppo annunciati? Con voce ferma ci avevano fatto sapere, prima che si muovesse la magistratura, che adesso, sul fronte rifiuti, vogliono i risultati. Questa sì che è una novità. Quando ho sentito questa frase, poiché sono naturalmente portato ai sensi di colpa, in un attimo ho ripercorso tutta la mia vita degli ultimi anni. Per capire dove posso aver sbagliato e perché non ho dato, nonostante il mio impegno, i risultati sperati. Eppure il centrodestra governa Palermo da dieci lunghissimi anni. E adesso chiede conto e ragione non si sa a chi. Coloro che dovevano operare e vigilare sul fronte rifiuti, in quanto vincitori per due volte di libere elezioni, ora pretendono da qualche ignota entità che la città sia pulita e la discarica non presenti problemi. Le cose improvvisamente si capovolgono. Colpo di scena. Ora si tratterà di andare in giro, novelle ronde sicule della munnizza, per cercare e scovare i colpevoli di tutto ciò. Non ci vorrà molto tempo. Basteranno cinque minuti.

domenica 30 maggio 2010

Odiare e amare Palermo?

Da LiveSicilia
30 5 2010
Francesco Palazzo

Devo dire la verità. Tutte quelle volte che ascolto di questo duplice sentimento contrastante verso Palermo, amore e odio, che molti sentono in maniera viscerale, non riesco a trovare in me un solo momento in cui ho provato questi due stati d’animo. Sarà perché prevale l’indifferenza? No, non credo sia questo. Il fatto è che questi sentimenti di amore e di odio verso Palermo li ho sempre percepiti come degli eccessi umorali e nient’altro. Un giorno si ama e uno si odia. Chi ama Palermo, spesso, prova quella passione devastante che non fa ragionare. E sono, questi, gli amori che durano poco. Rispondono più alla pancia che al cuore e alla testa. Ed anche l’odio ha le stesse caratteristiche. Perché quelli che odiano Palermo sono quelli che l’hanno amata e coccolata il giorno prima. Che, magari, hanno trascorso l’ultima notte con lei. Respirando durante una passeggiata con gli amici la brezza primaverile unica che questa città dona alle porte dell’estate. Si può morire di troppo amore o di troppo odio verso il luogo che ci ha dato i natali. E anche se non si muore, non si vive certo bene. Anche perché spesso, per fare un esempio, quando si parla male di Palermo, lo si fa dopo essere stati fuori. Misurando altri gradienti di civiltà e di funzionamento di tutto ciò che è pubblico e privato. “Caro mio, lì non è come da noi”. Questa la frase d’uso. Dimenticandosi che sino al giorno prima di partire e dal giorno dopo il ritorno, nella vita privata e pubblica, non si fa altro che tradire l’amore teorico e alimentare l’odio pratico verso la città. Allora penso che quando si guarda a questa terra, può essere Palermo o la Sicilia intera, bisogna imparare a guardarsi da coloro che il lunedì bruciano d’amore e il martedì divampano nell’odio, a giugno sono pieni di tenerezza e a luglio sono devastati dalla spietatezza. Questi non hanno la lucidità per aiutarsi a divenire cittadini adulti e aiutare la città a essere migliore giorno per giorno. Perché saranno orientati a difenderla quando gli altri ne parleranno male, anche a ragione. E si troveranno a criticarla pure se qualcuno ne metterà in rilievo degli aspetti positivi, che certo non mancano. Questa città ha bisogno di essere guardata, almeno da chi resta, perché per chi va via andrebbe fatto un discorso differente, e non c’è lo spazio, con serenità, pacatezza, lucidità, competenza. Ricordandosi che è come è, nelle sue luci e nelle sue ombre, proprio perché è così che l’abbiamo generata e la continuiamo a pascere. Se le abbiamo donato pietanze preparate con cura, raccoglieremo cose buone, se l’abbiamo avvelenata con il fiele del disinteresse e dell’incuria, ecco che vedremo nascere frutti immangiabili. Ma non sarà Palermo che ce li darà, ma noi stessi raccoglieremo quanto seminato. Da noi o da chi ci ha preceduto. Dobbiamo uscire fuori, una volte per tutte, dalla dicotomia insanabile che ci sballotta tra irredimibilità e paradiso terrestre. Non siamo né l’una né l’altro. Ma sapere cosa non si è, mi rendo conto, non può bastare. Anche perché il peso del passato è forte come un macigno. Proprio ieri un sensibile rappresentante di partito, incontrato casualmente davanti al Teatro Massimo, pensato e voluto da chi ha amato certamente prime se stesso e poi, ma solo come conseguenza, la città, mi confessava che non riuscirà mai a perdonare chi ha stravolto intere zone del territorio cittadino. E parlava di una impossibile indulgenza laica, civile, non religiosa. Capisco questo stato d’animo, in passato è stato un pò anche il mio. Oggi, tuttavia, la metterei diversamente. Più che chiederci se e quanto odiamo o amiamo Palermo o quanto detestiamo certe sinistre figure che l’hanno sfigurata, dovremmo sperimentare un punto di domanda diverso. Che consiste nel capire come possiamo farci perdonare da questa città. Dalle sue vie deturpate, dal suo respiro storico millenario affannoso, dai suoi quartieri periferici trasformati in non luoghi. Dobbiamo avere il coraggio di darci delle risposte serie, credibili, oneste. E poi cominciare ad operare. Affinché le future generazioni, più che odiare o amare Palermo, non odino noi. Per ciò che per Lei potevamo fare e non abbiamo fatto.

sabato 29 maggio 2010

Primarie, votare per non decidere

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 29 MAGGIO 2010
Pagina I
Il popolo delle primarie tradito dai dirigenti
Franceso Palazzo

C´è un virus che si è inserito nel corpo del Pd regionale e di tutto il centrosinistra. Riguarda proprio lo strumento principe che il centrosinistra si è dato per far decidere i cittadini e non tenerli lontani dalle stanze del potere. Parliamo delle primarie. Per carità, sull´uso fattone sinora si possono avanzare tanti rilievi. Se passiamo in rassegna gli appuntamenti siciliani passati, possiamo vedere che non sempre si è trattato di vere e proprie competizioni. Spesso, o quasi sempre, il vincitore, o la vincitrice, erano già abbondantemente annunciati. Tuttavia sono stati sempre momenti di partecipazione e di festa, tanto che ogni volta ci si sorprende delle lunghe file ai gazebo. Sorpresa, per la verità, abbastanza eccentrica, visto che è proprio il popolo che vota centrosinistra a richiedere con insistenza di poter decidere direttamente.Poi, magari, non si è saputo capitalizzare questo fiume umano che ogni volta si è presentato pagando l´obolo. Se, per caso, chiedessimo come sono state utilizzate le liste dei votanti, ci renderemmo conto che giacciono in qualche cassetto. Eppure una base di decine e decine di migliaia di persone potrebbe costituire un volano portentoso per costruire veramente i partiti sul territorio e non solo sui giornali. Sinora però si erano sempre rispettati i risultati delle consultazioni. Negli ultimi tempi, invece, sono accadute due vicende che ripongono tutto in discussione. Sono due circostanze abbastanza importanti, verso le quali sia il Pd che l´intero centrosinistra non hanno posto la dovuta attenzione. E non è che siano accadute in piccoli centri di secondaria importanza. Parliamo di Enna, capoluogo di provincia, e di Gela, sesto comune della Sicilia. I fatti sono noti. A Enna il deputato Vladimiro Crisafulli si è candidato alle primarie per concorrere alla guida della sua città. Le ha vinte con il 61 per cento, poi ha fatto un passo indietro dopo che alcuni esponenti del suo partito avevano investito della vicenda la segreteria nazionale. Cosa avranno pensato gli ennesi che si erano mobilitati per questa elezione primaria? Forse che la democrazia partecipata è solo un passaggio che può essere macinato negli scontri interni di un partito e di una coalizione. Se la prossima volta non si presenteranno a votare ai gazebo, potremmo fargliene una colpa? Certamente no. A Gela abbiamo registrato un caso contrario. Il parlamentare regionale e presidente della commissione Antimafia, Calogero Speziale, volendo partecipare alle amministrative della sua città e desiderando competere per ricoprire quella che fu la poltrona di Rosario Crocetta, si è anche lui confrontato con le primarie. Uscito perdente, seppure per pochi voti, ha comunque deciso di partecipare alle elezioni contro il suo partito. Due casi che sottolineano, se ve ne fosse ancora bisogno, lo stato confusionale in cui versa il Pd. E, appresso a lui, tutto quello che fu il centrosinistra. Perché non si possono annullare, di fatto, le primarie a Enna, con il timbro della dirigenza nazionale del partito, e poi chiederne il sacro rispetto a Gela, minacciando espulsioni dal Pd. Delle due l´una. O le primarie sono uno strumento di importanza centrale nella vita del partito, e allora se ne rispetta sempre il responso, così come si fa con le elezioni vere e proprie. Oppure sono un altro modo di condurre, successivamente ai risultati, le lotte politiche all´interno del partito. Se ne è visto un esempio, abbastanza lampante, dopo le primarie con cui si è scelto il segretario regionale dei democratici. Dove il congresso, che doveva soltanto registrare il risultato uscito fuori dai gazebo, se lo è cucinato come ha voluto. Con i risvolti politici a livello regionale che ben conosciamo. Se le primarie sono soltanto un pretesto per consumare faide interne, non ci può meravigliare se prevalgono, su tutto, gli umori personali e gli interessi di cordata. I due casi di Enna e Gela declinano in tal senso. Sarebbe il caso che il Pd regionale, tra una riforma e l´altra, ci riflettesse un attimo. Altrimenti prevarrà, ci vuole poco a ipotizzarlo, la progressiva disaffezione verso una pratica di democrazia diretta della quale non ci si fiderà più.

giovedì 27 maggio 2010

Perchè è un problema non seguire il proprio leader

Il messaggio della pubblicità contestata, apparsa per le vie di Palermo, è abbastanza chiaro. Cambiate stile. Non seguite il vostro leader. Perché, appunto, il leader, soprattutto se vuole fare fuori un del po' di umanità come Hitler, che compare nei cartelloni con un cuore impresso sul braccio al posto della svastica, non è proprio un bell'esempio da seguire. Discorso chiuso? Se si fosse dato il significato corretto alla parole, la querelle non si sarebbe neanche aperta. E, invece, alte si sono levate le proteste, arrivate sin dentro le stanze della presidenza della repubblica. Ora l'azienda che ha ideato la campagna di comunicazione, riuscendo a farne parlare l'Italia intera, annuncia altri manifesti simili con al centro il grande timoniere Mao. Si prepari, il presidente Napolitano, a ricevere altre missive di protesta. Eppure, se l'invito a non seguire il leader ed a cercare un proprio stile è rivolto ai giovani, come pare che sia, non può che essere accolto con favore. E ciò vale anche per gli adulti. Che in politica, nella società, nel posto di lavoro, in chiesa, non attendono altro che di trovare un punto di riferimento da seguire e di cui innamorarsi in maniera acritica. La strada che porta a far scattare tale meccanismo è abbastanza visibile. Guardiamo, per cominciare, un attimo la vita politica siciliana. Cosa è, al momento, al di là dell'opinione che ciascuno può avere sulla sostanza delle cose, se non un valzer ballato da poche persone che stanno decidendo ciò che è buono e ciò che non lo è per tutti. Voi vi ricordate delle elezioni? Roba passata, conta soltanto la volontà di alcuni, che, giorno per giorno, ci dicono, e quasi dobbiamo ringraziarli, cosa è meglio per la Sicilia. E' un liderismo che sorge nel vivo del tessuto democratico e perciò fa meno paura. Tanto che ci siamo abituati a considerarlo come assolutamente fisiologico. Spostiamoci un attimo in un ambiente completamente diverso. Vi sarà certamente capitato in questo periodo di assistere in qualche chiesa ad affollatissimi riti di prima comunione. Decine di ragazzini e ragazzine, in chiese spesso piccole, riempiono con centinaia di parenti, molti ovviamente in piedi o fuori dalle chiese, ogni angolo interno ed esterno. Gli unici che parlano, che ha decidono, che orientano cose e persone, sono i parroci. Nessun tipo di interazione, se non un ascolto distratto, visto che i luoghi di culto sono pieni all'inverosimile, è richiesto. Anche qui nessun problema. Gente adulta, anche studiata, che segue il leader di turno, senza che senta l'esigenza di partecipare o di modificare un minimo quanto già predisposto dal ministro di dio. Tutto normale? Certo, poiché questi meccanismi di massificazione e di trasferimento verso l'autorità sono ormai entrati nel metabolismo culturale di tantissimi, non ci si pone alcuna domanda. Perché è come se per le nostre strade campeggiasse costantemente un'altra campagna pubblicitaria, con lo slogan “seguite il vostro leader”. E se davvero comparisse domani, per pubblicizzare un altro marchio, magari senza la foto poco rassicurante dell'uomo con i baffetti, ma con l'immagine di un santo, pensate che qualcuno si preoccuperebbe? No, ormai c'è l'assuefazione a correre dietro qualcuno. Lo si può vedere anche nel corpo vivo della società di questa città e di questa regione. Basta che un tizio qualsiasi indichi una rigenerazione politica, contro i partiti e contro tutto, magari ricopiando il peggio del peggio dei partiti, in termini di propaganda e di pressapochismo, ecco che trova subito audience e tifoserie pronte all'uso. Insomma, il problema non è quel manifesto che tanto, incredibile e ingiustificato, scandalo sta creando. Ma il fatto che quel messaggio, non seguire il tuo leader ma ragiona con la tua testa, fa scattare la veemente copertura di un'abitudine che oramai si è cristallizzata e non si vuole mettere in discussione. Cambiarla sarebbe un trauma. Francesco Palazzo

domenica 23 maggio 2010

Cosa ci poteva dire una magnolia nuda

Oggi è forse il caso di riprendere la vicenda dell’albero di via Notarbartolo. Certo. Se non oggi, quando? Vi ricorderete. Ci siamo buttati a corpo morto su quella povera magnolia prima di capire cosa fosse successo. Era stata la mafia o una ragazzata? Inquietanti entrambi le ipotesi. No, era stata una persona sofferente, una delle tante che vediamo in giro per la nostra città. Che ignoriamo e che ci ignorano. E che probabilmente con questo gesto sconsiderato ci ha voluto dire, ci sono anch'io. Forse si poteva evitare tutto quel parapiglia, bastava che funzionasse la telecamera piazzata davanti a quella che fu l'ultima dimora terrena di Giovanni Falcone. Strano, no? Quel luogo è uno dei simboli più gettonati, nel panorama nazionale e mondiale, della lotta alla mafia e non c'è uno straccio di video sorveglianza funzionante. Non è la prima volta che accade e non è questo il punto. Ormai l'allarme era partito e molta gente si è recata a riempire nuovamente l'albero. Tantissimi, bambini, giovani, adulti, animati dai più buoni propositi, non c'è dubbio. Ma tanti anche mossi dalla possibilità di fare bella figura a buon mercato. Come dice la pubblicità: ti piace vincere facile? E che ci vuole, quasi un gioco da ragazzi, fare l'antimafia in questo modo, non ci si sporca neanche il vestito della domenica. E oggi è proprio domenica. Soprattutto se si rappresentano istituzioni che non si fanno funzionare come dovrebbero. Sarebbe questa la vera antimafia? Certo, lo sanno pure le pietre, ma è meglio evitare. Questo è un campo dove è difficile, molto complicato, vincere facile. E, infatti, ci perdiamo un po' tutti. Eppure quell'albero svuotato, qualcosa voleva pur dire. Non soltanto a quelli che hanno subito cercato oscenamente visibilità gratuita sotto i suoi rami. Ma pure a quello che una volta si definiva movimento antimafia e che oggi non saprei come chiamare. Disperso, com’è, in mille rivoli, l'un contro l'altro armati o, se va bene, non comunicanti. Le cose difficilmente accadono per caso, o a volte la casualità si fa carico di scoprire qualcosa che, per tutta una serie di motivi, alcuni nobili, altri meno, si preferisce tenere ben nascosta. E cosa voleva comunicare quella magnolia denudata? Difficile rispondere adesso. E' stata, da subito, ricoperta. In fretta, prima che sorgesse qualche domanda e ci si dovesse dare qualche risposta. Seria, onesta, non retorica. Subito ho avuto la sensazione che stava accadendo come quando si ha vergogna di qualcosa verso la quale ci si sente, in fondo, corresponsabili e perciò si tende a rivelare, ossia a velare nuovamente, ricoprire, nascondere, occultare. Quando invece si dovrebbe avere la forza di svelare, ossia di rendere visibile a tutti la sostanza, tralasciando di occuparsi della forma, affinché questa torni, pulita e candida, al suo posto e plachi le coscienze. Si doveva avere la forza di lasciare quell'albero così com'era stato ridotto. Malconcio, nudo, pieno di ferite. Non per sempre, sia chiaro. Sarebbero bastate alcune settimane, magari sino all'anniversario di oggi, 23 maggio 2010, il diciottesimo. Mettiamo che l'albero sofferente sia la lotta alla mafia, condotta nella politica e nella società. Cosa ci poteva dire in questa domenica quella grande magnolia denudata, violata, se solo gli avessimo dato il tempo di parlarci? E' un punto di domanda che ciascuno, se vuole, può portarsi appresso sino a lunedì. Oppure, se infastidito, può scaricare immediatamente con una scrollata di spalle. Magari mentre apprende, proprio oggi, domenica di passione, con una dolorosa, per l'albero, puntina di metallo il suo bel cartello sul tronco dell’albero Falcone. Sì, forse quella povera signora, come il bambino della favola, ci ha voluto indicare che il re è nudo. Ma abbiamo avuto troppa paura. E subito l’abbiamo rivestito. Francesco Palazzo

venerdì 21 maggio 2010

Casa ai Rom, quando la politica insegue le paure

Francesco Palazzo

Dunque il Comune ci ha ripensato. L’attico di via Bonanno, a Palermo, non andrà più alla famiglia rom. Le proteste dei residenti hanno convinto l’amministrazione a fare dietro front. Non è la prima volta, e non solo su quest’argomento, che l’esecutivo alla guida di Palermo, si fa per dire, fa marcia indietro. I nostri amministratori, tuttavia, in questo caso hanno dato il meglio. Cercando di porre una pezza all’insurrezione popolare, che non c’era stata quando l’attico apparteneva alla mafia, non si sono resi conto che hanno creato un pericoloso precedente. Come fanno ad essere sicuri che pure gli abitanti dello stabile di corso Calatafimi, nuova destinazione della famiglia rom, non scenderanno in piazza? Nessuno si potrebbe meravigliare, meno di tutti il Comune, se ciò accadesse. E, del resto, perché non dovrebbero farlo, visto che il governo cittadino si è già abbassato come il famoso giunco la prima volta? E se anche nella nuova destinazione si verificasse una sollevazione popolare simile a quella di via Bonanno, verrebbe forse trovata un’altra casa, e poi un’altra ancora? Sempre più in periferia, magari come tappa finale il campo rom. E non è finita qui. La vicenda suggerisce, tra le altre, pure una preoccupante sottolineatura. Per dirla chiaramente, con questa scelta senza criterio si sancisce, ufficialmente, che la città è composta di aree di serie A, che basta che alzino il sopracciglio affinché l’amministrazione se la dia a gambe, e zone di serie B, che si pensa, ma chissà se andrà così, di poter controllare meglio. In parole povere, ciò che non può essere accolto nel salotto affrescato di via Libertà, può benissimo trovare accoglienza nel vecchio ripostiglio di corso Calatafimi. Insomma, da qualsiasi parte si guardi questa pietosa vicenda, davvero fa acqua da tutte le parti. E abbiamo l’impressione che ne sentiremo ancora parlare. Ciò avviene proprio nel momento in cui allo Zen è in corso la guerriglia per lo sgombero degli abusivi che hanno occupato illegalmente case già assegnate ad altri. Da una parte si sposta, come una pedina inanimata sulla scacchiera del disagio, chi ha ottenuto una casa nel rispetto di una graduatoria, mettendosela, di fatto, sotto i piedi, dall’altra si allontanano coloro che hanno occupato case non tenendo conto di una lista d’attesa. Circostanze che ci dicono tanto circa l’assenza di una politica sull’emergenza abitativa da parte di questa amministrazione. Ma non c’è solo questo e non riguarda solo l’oggi. La politica residenziale e urbanistica popolare degli ultimi decenni, che ha creato dei veri e propri ghetti dove trasferire tutto il disagio sociale, ha prodotto vere e proprie enclave di illegalità. Non ha diminuito, anzi aggravato, il disagio e ha reso più difficile la vita in quartieri già problematici. Tale politica abitativa, che ancora allo Zen e in altri posti si continua a perpetrare, creando dei non luoghi, deve essere del tutto abbandonata. Perché si continuano a costruire e assegnare case allo Zen? Quale poteva essere e qual è l’alternativa percorribile? Si può dire in due parole. Se le persone bisognose di una casa si fossero integrate singolarmente nel tessuto cittadino, nei luoghi dove già esisteva una socialità in grado di rendere migliore la loro vita, la storia di questa città sarebbe stata diversa e migliore. Si sarebbero tolti alle cosche dei serbatoi sempre pieni di manovalanza e di consenso. Ma è una politica che ha bisogno di una mano ferma. Non quella tremolante che cerca di trovare il muro basso di corso Calatafimi cui affibbiare ciò che il muro alto di via Bonanno non vuole. Un’amministrazione forte del primato della politica e del consenso, aspetti che evidentemente difettano a chi guida da un decennio la nostra comunità, avrebbe avuto la forza di far rispettare la propria scelta ai protestanti di via Libertà. Non è andata così.

venerdì 7 maggio 2010

Come è facile prenotare una TAC

LA REPUBBLICA PALERMO – VENERDÌ 07 MAGGIO 2010
Pagina XV
L´odissea di un cittadino nella sanità riformata
Francesco Palazzo

Sì, va pure bene la riforma della sanità, di cui è appena stato festeggiato il primo genetliaco. Anche se ancora è presto per vedere i risultati e spegnere candeline. Ma mettete che un anziano debba, oggi, prenotare una Tac e decida di farlo contattando la nuova azienda Villa Sofia-Cervello. Prova a telefonare al numero che gli hanno dato, dopo alcuni giorni capitola, non riesce a mettersi in contatto. Forse con la mano tremante sbaglia a comporre il numero, oppure l´ha scritto male. Passa al piano d´emergenza. Consistente nel chiamare il figlio, quello studiato, affinché affronti la delicata questione. E il figlio, giovane e aitante, pensa sia una bazzecola. Prova, in giorni diversi, a fare tre volte il numero del centro di prenotazioni di Villa Sofia. Non si formalizza, in fondo ha fatto centro al terzo tentativo, manco Miccoli ha questa media. Solo che il Cup, che è il centro unico per le prenotazioni, proprio unico non è. Perché, dicono, che la tac va prenotata chiamando la radiologia. Non c´è problema. Una voce ti dice che telefonicamente non si può, occorre presentarsi lì, di mattina, con la prescrizione e prenotare di persona personalmente, come direbbe quel personaggio del commissario Montalbano. Cosicché, bisogna recarsi due volte presso il nosocomio. Una volta per fissare la data, un´altra per effettuare l´esame. Per un anziano solo e sofferente, non è una passeggiata. Certo, il figlio può prendersi un permesso dal lavoro per andare a prenotare. Si tratta di prendere l´auto, intasare ancora di più la città, consumare carburante, spendere soldi per il posteggio, quando tutto si potrebbe risolvere con una telefonata. O, sia detto senza offesa, per via telematica. Si prova a cambiare direzione rivolgendosi al Cervello, l´altro partner della fusione. Può essere che telefonicamente si riesca a risolvere. Occorre, per inciso, rilevare che è incomprensibile come ancora non vi sia un numero unico di prenotazione all´interno della stessa azienda, ma ben tre, anzi quattro come poi scopriremo. O forse di più. Pensa che, pure in questo caso, occorra chiamare la radiologia. Sta scherzando?", rispondono. Da loro, diversamente da Villa Sofia (ricordiamoci sempre che sono da mesi la stessa azienda) è il Cup che prende anche le prenotazioni per le Tac. Bene, anche questo ulteriore numero viene segnato. Ma non è quello vincente. Si torna sul sito dell´azienda e si prende il numero lì indicato. Risponde una voce professionale: "Sono N. come posso esserle utile"? Gratificante, ma non può risolvere il problema. Bisogna chiamare il call center del Cervello, dice, informandoci che il tempo d´attesa per l´esame è di due settimane. Il call center lavora dalle 8 e 30 alle 17. Lui è in gamba e da una dritta. Meglio non chiamare prima delle 14 e 30, si rischia di fare un buco nell´acqua. Cosa facilmente riscontrabile. A questo punto si verifica se alla radiologia di Villa Sofia, con cui almeno può esserci un contato fisico, i tempi sono gli stessi del Cervello. Siamo nell´ultima settimana di aprile. Ebbene, se la Tac è senza mezzo di contrasto se ne parla a fine maggio, informano, se ci vuole il mezzo di contrasto si deve attendere un mese. Non si capisce la differenza, in entrambi i casi sempre di un mese di attesa si tratta. Ma non è il caso di insistere più di tanto. Ora rimane la scelta. Continuare a chiamare il call center del Cervello, dopo le 14 e 30, o recarsi con il corpo e lo spirito a Villa Sofia? Si opta per la seconda soluzione. Il primo sabato mattina, unico giorno libero, il giovane figlio va alla radiologia generale di Villa Sofia. L´addetto è attonito. Non è lì che si prenota, lo sanno tutti. Loro fanno solo gli esami. «Occorre recarsi alla radiologia di geriatria». Altra rampa di scale, consulto rapido, sotto la pioggia, con almeno tre operatori sanitari e finalmente ci s´introduce nella stanza giusta. C´è una signora che pare aspetti te. Rapida e premurosa. Tutto si risolve in meno di un minuto. L´esame è per i primi di giugno. Missione compiuta. C´è solo un piccolo strascico. Occorre, il giorno dell´esame o anche prima, ma bisognerebbe impiegare un´altra mattina, bollare la ricetta passando dallo sportello apposito. Si prospetta, quindi, una bella coda. Ma questa è un´altra storia.