mercoledì 31 ottobre 2012

Regionali in Sicilia: la storia e la cronaca.

LIVESICILIA
31 10 2012
 
PD, NIENTE DA FESTEGGIARE
 
Francesco Palazzo


 
 
C'è chi addirittura, per commentare la vittoria di Pd e Udc alle regionali del 28 ottobre, ha scomodato l'affermazione delle liste del Blocco del Popolo dell'aprile del 1947. Ma dovrebbe essere chiaro un po' a tutti gli attori della scena politica che al massimo possono provare a scrivere la cronaca. La storia è un'altra cosa. Anche la vittoria di Orlando era stata salutata dall'attuale sindaco come un passaggio dalla seconda alla terza repubblica. Ora il suo partito, Italia dei Valori, non arriva neppure al cinque per cento alle regionali e supera, di pochissimo tale asticella soltanto a Palermo. Elezioni che vanno, elezioni che vengono. Stiamo alla cronaca, per la storia c'è tempo. E la cronaca ci dice che i due grossi partiti che si erano dati battaglia nell'assemblea regionale della legislatura appena finita, ossia il Pd e il Pdl, perdono consensi e deputati. Per i berlusconiani è un tracollo, ma anche i democratici, appena finiscono di festeggiare, potrebbero avere motivo di riflessione su tale esito uscito dalle urne di fine ottobre. Il partito di Bersani, a livello nazionale, viaggia al 27 per cento e quello siciliano viene relegato ad una cifra che è esattamente la metà. Poi c'è la questione della Sicilia laboratorio, che anticipa sempre. In realtà, proprio per la frammentazione che ha caratterizzato queste elezioni siciliane, è davvero difficile che tale quadro possa ripetersi quando si voterà alle politiche. Idv e Sel sono ai minimi termini.
Ormai la sinistra nella nostra regione ha davvero un rilievo di pura testimonianza. Nelle stesse elezioni amministrative palermitane di primavera, una parte si è persa dietro la candidatura di Ferrandelli, l'altra non è riuscita neppure a sfruttare l'onda lunga del successo di Orlando, fermandosi sotto la soglia di sbarramento. E' una famiglia politica, quella della sinistra siciliana, vecchia, con poche idee, molto settarismo e appena una manciata di voti. Ci vorrebbe qualche iniezione di modernità nel linguaggio e di riformismo nelle azioni. Ma non c'è neppure un minimo di furbizia elettorale. Nelle regionali del 2006, dipietristi e sinistra, uniti, andarono oltre il 5 per cento, oggi e nel 2008 hanno deciso di cambiare schema e per la seconda volta consecutiva sono fuori dall'Ars. Una novità il voto di domenica ce la consegna. Per la prima volta, era accaduto con Orlando, con la Borsellino, e in misura minore con la Finocchiaro, il candidato del centrosinistra, con solo uno 0,1% in più, prende sostanzialmente quanto il suo schieramento. In genere stacca i partiti che lo sostengono, anche se per poco, come accaduto nel 2008. C'è da dire, però, che in questa occasione la lista del presidente (6,2%) raggiunge il risultato più rilevante rispetto a quanto avvenuto con la Borsellino (4,9%) e con la Finocchiaro (3,1%).
 Il fenomeno contrario si è verificato per il candidato del centrodestra, Musumeci. Generalmente, in questo schieramento politico sono le liste a trascinare i candidati alla presidenza, che si posizionano diversi punti sotto le loro coalizioni. Stavolta, al contrario, Musumeci ha staccato di un punto la somma delle liste alle quali era collegato. Perciò ha più di una ragione ad avercela con il Pdl. Dal punto più strettamente politico, molti osservatori preconizzano un sistema di alleanze molto simile a quello appena archiviato. Può essere che accada, ma adesso è il Pd, che è riuscito ad entrare al governo dalla porta principale, e non gli autonomisti, ad avere il coltello dalla parte del manico. E potrebbe non essere esattamente la stessa cosa del film già visto. Occorrerà vedere la squadra completa degli assessori e poi le politiche che si realizzeranno nei vari settori. Sperando che si cominci col dire la verità sulla situazione finanziaria della regione. Ovviamente, sul banco di prova sono anche i quindici deputati grillini eletti. Dal dire al fare c'è spesso di mezzo il mare, in Sicilia può esserci anche l'oceano. Sull'astensionismo, non è il caso di arrovellarsi più di tanto. Pensate che con il 64,1 per cento, nel 2008, si è parlato di una partecipazione record alle elezioni presidenziali americane. Che contano un po' di più delle regionali siciliane. Con tutto il rispetto per chi si sente già nella storia e che ci auguriamo sappia invece regalarci qualche sprazzo di buona cronaca. Un dato certo già c'è. Il presidente eletto dovrebbe regalarci cinque anni tranquilli dal punto di vista giudiziario. Non sarà tanto, ma intanto accontentiamoci di questo. Ora è il momento di passare dagli slogan ai fatti. Prima di dire che la mafia può fare le valigie è andare via, ne deve passare di acqua sotto i ponti della politica siciliana.

venerdì 12 ottobre 2012

Sicilia: una campagna elettorale da dimenticare.

LiveSicilia

Giovedì 11 Ottobre 2012

L'apologia di Hitler e quella della cattiva politica

         Francesco Palazzo

 

Va bene, Hitler è Hitler. Ma i cinque manifesti affissi da un artista a Mazara del Vallo, che riproducono Adolf nel tipico saluto nazista, vogliamo metterli accanto alle migliaia di manifesti e faccioni, con frasi che farebbero ridere se già non facessero piangere, che invadono da settimane le nostre contrade? E che, statene certi, aumenteranno esponenzialmente, tipo pioggia tropicale, in queste ultime due settimane di campagna elettorale.
Campagna elettorale si fa per dire. Mai visto un dibattito politico così spento, senza contenuti, senz'anima. Dove a prevalere sono le citazioni a giudizio dentro il governo, all'interno delle coalizioni e tra le coalizioni. Una querelite acuta che appesantisce, se ve ne fosse il bisogno, una gara elettorale che ci fa rimpiangere il passato. E non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro. Perché questi undici anni, cioè da quando si elegge direttamente il governatore, non sono stati una passeggiata.
Insomma, diciamolo chiaramente, le sfide del 2001, 2006 e 2008 tra i due candidati di volta in volta più accreditati alla poltrona di Palazzo d'Orleans, almeno si potevano guardare. Contendenti con i quali si poteva essere più o meno d'accordo, ma lo spessore delle proposte politiche era abbastanza definito, le coalizioni in grado di assicurare maggioranze ai vincitori e anche la preparazione dei pretendenti al ruolo di governatore appariva mediamente superiore allo schieramento dei presidenti in pectore che oggi si propongono alle urne. L'unico evento in grado, è il caso di dire, di muovere le acque è la nuotata di Beppe Grillo tra Scilla e Cariddi, credo che in questo veda bene Roberto Puglisi.
Ma torniamo all'uomo con i baffetti. L'autore dei manifesti ritraenti Hitler, e già fatti rimuovere dal comune (peccato che la stessa solerzia non vi sia per i tanti manifesti elettorali abusivi che stanno sporcando la Sicilia), è stato denunciato, a quanto leggiamo, per apologia del fascismo. Ma cosa dovremmo fare allora con i tanti messaggi che inneggiano a più che improbabili rivoluzioni, rivolgimenti, cambiamenti epocali, con sorrisi che francamente sembrano, sono, sideralmente lontani dagli stenti in cui vivono quotidianamente le famiglie siciliane? Che apologia è quella che vuole fare diventare bianco il nero con una bacchetta magica, senza avvertire neanche lontanamente il disagio di chi non sta proponendo nulla per affrontare una situazione economica e sociale drammatica? Apologia della cattiva democrazia? Del consenso carpito con carrettate di parole a vuoto? Di un autonomismo ormai ridotto a un'asta senza bandiera, con la quale volevamo essere speciali e non siamo riusciti a essere neanche normali? E' forse l'apologia del voto che non serve a nulla, visto che le maggioranze e gli accordi si faranno dal 29 ottobre in poi? E' l'apologia del clientelismo scientifico di cui si continua a fare pieno uso? E sì che è facile difendersi da Hitler, dagli artisti creativi e dalle paure del passato.
Basta fare sparire dai muri cinque manifesti e formalizzare una denuncia. Ma come difendersi dal presente e dal futuro con un ceto politico che ormai non riesce a parlare che a se stesso, e non sente che nessuno ascolta più? Ma chi volete che si impicci delle liti, dei piatti che volano, degli stracci che saltano in aria. Nessuno. Ma sappiamo che la baraonda serve a coprire l'apologia più grave. Quella dell'omissione della verità per fini di parte, per vincere senza sapere poi esattamente cosa fare. E la verità è che la prossima legislatura regionale sarà per tutti un salto nel buio. Il buio dei conti che non torneranno, di un governo che dovrà arruolare i deputati uno per uno, pagando ogni volta dazio, di un'assemblea legislativa che sarà una bolgia incontenibile di appetiti personali. In confronto a tutto ciò, quei manifesti con Hitler mi sembrano addirittura simpatici.

venerdì 21 settembre 2012

Don Puglisi: la beatificazione e l'indifferenza.


CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 35 del 21 9 2012 - Pag. 46
Don Puglisi e l'auto bruciata
Francesco Palazzo
 
Il diciannovesimo anniversario della morte di don Puglisi si può raccontare parlando della beatificazione che sarà celebrata a Palermo il 25 maggio 2013. Oppure lo si può leggere attraverso un episodio accaduto nella notte tra il 12 e il 13 settembre. Cioè nei giorni in cui nel quartiere e in città, con diverse manifestazioni, si ricordava quanto avvenne quella sera del 15 settembre 1993. C'era (e c'è) una macchina completamente bruciata dentro un parcheggio privato. A venti metri del busto in marmo raffigurante Puglisi, posto al centro della piazza con la corona di alloro ancora fresca. A non più di quaranta metri, che sono ancora meno dei cento passi famosi, dalla chiesa di S. Gaetano. Dove don Pino visse gli ultimi suoi tre anni di sacerdozio e di vita. Il mezzo appartiene ad un giovane commerciante, un artigiano orafo, che si è esposto a viso aperto nella battaglia antiracket. Forse cortocircuito, ma che le auto brucino per questo motivo è davvero molto improbabile, forse un attentato ben camuffato. In ogni caso, visto la persona a cui è capitata la disavventura e il rione in cui avviene il fatto, un fatto inquietante. Che richiederebbe, proprio nel quartiere che fu di Puglisi, qualche gesto deciso e concreto di solidarietà. Invece si è soltanto registrato un gelido silenzio. Si può dare una chiave di lettura, partendo da questa circostanza, su come arriva, nel luogo della sua profezia, l'eredità di Puglisi alla beatificazione? Si può provare. Anche perché l'indifferenza di oggi fa a pugni con le parole chiare e nette che don Pino pronuncio in un'omelia domenicale dell'estate del 93. Qualche mese prima che un proiettile alla testa lo fermasse per sempre schiantandolo su un marciapiede sotto casa. Rosso in viso e con le grandi orecchie infiammate dalla rabbia, dall'altare commentava molto duramente, facendo arrivare aperta solidarietà alle vittime e invitando i fedeli ad andarli a trovare, l'incendio notturno delle porte di tre componenti del Comitato Intercondominiale Hazon. Con il quale lui lavorava da tempo nel territorio per portare diritti e servizi senza chiedere una lira di finanziamenti pubblici, anzi rimettendoci di tasca sua. Ancora non si sapeva, lo diranno i processi, i pentimenti successivi e le sentenze, ma erano stati gli scagnozzi della famiglia mafiosa locale a compiere l'operazione. Come si permettevano quegli inermi cittadini, non legati a qualche potente della politica, ed un parroco con i gomiti dei maglioni mal rattoppati, a chiedere che a Brancaccio si potesse vivere dignitosamente? Puglisi non attese gli esiti delle indagini. Da persona nata e cresciuta in quei luoghi, seppe subito in che direzione guardare e cosa dire pubblicamente per non lasciare da sole le vittime dell'attentato incendiario. Da quel grido di accusa di allora e dal silenzio odierno si sono fatti passi in avanti o indietro? Se non vogliamo vestirci dell'antimafia retorica delle ricorrenze, un abito che a molti piace indossare, bisogna ammettere che si è tornati parecchio indietro. E non soltanto per l'episodio citato. Nel rione è tornata, più forte dei tempi di Puglisi e che lui volle combattere con tutte le sue forze sino alla fine, una cappa micidiale di indifferenza e paura. Che si mescola con i piccoli gesti della criminalità spicciola, comprese attività di abusivismo selvaggio e predatorio o spaccio di sostanze stupefacenti, che avvengono alla luce del sole, e le grandi manovre della mafia, sempre presente. Basta farsi una passeggiata nei luoghi che furono di don Pino, e prima di lui di un altro coraggioso parroco, Rosario Giuè, di cui poco si parla nelle ricostruzioni storiche, per rendersi conto della distanza che intercorre tra la beatificazione di maggio e la realtà che connota uno dei posti da cui dipende la salvezza o la dannazione di Palermo. E forse dell'intera Sicilia.

domenica 16 settembre 2012

Regionali 2012. Si fa presto a dire elezioni.

LiveSicilia
16 Settembre 2012
Le elezioni.....embè?
Francesco Palazzo
 
 
 
Voi chiamatele, se proprio restate contenti, elezioni. Io penso di aver capito una cosa. Il giro di valzer siciliano, che si ballerà nei seggi d'inizio autunno, è la prova generale di quella che sarà la nuova legge elettorale a livello nazionale. Voi votate tranquilli e poi pensiamo noi a fare le alleanze nelle assemblee rappresentative. Mani libere e cuore leggero. Gente a cui, evidentemente, piacere vincere facile. Pensate un po' cosa ne sarà della Sicilia e dei siciliani nella prossima assemblea regionale siciliana. Quello che abbiamo visto in passato sarà ricordato con struggente tenerezza. All'indomani del voto, visto che nessuno dei contendenti si aggiudicherà la maggioranza, considerato lo spezzatino di candidature in campo, si aprirà il mercato e tutti, proprio tutti, nessuno escluso, cercheranno di portare a casa qualcosa. Alcuni tacciano di gossippari coloro che fanno balenare ipotesi di accordi già stabiliti sottobanco tra alcuni degli attuali contendenti. Hanno perfettamente ragione.
Ma quali gossip e gossip! La realtà, come sempre in Sicilia, è più frizzante e incredibile di qualsiasi pettegolezzo da corridoio o chiacchiera da bar. Dicono che la polverizzazione di facce e le alleanze variabili come il tempo, siano la conseguenza logica di un bipolarismo malato cronico da tempo. E siccome uno sta male, meglio prendere bene la mira, sparargli un colpo alla tempia e farla finita subito. Per risparmiare nella spesa sanitaria potrebbe essere un ottimo metodo. L'eredità che lascia il morituro, del resto, è consistente. Direi regale. Seppellito l'osso della logica bipolare, sulla quale si sta andando al voto negli Stati Uniti, ma noi siamo, inutile dirlo, più avanti anni luce, rimarrà nelle mani dei partiti, degli eletti, dei forti gruppi di pressione, tutta la polpa. Volete che non ci venga fuori una succulenta pietanza?
In questo scenario, secondo voi, che cosa possono dire i candidati alla presidenza di chiaro e definito sulle quattro cose da fare subito affinché la Sicilia non affondi? Niente di significativo e percettibile. Solo balbettii. Se le alleanze si fanno dopo le elezioni, come si fa a pronunciare parole chiare? Vi immaginate cosa significherà comporre un governo sotto il fuoco di fila dei tanti pretendenti ai vari troni della politica regionale che spunteranno come funghi da lunedì 29 ottobre? Allora forse è meglio, almeno per questo giro, evitare di prenderci in giro e non chiamarla elezione diretta del governatore della Sicilia. La legge elettorale, infatti, promuovendo la balcanizzazione del consenso politico, viene assolutamente svilita e annullata. I siciliani e le siciliane, che lo sappiano o no, ma sarebbe onesto recapitargli il messaggio, non eleggeranno un bel nulla. Solo una faccia, più o meno sorridente, più o meno affidabile, che salverà la forma della democrazia. Il resto, la sostanza, a cutra, come dicono a Berlino e dintorni, se la contenderanno quelli che contano, non molti, in Sicilia.
Si poteva fare diversamente? Certamente. Bastava che i quattro candidati più accreditati facessero, visto che dicono tutti di amare la Sicilia, che perciò sta morendo di questo troppo asfissiante trasporto affettivo, un gesto di responsabilità. Presentando due coalizioni all'elettorato siciliano e proponendo tre o quattro cose da fare per non continuare a bere l'acqua di una crisi finanziaria molto seria. E magari indicando due squadre di assessori. Non è un obbligo, quest'ultimo. Ma certamente gli elettori avrebbero apprezzato e si sarebbero potuti orientare meglio. Ma figuriamoci. Siamo a pane e acqua e voi chiedete il salmone. Ma dove vivete? In realtà stiamo tornando, a Roma come a Palermo, ma in Sicilia si anticipa sempre perché siamo i più furbi del suolo italico, all'età della pietra della democrazia rappresentativa. Tu mi dai il voto e poi non rompere che ci penso io che ne so più di te. Dal 28 ottobre sera, non pensateci più. La messa (in scena) della partecipazione sarà finita e potrete andare in pace.

mercoledì 5 settembre 2012

Italo e la Siclia del novecento con i treni che non arrivano mai.

La Repubblica Palermo - Mercoledì 5 Settembre 2012
Pag. I
Quel treno superveloce di un altro pianeta
Francesco Palazzo

Il 26 agosto è partito Italo. E' un treno che collega, più volte al giorno, Roma e Milano in due ore e 45 minuti. Dispone di collegamento wireless gratuito, servizio ristorante e addirittura di un vagone cinema. Troppa grazia. Roma e Milano distano quasi 600 chilometri. Cosa può importare a chi vive e si sposta in Sicilia tale notizia? Niente. Solo che ad inizio autunno si andrà alle urne per il rinnovo dell'assemblea regionale e per l'elezione del governatore. E viene, così, a tempo perso, voglia di confrontare Italo, che beato lui corre veloce, con la lentezza esasperata dei nostri viaggi regionali lungo le linee ferroviarie. Che è un po' la proiezione sul territorio dei ritardi barocchi, perché spesso travestiti da rivoluzione, della nostra politica. Per dire, se volevate andare il 26 agosto, cioè nel giorno in cui Italo emetteva il primo vagito, da Palermo a Catania, separate da 209 chilometri, due terzi in meno di quelli che ci sono tra Roma e Milano, dovevate mettervi buoni buoni e considerare che ci avreste impiegato da un minimo di 2 ore e 45 minuti, con un convoglio partente alle 6 e 38, quindi con levataccia incorporata, ad un massimo di 4 ore e minuti 16. E questi sono i tempi migliori. Perché se, per caso era vostra intenzione prendere le mosse, invece, il giorno prima, 25 agosto, il gioco si sarebbe fatto ancora più duro. Da un minimo di 4 ore e 28 e un massimo di 6 e 05 minuti. Ovviamente, wireless, punti ristorazione e cinema ve li potevate scordare. E ancora non avete visto niente. Perché, se sempre il 26 agosto, pensavate di recarvi sciaguratamente in quel di Siracusa, potevate dimenticare la dimensione temporale. Perché, se sceglievate di partire comodamente alle 10 e 07, sappiate che sareste arrivati alle 18 e 20, in tutto 8 ore e 13 minuti. Palermo da Siracusa è divisa da 258 chilometri, meno della metà di quelli che intercorrono tra Roma e Milano. Uno, però, potrebbe obiettare. Ma che ci dovevo andare a fare io a Catania e Siracusa? Giusto. Non è un obbligo. Voi vi sareste tenuti più vicini, andando magari a visitare il bel centro storico di Trapani. Sono 107 chilometri, una bazzecola: Italo ci metterebbe meno di mezz'ora. In tal caso, potevate agilmente scegliere tra 2 e 31 minuti o, preferendo affrontare la vita con calma, vivervi per intero il treno che vi avrebbe scaricato a Trapani in 4 ore e 21 minuti. Ma se vi fosse venuto il desiderio di visitare i luoghi del Commissario Montalbano, per il 26 agosto niente da fare, non c'erano treni per Ragusa, e neanche il 25. Il 27 avreste avuto una sola possibilità. In sette ore nette il vostro treno avrebbe percorso i 271 chilometri che staccano i palermitani dai ragusani. Potremmo proseguire con i tempi che ci vogliono per collegare Palermo con le restanti province di Messina, Enna, Caltanissetta e Agrigento. Ma non aggiungeremmo niente di significativo alla nostra storia. A questo punto, però, qualcuno dirà che la politica siciliana c'entra poco con questo scenario. Formalmente sarà anche così. Parliamo di infrastrutture novecentesche che non possono essere ammodernate ricorrendo al bilancio della regione. Ma tutti sappiamo che le cose stanno in un altro modo. Solo una classe dirigente locale di non altissimo livello poteva determinare, nei quasi sette decenni autonomisti, queste condizioni di modernità mancata. Fanno, perciò, sorridere quei contendenti per le le elezioni d'autunno che si sfidano sull'autonomismo, ormai ridotto a una bandiera lacerata e piena di buchi. Manco buona per essere sventolata nelle infinite stazioni da dove transitano i treni siciliani che non arrivano mai.

lunedì 20 agosto 2012

Preti e liste per le regionali. Nè una novità, nè un pericolo.

LA REPUBBLICA PALERMO - DOMENICA 19 AGOSTO 2012
PAG. XIX
NON E' UNO SCANDALO SE I PRETI FANNO POLITICA
Francesco Palazzo

Le hanno sponsorizzate un gruppo di prelati e laici. Le hanno bocciate tre vescovi di peso, quelli di Palermo, Mazara del Vallo e Piazza Armerina. Le liste per le regionali che potrebbero essere partorite nelle sacrestie meritano qualche riflessione. Si tratta di rispondere a due domande. È una novità assoluta? È un pericolo per la Chiesa, per i laici impegnati nella gestione della cosa pubblica e per la politica? Tutti ricordiamo che la Primavera di Palermo, che segnò l' ascesa di Leoluca Orlando, ebbe uno dei punti principali di azione e di analisi presso i Gesuiti di padre Pintacuda e padre Sorge. E fu attivamente sostenuta da un movimento, Città per l' Uomo, nato all' inizio degli anni Ottanta per favorire un vero decentramento nei Consigli di quartiere. Ebbene, Città per l' Uomo, che partecipò da protagonista alla vita politica cittadina, come ricorda Fabrizio Lentini nel suo bel libro "La primavera breve", venne fuori dal mondo cattolico palermitano ed ebbe la sua sede iniziale al Centro studi sociali dei Gesuiti. Si dirà che erano tempi diversi e che sono circostanze da collocare in un ambito storico e politico differente da quello attuale. Che le cose non stiano così ce lo dice un terzo avvenimento recentissimo. In occasione delle amministrative palermitane, uno dei candidati, Fabrizio Ferrandelli, e il cartello di associazioni, Palermo Più, che lo sosteneva con candidati al Consiglio comunale e assessori designati, hanno avuto quale promotore e ispiratore padre Gianni Notari, il gesuita sino a poco tempo addietro alla guida del Centro Arrupe, ora operante a Catania. Tre casi guardando ai quali è lecito dire che le liste ipotizzate per le regionali da laici e sacerdoti, in cui i primi chiedono ai secondi di fare da garanti, non sono una novità. Resta da rispondere al secondo quesito. Ossia se è un pericolo per la Chiesa, per la politica e per i laici credenti impegnati la formazione di liste siffatte. Si potrebbe intanto dire che se non sono state un problema le tre storie raccontate in precedenza, ma un lievitoe un arricchimento per tutti, non si capisce perché adesso dovrebbe scattare la sirena dell' allarme. Ma non c' è solo questo aspetto di coerenza nella valutazione dei fatti che occorre evidenziare. La cosa più importante è che se c' è, da parte di pezzi della società, che comprende i chierici e i laici che hanno ipotizzato le liste, la consapevolezza di agire alla luce del sole in una competizione politica, salvaguardando la forma e la sostanza delle regole cattoliche che non prevedono per i presbiteri l' elettorato passivo, non si può che essere attenti al fenomeno, senza per forza stroncarlo sul nascere. Non ci perde l' ecclesia, non viene sminuita la politica e non fa un passo indietro la dimensione laica. Nella misura in cui quest' ultima rimane staccata dagli aspetti confessionali e gioca se stessa nel campo aperto del confronto elettorale. Meglio avere laici credenti che si spendono direttamente, anche con il sostegno iniziale di una parte del clero, che tanti baciapile, meglio conosciuti come atei devoti, formalmente autonomi dalle autorità ecclesiastiche ma che invece non sanno dove sta di casa la laicità. E che fanno spesso della fede e della politica ciò che vogliono, utilizzandole per aumentare il loro potere e non per servire le comunità che amministrano.

mercoledì 1 agosto 2012

L'ARS che fu: l'improbabile codice etico e la norma impallinata.

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 01 AGOSTO 2012
Pagina XV
QUANTI INDAGATI NEL PALAZZO ASPETTANDO UN CODICE ETICO
FRANCESCO PALAZZO


L’affossamento all’Ars dell’emendamento che tendeva a non nominare nei pubblici uffici persone incappate in rinvii a giudizio per mafia e per alcuni reati riguardanti la pubblica amministrazione, è un fatto che può essere letto da diversi punti di vista. Durante il dibattito in aula è emerso il profilo garantista, si è sottolineato che non si è colpevoli sino a sentenza definitiva. Cosa del tutto legittima se riguarda un candidato alle elezioni o un eletto, oppure un funzionario in servizio. Ma qui la cosa avrebbe riguardato i nominati, ossia persone che vengono chiamate discrezionalmente dall’organo politico per completare una giunta, per riempire vuoti d’organico o perché esperti di qualcosa che l’amministrazione non possiede. Dunque, c’entra poco qui la presunzione d’innocenza. Il cittadino tal dei tali è illibato sino a sentenza definitiva. Ma perché, se mi serve un esterno da nominare, devo proprio andarne a prendere un tipo che ha procedimenti in corso per reati di mafia oppure consumati dentro la pubblica amministrazione? Non c’è motivo. E, per la verità, non ci vorrebbe neanche una norma per comportarsi in tal modo. Dovrebbe essere iscritta nel codice genetico della classe dirigente la buona pratica di non far toccare la cosa pubblica a chi ha qualche problema con la giustizia. Ma così non è, perciò ci vuole la legge. Che, come in questo caso, viene impallinata nel segreto dell’urna. Così potrà anche accadere ancora che, nominato qualcuno con precedenti giudiziari a carico, poi si dica che non se ne sapeva niente, che non si poteva sapere. Durante il dibattito all’Ars è emerso che queste cose vanno regolate dai codici etici, da condividere in pompa magna tra i partiti seduti attorno a un tavolo. È lo schema classico per affossare ciò che non si vuole digerire. Quando non si vuole fare una cosa, o quando si sa benissimo come si vuole continuare a farla, si tira fuori il codice etico. Ne abbiamo conosciuti a decine. Scritti così bene, con stili talmente raffinati e altisonanti, che neppure sembravano veri. E infatti sono rimasti lettera morta. Ma la vera paura dei nostri (mancati, in questo caso) legislatori era quella di non mettersi sotto i piedi alcuni articoli fondamentali della Costituzione. Cosa poteva pensarne il commissario dello Stato? Ora, questo è l’argomento più curioso di tutti. Perché, legislatura dopo legislatura, il massimo organo rappresentativo della Regione non si è preoccupato affatto quando mandava al vaglio del commissario alcuni provvedimenti improbabili, sospesi sul nulla. Eppure questa volta, su un tema così importante, si teme il suo giudizio e si erge a baluardo insormontabile la Costituzione. Vai a capire.

martedì 31 luglio 2012

La borghesia sarà mafiosa, ma nei quartieri popolari manco babbiano.

LiveSicilia - Domenica 29 Luglio


Francesco Palazzo

        

Nella metà degli anni Ottanta, dalle parti di Brancaccio, la festa estiva del santo - pare - servì anche a suggellare la pax mafiosa scoppiata nel territorio dopo anni di ammazzatine in ogni angolo del quartiere. La chiamarono guerra di mafia. Era la scalata al potere dei corleonesi. Vero o no che fosse il collegamento tra quella manifestazione religiosa, con spettacoli e giochi di fuoco d'ordinanza, e la situazione meno cruenta dentro Cosa nostra, è un fatto che le processioni, con tutto il corollario di raccolta di fondi casa per casa e negozio per negozio, saldino, sovente, tradizione, credulità popolare, fede genuina, chiesa cattolica e criminalità. Non accade sempre, non accade dappertutto, ma lo si può dire con una certa sicurezza. E' ovvio che in queste manifestazioni venga coinvolta tanta gente che non c'entra nulla con la mafia. Io stesso, per dire, se non fosse stato per il servizio militare, avrei tranquillamente partecipato, nel mio quartiere d'origine, all'evento di devozione popolare citato all'inizio. Allora poco mi occupavo di certe letture dei fatti. Sono cose che ho saputo e intuito dopo. Né si può dire che tutti coloro che fanno parte dei comitati organizzatori difendano o rappresentino interessi mafiosi. Sarebbe stupido e ingiusto affermarlo.
Ma, anche negli ultimi anni, sempre in quel rione, ho avuto modo di verificare che, parallelamente ai festeggiamenti per il santo, anzi talvolta spostate di qualche settimana rispetto ad essi, sembra per attendere che qualcuno lasci le patrie galere e possa assistere a piede libero, si svolgono esibizioni canore di tutto rispetto. I neomelodici napoletani vanno forte pure lì e le dediche dal palco, per gli ospiti dello stato, non mancano. Don Puglisi, dal 1990 al 1993, e prima ancora di lui Rosario Giuè, la cui fondamentale opera di parroco a Brancaccio dal 1985 al 1989 mai si cita quando si parla di quella zona, cercarono, riuscendoci, di porre dei paletti su tale argomento. Per dire che la chiesa, quando non si gira dall'altra parte, può fare molto per evitare che altri si approprino del culto per i propri fini.
Pensavo a questo, tornando ai miei vent'anni, età in cui, come dice Guccini, è tutto ancora intero, riflettendo sulle polemiche relative ai saluti verso i carcerati formulati durante il concerto che alla Kalsa ha fatto da contorno ad una festa religiosa. La constatazione da fare, secondo me, realisticamente, evitando di scandalizzarci davanti all'ovvio, è che il cuore dei quartieri popolari, più o meno periferici, ha nei confronti dell'agire e del pensare mafioso una condivisione molto profonda e di lunga durata. Che quelli delle zone bene (viene da ridere quando qualcuno si esprime in tal modo), non vogliamo ammetterlo, perché ci piace pensare che le nostre quattro fiaccolate in occasione degli anniversari illuminino tutti gli antri oscuri e maleodoranti di questa città e della Sicilia intera, è un discorso. Che, probabilmente, fa da guanciale morbido alle nostre coscienze di benpensanti che vogliono farla facile. Che le cose stiano in un altro modo, e se ne freghino della circostanza che noi preferiamo non vederle, è un dato che non c'è neanche bisogno di dimostrare.
La cartina di tornasole sono gli applausi a scena aperta, lunghi e sentiti, tante standing ovation, indirizzati a chi dai vari palchi snocciola i nomi degli ospiti delle patrie galere. Momentaneamente rapiti alla vista, ma vivi e vegeti nel cuore degli amici e degli amici degli amici. Cosa voglio rappresentare con tutto questo? Che esiste senz'altro la borghesia mafiosa. Che la mafia, dall'unità ad oggi, è soprattutto un fatto di classi dirigenti. Ma è altresì, ognuno stabilisca la percentuale che ritiene più opportuna, un vissuto di popolo. Che condivide, protegge, tramanda e foraggia le mafie sui territori. Solo che spesso siamo propensi a condannare duramente la borghesia, forse al di là dei propri demeriti e collusioni. E troviamo più congeniale, al contrario, emettere un giudizio più clemente sul popolo spicciolo. Ritenendolo, quasi sempre, vittima necessitata e non coprotagonista volontario, quale secondo me è, dei sistemi mafiosi. Forse dovremmo ripensare un po' il tutto e chiederci perché le mafie hanno ancora tanto consenso. E che parte abbiano le moltitudini che vivono nei quartieri popolari nella costruzione e nella fortificazione di esso.

giovedì 19 luglio 2012

Borsellino, un anniversario pieno di buio.

LiveSicilia

Perché non andrò alle commemorazioni

Giovedì 19 Luglio

Francesco Palazzo

E' un pessimo anniversario il ventesimo della carneficina di Via D'Amelio. Pure le solite parole, che cerchiamo in genere di cesellare, asciutte e senza fronzoli, per evitare l'umidità appiccicaticcia dell'anticiclone siculo della retorica, non vengono fuori. E' amaro constatare, dopo settemila e trecento giorni, che “la stanza della verità”, come dice Antonio Ingroia, è ancora buia. Come si fa a sostenere il contrario? Ma la cosa è probabilmente ancora più complessa. Il problema è che se si continua ad occultare e a coprire, quando si accenderà la luce, se mai si spingerà quel pulsante, quella stanza potrebbe essere pure vuota, spoglia, deserta. Ma poi, ci chiediamo, è una sola la stanza da illuminare? Temiamo che sia sin troppo semplicistico immaginare un'unica chiave che possa aprire la toppa della stanza degli orrori. O, se volete, della più oscena delle normalità. Perché, insomma, queste complicità tra mafie e politica, abbiamo l'impressione che siano disseminate in vari luoghi, in tante memorie, in molteplici reticenze, in una miriade di occhi che hanno visto e si sono girati da un'altra parte. Di mani che potevano afferrare la presa e invece sono state tenute in tasca.
Per paura, per complicità, per connivenza, per indifferenza. Fate voi. Che importa. Sono un'infinità i file da aprire. E, più passa il tempo, meno sono le probabilità che questi forzieri dell'indicibile contengano qualcosa che possa davvero interessare i tribunali e la storia. Il risultato è che, oggi, se non vogliamo prenderci in giro e consolarci con i pannicelli caldi delle marce e delle fiaccolate, delle idee dei morti che camminano sulle nostre gambe, lo stato, che in questo caso non merita di essere scritto con la l'iniziale maiuscola, si mostra lacerato e diviso di fronte a una delle stazioni più cruente, il periodo stragista dell'inizio degli anni novanta in Sicilia e nel continente, della storia repubblicana. Oggettivamente, se vogliamo andare all'osso della questione, e chi scrive deve sempre cercare di farlo, è un bel regalo ai poteri criminali. Qualsiasi cosa s'intenda con essi. E che certamente non coincidono del tutto con i macellai che fanno il lavoro sporco. Il migliore dei doni, non c'è dubbio alcuno. In effetti, quelle bombe del '92 e del '93, che si credeva avessero lacerato solo Cosa nostra, tanto era suicida un piano di quel tipo, vogliamo dire i motivi non semplicemente militari per cui si arrivò a tanto, hanno messo dentro il corpo delle istituzioni un veleno per il quale ogni antidoto non fa altro che peggiorare il male. Perché è sempre quello sbagliato, visto che la patologia non si riesce neanche a definire con certezza.
Tra ammiccamenti, accordi, trattative, papelli, disattenzioni, ritardi, processi costruiti sul nulla, memorie intermittenti e, forse, non sempre complete e veritiere, collaboratori di giustizia che riscrivono pezzi di storia, procure spaccate, palazzi dei veleni, non si sa più da che parte guardare. Sì, per carità, prima o dopo si arriverà a qualche pronunciamento giudiziario, che traccerà qualche labile solco. Ma difficilmente si perverrà ad una memoria condivisa, certa, univoca. Dove tutti, dal primo all'ultimo cittadino di questa Repubblica, possano orientarsi tra le nebbie delle imposture, vere o presunte, e respirare a pieni polmoni un po' di aria pulita. Dopo vent'anni, se abbiamo l'onesta intellettuale di ammetterlo e non vogliamo nasconderci colpevolmente dietro le nostre fiaccole rassicuranti, questo consegniamo a chi nasceva allora. Alle nuove generazioni. Questo ci rimane tra le mani. Potremmo non dirla questa verità e metterci in coda nella nostra bella marcia. Io quest'anno, per la prima volta, non andrò. Non ne ho voglia.

venerdì 13 luglio 2012

Consiglio comunale di Palermo, non cominciamo bene.

LiveSicilia

Giovedì 12 Luglio 2012

Consiglio, non buona la prima

Francesco Palazzo

    

La nuova legislatura comunale a Palermo, che sembrava essere partita bene per i diversi atti di governo messi in campo dalla giunta nelle prime settimane di vita, è inciampata in una brusca frenata nel primo vero atto politico importante, ossia l'elezione dei vertici di Palazzo delle Aquile. Il clima a Sala delle Lapidi non è stato dei migliori già al secondo giorno di scuola. Il che è un record. In negativo. Sono volate parole grosse, che poco si sposavano con gli abiti nuovi e con i sorrisi dei consiglieri e delle consigliere sfoggiati nella giornata inaugurale. Ora c'è la guerra delle stanze da assegnare ai gruppi, ma è un dettaglio.
Torniamo alla sostanza. Dentro l'IDV c'è chi ci è rimasto parecchio male per il metodo poco democratico con il quale si è arrivati alla scelta del nome da fare votare per la presidenza del Consiglio. A occhio e croce, abbiamo la forte sensazione, che ovviamente i fatti potrebbero smentire a partire da domani, che la folta pattuglia dei dipietristi sia attraversata da qualche maretta e da divisioni. Il Partito Democratico, dal canto suo, non c'è rimasto bene che una vicepresidenza vicaria del consiglio non sia andata alla candidata più votata di quel partito, ma ad una esponente di IDV. Ma il PD ha alzato la voce pure per la vicepresidenza destinata all'opposizione di centrodestra, che si era accordata su un esponente del PDL. Che, invece, è stato impallinato da IDV in aula a favore di un esponente dell'UDC. Non parliamo dell'ira degli ex padroni della città e dell'ascia di guerra dissotterrata dal PDL, che aveva votato, insieme a quasi tutti i cinquanta consiglieri, il neopresidente del consiglio comunale.
E' vero che sia il PDL che il PD sono ridotti ai minimi termini e che le spaccature di Italia dei Valori sono tutte da dimostrare. Ma non ci si aspettava certo che il clima, visto la maggioranza bulgara di cui la nuova amministrazione dispone, fosse subito infuocato, la città venisse relegata in fondo al vicolo e in cima si stagliassero gli appetiti dei partiti e dei singoli. La qual cosa, se si pone in perfetta continuità con quanto vissuto in quel consesso dal 2001 sino a poche settimane addietro, non ci fa ben sperare per il futuro. Perché il rischio adesso è che, sin dall'inizio, saltando la classica e scontata luna di miele, finiscano col prevalere sorde guerre intestine e palesi atti di guerriglia dichiarati e che a pagare siano ancora una volta Palermo e i palermitani. Si dirà che, per quanto importante, si tratta soltanto del primo round e che il match è ancora tutto da giocare. Però, ecco, questo primo scricchiolio è da segnalare con preoccupazione.
Perché, ricordiamocelo, non occorre solo che siano migliori rispetto al passato il sindaco e la sua squadra di governo, ma che si registri pure una netta inversione di tendenza nell'assemblea dei consiglieri. E forse questa legge, che si preoccupa soltanto di elevare il target della carica monocratica, non fa altrettanto, probabilmente, per l'altro corno del governo delle città. Storicamente il più rissoso e il meno produttivo. Oltre quanto detto, cambiando prospettiva, c'è anche da dire qualcosa sulle scelte soggettive compiute dalla più importante assise politica cittadina. Anche in questo caso, nulla avendo da ridire sulle qualità umane e politiche delle persone prescelte, ci è parso che si sia seguita la linea grigia e burocratica della politica politicante. Un po' manuale Cencelli, un po' il corto respiro della mancanza di coraggio.
Quando, probabilmente, anche nella scelta dei nomi occorreva dare un segnale diverso, più dinamico, meno incancrenito. Anche volendo rispettare la differenza dei numeri che incroceranno le armi sullo scacchiere di Sala delle Lapidi. Insomma, per la presidenza e per le due vicepresidenze del Palazzo di Città occorreva una ventata di novità, una folata anagrafica, la possibilità di sentire un nuovo linguaggio nella tolda di comando della casa comune che si staglia sulla Piazza della Vergogna. Non è stato possibile oppure non si è tentato. Vedremo il seguito e avremo senz'altro più fondati elementi per giudicare. Intanto, non buona la prima.

martedì 10 luglio 2012

Il PD in Sicilia non ha finito di sorprenderci.

LiveSicilia

8 Luglio 2012

Gli effetti spettacolari del Partito democratico

Francesco Palazzo

    

Ce ne ricorderemo di questo partito. Pensiamo, soprattutto, se ne ricorderanno gli elettori alle elezioni. Le ultime piroette dei democratici sula mozione di sfiducia al presidente della regione lasciano senza fiato e senza parole. E' anche difficile raccontare questa storia. Fatta di riunioni, assemblee, vertici, divisioni, ricongiungimenti, decisioni, marce indietro, accelerazioni. Ora ci attende un'altra direzione regionale. Sentiremo il nuovo verbo. Intanto, c'è già abbastanza carne al fuoco per scrivere un manuale di cosa non fare se non volete condannarvi, senza possibilità di errore, al suicidio politico. Vi siete mai imbattuti in una formazione politica che intende presentare una mozione di sfiducia a una settimana dalle dimissioni, annunciate con largo anticipo, dello sfiduciando? E avete per caso annoverato nella vostra casistica un partito che chiede sia le dimissioni che la data del voto e, avendole ottenute entrambi, si avventura a sbattere lo stesso sul tavolo una mozione di sfiducia? E fa parte del vostro campionario una delegazione parlamentare che riceve un chiaro mandato dal partito di mettere all'ordine del giorno la mozione di sfiducia e decide di fare all'incontrario? Avete mai visto una compagine partitica che intende discutere nello stesso identico giorno le dimissioni, più volte confermate, di un presidente della regione e la mozione che potrebbe mandarlo a casa? Credo che, quest'ultimo, sia un caso più unico che raro nelle democrazie parlamentari. Un evento di portata planetaria, se si fosse realizzato. Altro che particella di dio. E' vero che siamo particolari e speciali, ma tutta questa casistica sa più di operetta che di politica. Ad ogni modo, se sino ad oggi, la risposta agli interrogativi precedenti era no, il partito democratico siciliano, che non ci fa mancare niente, ci ha dato la possibilità di riempire con un deciso sì pure queste caselle. Dopo di che, in questa legislatura regionale che volge al termine, i democratici hanno sfoderato un campionario pressocchè completo di tutto. Ma non m'impiccherei a quest'ultima certezza. Da qui alle elezioni, sia ben chiaro, i bersaniani siculi potrebbero infatti ancora stupirci con altri effetti spettacolari, tali da far impallidire pure le imprese della nazionale agli europei. Sino ad oggi, e siamo, teoricamente, a meno di centoventi giorni dalle elezioni regionali, non hanno minimamente un'idea unitaria della coalizione con la quale si presenteranno alle urne, non dispongono di un programma comune di cose da fare per i siciliani e la Sicilia e sono ben lontani dall'aver individuato il candidato alla presidenza che appoggeranno. Dopo gli ultimi due anni, nei quali hanno impartito ai miscredenti, urbi et orbi, il credo riformista della concretezza che guardava lontano e veniva da ancora più lontano, non c'è male. E, quando spunta qualche autocandidatura, che ormai vanno di moda come le zeppe per le donne, molto eccentricamente, anziché dal popolo e dalla società, la vediamo sorgere dai social network. La cui pratica, come sappiamo, è l'occupazione principale del popolo siciliano. Tutti smanettoni, giorno e notte, perduti a cliccare mi piace, condividi, commenta. Se non ci fosse da piangere, potremmo metterci a ridere. Ma credo che, visto il duro frangente economico e sociale vissuto dagli isolani, ci sia poca voglia di prenderla in burla e farsi una bella risata. In realtà, l'unico sport in cui, sembra, siano impegnati diuturnamente i democratici è quello di decidere chi dall'Assemblea Regionale passerà agli scranni parlamentari romani e chi, da Roma, tornerà all'ovile siciliano di Palazzo dei Normanni. Così continuando, da tutto questo lavorio, solo un vantaggio potrebbero trarne. In una delle prossime assemblee regionali di partito, quelle dove si discute tanto per non decidere niente, visto che dal giorno dopo ciascuno si tiene ben stretto il suo pezzo di PD, potrebbero entrare tutti in una sala. Compresi gli elettori.

mercoledì 4 luglio 2012

Eletti, per vedere pagare e sorridere.

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 04 LUGLIO 2012
Pagina I
Se assessori e consiglieri pagassero il biglietto
Francesco Palazzo


Quando si vuole apportare una piccola modifica nella vita amministrativa di una città, mettendo in discussione prassi consolidate - che a latitudini diverse si chiamano semplicemente malcostumi - ecco che si alzano alcuni, magari tra quelli che hanno usufruito di prebende che assomigliano a pratiche feudali, i quali ci fanno sapere che non è così che si risolvono i problemi di una comunità. Che ben altro occorre per uscire dal tunnel. C’è chi lo afferma apertamente e c'è chi lo bisbiglia, ed è una reazione istintiva di autoconservazione crediamo abbastanza trasversale agli schieramenti politici. Nel caso in questione, ci riferiamo alla proposta avanzata dal segretario provinciale di Italia dei Valori, Pippo Russo, di non fornire più biglietti gratuiti ai consiglieri comunali per l'accesso allo stadio e ai teatri Massimo e Biondo. Ci sembrerebbe un provvedimento di semplice convivenza civile. Se i nostri cinquanta consiglieri neoeletti amano il calcio, la prosa e la lirica, guadagnano abbastanza, e certamente più di tanti che pagano ogni anno centinaia di euro in abbonamenti, per mettere mano ai portafogli e soddisfare le proprie inclinazioni sportive e culturali.Ci rendiamo conto che da noi certi cambiamenti si tingono di aspetti rivoluzionari, mentre altrove ci sono ministri che vanno in bicicletta. Come accade in Danimarca. E non solo. Tutti abbiamo avuto modo di vedere sul web la foto del sindaco di Londra, che non è esattamente un piccolo paesino, recarsi in bicicletta al lavoro di primo cittadino. Così come abbiamo ammirato il sindaco di New York, un'altra città non proprio periferica, che viaggia in metropolitana. Sono piccoli grandi gesti di civiltà che valgono più di mille discorsi. E, qualcosa, ma siamo solo all'inizio, sta già accadendo pure da noi. Infatti, ci sembra che parta con il piede giusto il nuovo assessore alla mobilità nell'annunciare che non saranno più concessi agli inquilini di Palazzo delle Aquile e agli assessori permessi per posteggiare ovunque e scorrazzare nelle corsie riservate ai mezzi pubblici, a quelli di emergenza o ai portatori di handicap (quelli veri, ovviamente, non taroccati).Certamente ricorderete, come si fa a dimenticarle, le feroci polemiche nelle due passate legislature palermitane ogni qual volta si voleva limitare il diritto degli eletti di fare per strada ciò che a un normale cittadino non è permesso. Pure il parcheggio sotto il palazzo di città volevano. La scusa era che per espletare il mandato non potevano perdere tempo nel traffico. Vivevano quasi come un'offesa la sola idea di doversi cercare un posto per la propria auto, come fanno tutti i comuni mortali. Ora la diatriba si riaccende più infuocata di prima. Vedremo se si saprà passare stabilmente dalle parole ai fatti. Se è possibile azzerando, se ve ne fossero ancora, altre piccole sacche di incomprensibile arroganza di chi è mandato nelle istituzioni per servire la città e non per incanalare la propria vita in una dimensione che poco ha di servizio e molto somiglia alla ricerca di benefici vari. Da estendere, perché no, al folto esercito clientelare che pressa. Per il quale, anche il tagliando per un concerto di serie B, è un segno tangibile che il pezzo grosso ti è vicino e che hai fatto dunque bene a votarlo. Insomma, saremmo molto contenti nel vedere i consiglieri comunali acquistare i biglietti per il teatro, scorgerli negli autobus che parlano con le persone, attendendo come tutti alle fermate. O che, se decidono di ricorrere sistematicamente ai mezzi privati non abbiano nessun vantaggio sul resto dei palermitani. Stesso discorso vale per gli assessori e per il sindaco, compatibilmente con i meccanismi di sicurezza di cui taluno dispone. Sono cose che non serviranno, da sole, a salvare Palermo. Ma almeno ci aiuteranno, oltre che a stimolare in altri enti locali e nella stessa amministrazione regionale uno spirito di emulazione, a non scavare di qualche altro centimetro al giorno la fossa del baratro civile sul quale siamo seduti da troppo tempo.

sabato 23 giugno 2012

PD siciliano: come uscire dal governo senza farsi vedere.

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 23 GIUGNO 2012
Pag. I
E il PD si allontana fischiettando
Francesco Palazzo

A un certo punto, uno potrebbe chiedersi chi glielo ha fatto fare. Perché, quando ti impegni in un’azione, puoi perderci da quasi tutti i lati, ma almeno qualcosa la guadagni. Perché pensavi, guardando la parabola del Partito democratico siciliano, a una strategia, un piano B. Un qualcosa che permettesse a questa formazione politica di non schiantarsi al suolo. Avevi scartato, quindi, l’ipotesi estrema. Cioè che quelli del Pd, catapultatisi al governo dall’opposizione come si entra in un bar, pretendessero di uscirne fischiettando come se nulla fosse accaduto. Sta andando proprio così. A una a una sono cadute tutte le subordinate. In principio avevi ritenuto che lo facevano per portare voti al partito. Operazione cinica quanto si vuole, ma tutti i partiti hanno come missione fondamentale quella di aumentare i consensi per la propria ditta. Le elezioni palermitane ci hanno invece consegnato un Pd ai minimi termini. E già si annuncia un’ecatombe sulla percentuale che i bersaniani prenderanno alle regionali. Poi c’era il discorso delle riforme che il Pd voleva promuovere per cambiare la Sicilia. Anche quelle, per bocca degli stessi leader siciliani del partito, sono rimaste, nella maggior parte dei casi, delle chimere. Un libro dal titolo altisonante con molte pagine bianche. Proseguendo nella lista delle intenzioni, sostenevano di voler allargare il perimetro del centrosinistra alle forze moderate e autonomiste. Pure in questo caso, molto fumo e poco arrosto. L’unica opzione in campo adesso rimane l’Udc, che però è stata la prima a uscire dalla maggioranza regionale e non viene accolta con entusiasmo dalle altre componenti del centrosinistra. Pure per quanto riguarda quest’ultimo, una parte del partito si è sempre detta disponibile a muovere da questo perimetro. Tuttavia, a pochi mesi dalle elezioni, questo centrosinistra ha pochi tratti in comune e non molti voti. È facile, infatti, prevedere che Sel e Italia dei valori dovranno parecchio faticare, e usiamo un eufemismo, per superare lo sbarramento del cinque per cento. E lo stesso Pd dovrà impegnarsi per evitare di rimanere sotto tale soglia, visto che a Palermo, test molto significativo, è andato oltre per uno sputo e che molta parte del suo elettorato è data in uscita. Resta da dire qualcosa su quello che era l’argomento principe dell’operazione alla Regione. Ci hanno detto che lo facevano per scompaginare il centrodestra e ci hanno fatto credere di esserci riusciti alla perfezione, prima ancora che nel resto d’Italia. Ora, a parte il fatto che il berlusconismo era già in caduta libera prima ancora che iniziassero le grandi manovre siciliane, non importa tanto fare qualcosa prima degli altri, ma quanto il farla bene, senza incomprensibili pasticci. Il Pd, a livello nazionale, ha operato con criterio e continua a essere il primo partito in tutti i sondaggi. In Sicilia il percorso è stato scriteriato e il Pd politicamente ed elettoralmente è entrato in una specie di coma da cui difficilmente si risveglierà. Ma almeno sono riusciti nell’intento? Ossia, è vero che il centrodestra in Sicilia si è disintegrato? Se fossero attendibili le cose che leggiamo, le probabilità che il centrodestra, memore della lezione palermitana, riesca a ricompattarsi, esprimendo un unico candidato alla presidenza della Regione, non sono basse. Quindi alla prossima tornata elettorale, ossia tra pochi mesi, potrebbe addirittura essere più forte di quello che nel 2008 scompaginò il centrosinistra e la sua candidata per Palazzo d’Orleans. Perché l’hanno fatto allora i democratici, se non ne hanno azzeccata una da quando, in previsione delle regionali anticipate del 2008, si sbarazzarono senza pensarci due volte della Borsellino, iniziando un’avventura che li sta portando dritti a sbattere al muro? Non riusciamo proprio a capirlo. E questo è il meno. La cosa più grave è che non lo capiscono più neppure loro. Dal fidanzamento in casa con gli autonomisti si preannunciava un matrimonio. Potremmo, al contrario, assistere molto presto al funerale delle pur tante fondate ragioni del riformismo siciliano.

venerdì 22 giugno 2012

Regionali come fotocopia delle amministrative? Penso di no.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 24 del 22 giugno 2012 - Pag. 7
Ma in autunno peserà l'effetto di trascinamento delle liste
Francesco Palazzo

Se si intende capire come e se le ultime amministrative, soprattutto il risultato di Palermo, condizioneranno il voto regionale del prossimo autunno, occorre valutare con attenzione alcuni aspetti. La nostra ipotesi è che tale competizione assomigli molto più al voto delle elezioni politiche generali, che favoriscono i blocchi più corposi, e molto meno a quello riguardante gli enti locali, dove si può sperare ragionevolmente di prevalere da posizioni non maggioritarie contando sulla frammentazione del sistema politico. Innanzitutto, c'è la presenza del voto di trascinamento dalle liste ai candidati che concorrono per la poltrona di governatore. Negli enti locali, come sappiamo, tale meccanismo è scomparso. Pompando aria nelle vele dei candidati a sindaco forti anche se con coalizioni complessivamente deboli. Mettendo zavorra nelle candidature poco rappresentative che invece hanno totalizzato, come coalizioni a supporto, risultati non trascurabili. E' facile immaginare che senza questa modifica della modalità di voto, cioè se fosse rimasto in vigore il trascinamento delle liste, Orlando non sarebbe sceso in campo e il centrodestra sarebbe confluito su due candidature a sindaco e non su tre come è avvenuto. Presentando sicuramente nomi più di peso e diverso appeal elettorale, come probabilmente accadrà alle prossime regionali. Molto sarebbe cambiato e verosimilmente oggi ci racconteremmo un'altra storia. Che è molto vicina a quella che potrebbe essere la trama del voto regionale. Da aggiungere anche un accenno, abbastanza scontato, ma non di secondaria importanza. Il voto in una città, grande per quanto possa essere il capoluogo siciliano, è una cosa. Un'altra è misurarsi sullo sterminato territorio regionale. In questo caso si stemperano le leadership e gli approcci carismatici, d'altronde non vediamo in campo chissà quali trascinatori e in pochi mesi è molto improbabile che ne sorga qualcuno. Prevarranno, perciò, i muscoli delle liste, che faranno il loro dovere di trascinamento, nel caso di coalizioni forti, e di rimorchi nel caso di schieramenti deboli. E' quanto già accaduto del resto alla regione nel 2001, nel 2006 e nel 2008. A questo punto, per inciso, sorge spontanea la domanda. Chissà perché il legislatore siciliano, visto che riteneva ottima la riforma elettorale per gli enti locali, non ha pensato di trasferirla anche sul voto regionale, mandando all'altro mondo anche in questo caso i consensi a strascico. C'è da considerare, infine, la soglia di sbarramento del 5 per cento. Che è la stessa in vigore adesso per i comuni, ma che a livello regionale amplifica il suo effetto escludente. Ancora più complicato, per tutti, superare l'asticella se ci si confronta con l'intero corpo elettorale siciliano. Basta andare a vedere quanto accaduto alle regionali del 2008. Già a Palermo abbiamo visto che gli stessi PD e PDL non l'hanno superata certo di slancio. Molti altri, esattamente diciassette liste su ventisei, sono rimasti invischiati sotto le macerie di un consenso non proprio plebiscitario. La stessa IDV, che a Palermo, unico partito tra quelli in campo, ha più che raddoppiato lo sbarramento, andando oltre il 10%, potrebbe franare sotto il 5% ai seggi autunnali. Quindi, probabilmente, la più che velata minaccia di andare da soli alla regione, per i dipietristi, o per altri che volessero tentare la fuga solitaria, non avrà lo stesso effetto che ha avuto a Palermo. Per tutti questi motivi, quella delle regionali si annuncia, a meno che non ci si consegni a sicuri suicidi politico-elettorali, ma pensiamo che per molti la lezione di Palermo sia bastata, come una sfida con non molti candidati alla presidenza e concentrazioni sotto le stesse insegne di più sigle minori per tentare di balzare sul muro dello sbarramento. Se così sarà, poter scegliere tra poche e ben delineate proposte, evitando di doversi barcamenare tra una miriade di candidature alla presidenza e tante liste caricate a salve, non sarebbe poi un male per i siciliani e le siciliane.

domenica 17 giugno 2012

Don Puglisi, quel colpo alla nuca e l'oggi.

LiveSicilia

La profezia di Don Pino e gli errori 

(cliccando sul titolo di sopra è possibile leggere tutti i commenti postati su LiveSicilia). 

Domenica 17 Giugno

Francesco Palazzo

Difficile restare fedeli alla memoria e all'azione di una vittima di mafia. Questo Cosa nostra lo sa, e quando uccide, insieme a una vita seppellisce molto di più. Le polemiche sulle eredità di uomini e donne ammazzati per il loro impegno concreto antimafia sono abbastanza comuni. L'ultima, ma sempre penultima storia, riguarda don Pino Puglisi. Il cui lascito, a quanto leggiamo, si trova in mezzo a una diatriba che vede in campo la Curia di Palermo, il Centro Padre Nostro, e coloro i quali, sino al 15 settembre del 1993, giorno in cui venne fatto fuori, collaborarono più strettamente con Puglisi. Qui si tratterebbe di capire, al di là della attuale contrapposizione, che traccia volle lasciare Don Pino nel territorio di Brancaccio, nel quale consumò gli ultimi tre anni della sua vita, e quali atti conseguenziali prese la curia palermitana affinché continuasse quel progetto dopo la sua scomparsa. E' un pezzo importante di ragionamento, che vale per questo come per altri casi simili. Perché proseguire un percorso rispettandolo nella sua radicalità, o deviare da esso, significa avanzare o meno in territori importanti per il contrasto alle mafie. Sicuramente si può dire che il presbitero intendeva rimanere lontano dalle prebende, talvolta anche assai sostanziose in termini monetari, che cadono dal tavolo della politica. Legittime quanto si vuole, ma che costituiscono un altro versante rispetto alla profezia di 3P. Che si può riassumere con un esempio abbastanza indicativo. Per comprare le sede del Centro Padre Nostro, di fronte la Parrocchia di S. Gaetano, che egli voleva legata strettamente al Centro, ricorse ai soldi della curia, a delle donazioni private, a un sorteggio e ad un prestito pagato anche con il suo misero stipendio. Avrebbe potuto bussare alla porta di qualche potente e quei denari sarebbero spuntati senza faticare più di tanto. Ma questo era proprio il segno che intendeva dare a Brancaccio e a tutta la città. La politica deve fornire servizi, non alimentare clientele. E quando non lo fa occorre alzare la voce. Ma per farlo, e ottenere risultati, non devi essere ricattabile, cioè non devi esserti mai presentato con il cappello in mano a chiedere soldi facili per dare solo il pesce a qualcuno e per non insegnare a pescare a tutti gli altri. Che è un po' quello che fa la politica malata. Che si rafforza quando trova sul territorio agenzie sociali che perseguono fini simili. Questo Puglisi lo aveva capito e si era perciò legato al Comitato Intercondominiale Hazon. Che reclamava, anche a muso duro, e costruiva, diritti per tutti. Anche la presenza delle suore come animatrici del Padre Nostro era un tratto dirompente, rivoluzionario, semplice e gratuito. Povero e ricco nello stesso tempo. In un quartiere dove, ancora oggi, se qualcuno tende la mano è perché spesso ci sono fondi pubblici da utilizzare. La potente cosca mafiosa di Brancaccio capì perfettamente tutto questo e risolse la cosa a modo suo. La curia, questo possiamo dire a quasi diciannove anni dall'omicidio del sacerdote, non comprese sino in fondo che doveva assicurare la continuità al lavoro di Puglisi, proprio a Brancaccio, prima che altrove. Assicurando, subito, alla Parrocchia e al Centro, guide sicure. Ma vi fu una retromarcia. Molti degli originari collaboratori furono, di fatto, allontanati. Le suore andarono via. La parrocchia si allontanò progressivamente dal centro. Lo possiamo dire, la chiesa, all'indomani dell'uccisione di Puglisi, mostrò paure e incertezze. Anche non presentandosi come parte civile al processo contro i mandanti e i killer di quel colpo di pistola alla nuca che aveva steso uno dei suoi figli migliori. C'è un episodio che mi è stato raccontato, credo sconosciuto ai più, che ciascuno può interpretare come vuole. Uno dei più vicini sostenitori di don Pino, la sera dell'omicidio accorso al Buccheri la Ferla, dove il parroco morente venne accompagnato, si senti dire, così riferisce, da un alto grado della diocesi di Palermo se erano contenti, visto come era finita. Quasi a voler incolpare, per quanto accaduto, anche loro, l'ostinazione con la quale insieme al sacerdote volevano rendere Brancaccio vivibile, e non soltanto la mafia. Ora la Curia, in vista della beatificazione di Puglisi, con notevolissimo ritardo, vuole tornare protagonista. E' probabile che riesca a salvare la forma. Ma la sostanza di quella profezia sarà molto difficile recuperarla.

lunedì 4 giugno 2012

Malvestiti, peccatori e concubini: tutti a Mondello.

LiveSicilia - Lunedì 04 Giugno 2012
Francesco Palazzo

Frequento poco le chiese cattoliche, sono cresciuto in una comunità parrocchiale di periferia, quella dove Padre Puglisi svolse gli ultimi anni di presbiterato. Poi le strade con quel mondo si sono divise. Capita a tanti. Ho bei ricordi. Tranne qualche volta nelle festività più sentite, adesso mi capita di assistere alla messa solo in occasioni che riguardano affetti e amicizie. Battesimi, matrimoni, cresime, funerali e prime comunioni. Il minimo sindacale. Il mio osservatorio è, perciò, abbastanza limitato e sporadico, per quanto segua con attenzione i dibattiti che agitano il mondo cattolico. Passiamo ai fatti. Qualche giorno addietro, durante la cerimonia di prima comunione di una ventina di bambini e bambine, ho avuto un'altra conferma, magari errata, se ne può discutere, del perché i giovani, non appena assolti gli “obblighi” di leva legati ai sacramenti che imprimono nella vita personale e familiare un certo status sociale, non ne vogliono più sapere della fede. Ed è una grande lacuna che si crea nelle loro vite, perché spesso ignorano questa importante dimensione senza aver avuto la possibilità di approfondirla. Il giovane parroco, in un quartiere di Palermo ad alta densità mafiosa, come dicono gli esperti, pronuncia un'omelia che non sfiora minimamente la vita di questi piccoli. Santissima trinità con annessi e connessi e neanche l'ombra di un sorriso. Ma questo è solo l'inizio. Ad un certo punto si lancia in una sorta di reprimenda contro chi farebbe meglio ad andarsene a Mondello visto come è vestito. Perché spesso è dai vestiti, aggiunge, che si vede la persona. Parla da padrone. Sa che nessuno si alzerà per dire qualcosa che possa mettere in discussione ciò che esce dalla sua bocca. Quasi sempre si è sudditi, pure in chiesa, soprattutto lì, non fedeli del dio che fa meraviglie, come recita il salmo. Chissà cosa ne pensano i bambini. Nel vangelo, durante gli anni di catechismo, avranno forse letto quel passo di Matteo in cui è scritto di non preoccuparsi di quello che si indossa, essendo la vita molto più importante del vestito. Messa così, se chi predica si ricordasse ciò di cui è testimone, e non desse fiato alla proprie paure e carenze psicologiche, probabilmente i ragazzi converrebbero che vale la pena di andare a vedere cosa è questo cristianesimo a cui all'inizio sono costretti. Ma se prima devono scrutare l'abito e non le persone, già trovano in altri luoghi tali insegnamenti. Tuttavia, questo, per il nostro parroco, è solo il prologo. Non quello dell'evangelista Giovanni, a cui segue il passo che il verbo si fece carne. Prima della comunione, intima, con fare ieratico e solenne, che quanti vivono in condizione di peccato non possono comunicarsi e che ci si può depurare soltanto confessandosi con un sacerdote, vincendo il peccato imperdonabile di chiarirsi con se stessi e con simili i propri percorsi di vita. E questo è solo il carico. Perché dopo cala l'asso di briscola, o, se volete, mette sul tavolo la scala reale. Non si permetta, chiunque si trovasse in condizioni di convivenza e divorzio, di prendere l'ostia consacrata, commetterebbe un gravissimo sacrilegio. C'è, mi chiedo, tra i bambini comunicandi qualcuno che vive situazioni di questo tipo in famiglia? E che importanza ha. Lui va dritto col caterpillar ed entra a gamba tesa stritolando sentimenti e sofferenze. Proprio mentre a Milano, il pur ultra conservatore pastore tedesco Ratzinger, sta balbettando qualche parola distensiva sull'argomento. E i mafiosi della zona che magari portano i figli all'altare per la prima comunione, e possibilmente ce n'è qualcuno in chiesa? Per loro non c'è problema. E qui ci viene in aiuto Leonardo Sciascia. Il quale, nel romanzo a “Ciascuno il suo”, fa dire all'oculista Roscio: “Dico cattolici per modo di dire, mai conosciuto in vita mia, qui, un cattolico vero, e sto per compiere novantadue anni. C'è gente che in vita sua ha mangiato magari una mezza salma di grano maiorchino fatto ad ostie, ed è sempre pronta a mettere la mano nella tasca degli altri, a tirare un calcio alla faccia di un moribondo e un colpo di lupara alla reni di uno in buona salute”. Ma forse è troppo presto per parlare di Sciascia a un bambino di nove anni e troppo tardi per farlo col giovane, vecchio, vecchissimo, parroco.

venerdì 1 giugno 2012

Orlando contro Falcone. Sciascia contro Orlando e Borsellino. Grillo contro tuttii. Una proposta ragionevole.

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 21 del 1 giugno 2012 - Pag. 46
Mafia e punti di vista
Francesco Palazzo

Quando si parla di mafia, che differenza c'è tra il politico, il giudice, lo scrittore e l'artista? Sono figure che hanno ruoli diversi e possono utilizzare differenti punti di vista. Ad esempio. Quando il 23 maggio di quest'anno, tutta la politica, a cominciare dalla Presidenza della Repubblica e da quella del Consiglio, chiede ai magistrati di andare sino in fondo nella ricerca della verità circa i tanti lati oscuri dello stragismo del biennio 92-93, forse intende affermare che la magistratura non ha svolto sinora per intero il proprio lavoro? La politica sa che vi sono stati, e vi sono, inconfessati intrecci tra mafia e politica che portarono alla stagione stragista e chiede a gran voce che vengano svelati. Chi indaga e giudica, tuttavia, potrà muoversi in tal senso quando avrà solide prove per perseguire questo o quel politico, questo o quel pezzo dello Stato eventualmente infedeli. Lo schema è abbastanza comprensibile. Non ci sarebbe molto da aggiungere. Senonché, oltre che in tutta la campagna elettorale per le amministrative, e pure nel giorno del ventesimo ricordo di Falcone, della moglie e degli agenti della scorta, si è rispolverata la polemica dolorosa che vide protagonisti Giovanni Falcone e Leoluca Orlando, proprio in relazione alle responsabilità politico-mafiose. Si è chiesto al sindaco di porgere le scuse. E non ci si è accorti che, contemporaneamente, proprio dal massimo livello delle istituzioni repubblicane, giungeva la richiesta alle toghe di andare avanti e ridisegnare scenari che possano avere il marchio della verità. Certo, le parole pronunciate allora da Orlando furono formalmente molto più brusche e non è un aspetto secondario. Ma il clima che in quel periodo si viveva era tale che da più parti i toni risultavano esasperati e talvolta lontani dal rispetto umano. Ma, nella sostanza, la richiesta del sindaco della città del tempo, e del nuovo sindaco che adesso si dichiara pronto a reiterarla nei contenuti, speriamo non più nella forma, della quale egli stesso si rammarica, somiglia molto alla odierna impellente domanda di verità e giustizia che giunge chiara e forte un po' da tutte le parti. Senza per questo, ripetiamo, che il lavoro della magistratura, che forse il alcuni frangenti, vedi la vicenda di Via D'Amelio, poteva essere svolto in maniera più oculata, se ne possa sentire discreditato o messo alla berlina. L'importante è che le parole e le eventuali critiche, a cui tutti gli umani dobbiamo essere sottoposti, nessuno escluso, siano pronunciate alla luce del sole. Utilizzando, cioè, la stessa procedura che nel 1987 fu propria di Leonardo Sciascia. Che con l'articolo sui professionisti dell'antimafia investì sia il politico, Orlando, che il giudice, Borsellino. Che magari, soggettivamente, avevano mille motivi per prendersela, ma oggettivamente il grande scrittore e intellettuale si esprimeva sul registro espressivo che gli era proprio e si doveva leggere oltre le parole e le personalizzazioni in quel contesto utilizzate. Recentemente abbiamo avuto una dimostrazione ulteriore di come è necessario tenere separati ruoli e funzioni e consentire a tutti libertà d'espressione. Beppe Grillo, durante la sua puntata elettorale a Palermo, ha proferito una frase provocatoria e paradossale su mafia e Stato,venuta fuori più dalla sua vena artistica che non da un ragionamento su dati effettivi. Apriti cielo. Il politico, il giudice, lo scrittore, stavolta uniti e parlanti con medesima voce, l'hanno fatto nuovo. Ma come si è permesso di affermare che lo Stato strozza e invece la mafia non lo fa? Presa alla lettera la cosa sorprende, ma l'artista si può permettere una simile sintesi, ardita e fuorviante quanto volete, senza far volare in aria gli stracci. Siccome, quindi, a giro, i protagonisti della vita pubblica, quando si parla di mafia, perdono di vista il fatto che ciascuno utilizza contenuti e tonalità del mondo di appartenenza, si discuta pure intorno alle dichiarazioni di chicchessia. Ma non si trasformino i confronti e i dissapori in guerre infinite, dove la pace può essere raggiunta soltanto con la marcia indietro del peccatore di turno.

lunedì 28 maggio 2012

PD siciliano: i lupi che non riuscirono a mangiarsi il Lupo.


Francesco Palazzo

Forse la sintesi di un delegato della provincia che usciva dall'Assemblea Regionale de PD, svoltasi ieri, può dire bene quello che è successo. “Eravamo venuti per bastonare e siamo stati bastonatì”. E non si riferiva tanto alla lite vera e propria, quasi sfiorata all'inizio della discussione, per il voto che si voleva vietare a due deputati regionali. Ma proprio al fatto che molti delegati erano venuti convinti di votare la sfiducia a Lupo, e invece se ne sono andati abbastanza delusi. Il segretario, entrato nell'assise come un vaso di coccio tra vasi di ferro, ne esce molto rafforzato. Insomma, l'ex cislino l'ha svangata. Sarà pure un compromesso al ribasso, ma in un partito allo sbando, è probabilmente l'esponente che riesce ad avere un minimo di lucidità in più di tutta la truppa. Sì, ci sarà l'ufficio politico che lo coadiuverà, ma è appena un dettaglio concesso a chi già aveva evidentemente tirato i remi in barca sin dalla mattina. Giuseppe Lupo ha evitato, da un lato, la votazione della mozione contro, che a quanto pare alla fine aveva pochi numeri a favore (“Quattro amici al bar”, secondo Crisafulli), dall'altro il commissariamento di Roma. Che, peraltro, a sentire l'uomo mandato da Bersani a Palermo, è stato prospettato senza molta convinzione, sperando di tenersi fuori dalla palude siciliana. Il risultato alla fine è che ne esce fuori un partito “malato e spaccato, sfasciato in tutta la Sicilia”, come afferma più d'uno. I democratici si proiettano adesso verso le elezioni regionali, ma ci arrivano davvero in condizioni disperate e confuse. “Neanche Foderà ci può”, sentenzia un delegato catanese, ricordando un grande luminare che aveva fama di risolvere anche i casi impossibili. L'impressione, in effetti, è che il PD, si è impegnato sino allo spasimo a sfaldare il centrodestra alla regione, ma levando, uno dopo l'altro, i pilastri che tenevano in piedi quella granitica struttura di potere, si è dimenticato di uscirne un attimo prima che tutto gli cascasse rovinosamente addosso. A livello nazionale è accaduto qualcosa di diverso. Lì il PD ha contribuito a mandare a casa Berlusconi, ma a perderci è stato soltanto il PDL, mentre i democratici sono stati l'unico partito a tenere nella recente tornata amministrativa. Allo stato dell'arte, quindi, il partito siciliano rischia di essere nuovamente, soprattutto se si proietta il ragionamento sulle politiche del prossimo anno, il punto debole della catena, il luogo che, ancora una volta, potrebbe portare meno consensi alla causa del centrosinistra, più o meno allargato. Intanto, c'è la montagna delle regionali. Si ripete il copione palermitano. Quello che doveva essere il vincitore annunziato della tornata elettorale, a 150 giorni dalle urne, non sa cosa fare e, soprattutto, con chi. Tanto che uno degli intervenuti alla direzione regionale si chiede “se il PD è la soluzione dei problemi della Sicilia, o se, oggi, è esso stesso il problema”. C'è ancora in circolo, e non potrebbe essere altrimenti, tutta l'adrenalina della campagna elettorale appena conclusasi. Soprattutto il risultato palermitano condiziona gran parte delle reazioni. La botta è stata forte. Non soltanto per la bassa percentuale, ma per i tanti che non ce l'hanno fatta a strappare il biglietto per Sala delle Lapidi. In un partito senza orientamento, i destini dei singoli contano più di quelli dell'insieme. Ora alcuni sodalizi si sfalderanno e molti cercheranno di trovare altri posizionamenti. E anche di questo si è avvantaggiato Giuseppe Lupo. Ma lo stato di malessere di questo partito in Sicilia, è solo in parte spiegabile con quello che è accaduto nel capoluogo e in altri centri più o meno piccoli dell'isola. Nell'ultima domenica di maggio la sensazione è quella di un partito sfiduciato, composto da tante squadre che seguono ognuna il proprio capitano, che però cambia idea da un momento all'altro. Lasciando disorientate le retrovie. Che seguono la linea, ma sempre con maggiore sofferenza e stupore. Insomma, questa legislatura regionale finisce come era iniziata per il PD. Era diventato un partito di lotta e di governo. Ora non ci sono più né l'una né l'altro. I bersaniani mollano la sponda del governo regionale e non vedono l'altra riva. “Siamo rimasti con il cerino acceso in mano”, sentenzia un onorevole dell'ARS. Ma, soprattutto, i democratici siciliani sembrano ormai all'opposizione di se stessi. E non è una buona notizia per la Sicilia che va alle urne.

venerdì 25 maggio 2012

Orlando e il PD, chi si nasconde perde.


CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 20 del 25 maggio 2012 - Pag. 2
Vince chi ci mette la faccia
Francesco Palazzo

I palermitani si sono convinti che Orlando lo sa fare e ciò è bastato a premiare l'esperienza rispetto a un nuovo che è rimasto impalpabile ai più. La carta d'identità è solo un aspetto dell'essere giovani, quello più formale, poi viene la sostanza. E questa non si è capita o non è stata spiegata bene. Ma forse è più corretto dire che Orlando è l'unico big che ha avuto il coraggio di metterci la faccia. Non l'hanno fatto i leader del PD, si sono guardati bene dal provarci i nomi grossi del PDL. Hanno avuto paura di rompersi l'osso del collo e si sono rifugiati dietro le parole d'ordine nuovo e giovane. Quando, invece, con i tempi che corrono, le persone hanno bisogno di fiducia e di sicurezza. E lo slogan, “Lo sa fare”, ha fatto subito presa nei quartieri popolari e nella città borghese. I partiti che più hanno preso la scoppola, travolti dal ciclone orlandiano, sono stati soprattutto due, il PDL e il PD. Se per gli ex berlusconiani ciò era ampiamente preventivabile, i democratici dovevano al contrario essere il primo partito che sarebbe dovuto passare all'incasso dopo due legislature disastrose del centrodestra nel capoluogo. Invece sono stati i più puniti dall'elettorato, più del PDL, a cui comunque bisogna sommare la percentuale di Grande Sud. Il fatto è che mentre i dirigenti regionali del partito di Bersani si pavoneggiavano nell'avere neutralizzato il centrodestra alla regione, ma ciò è accaduto due anni addietro, non si sono accorti che lo scenario è oggi completamente cambiato. E hanno continuato a ragionare con lo schema vecchio. Perciò, per il giovane candidato su cui avevano puntato a Palermo, Ferrandelli, sono stati fatti venire a comiziare tutti i pezzi da novanta nazionali. E mentre riempivano teatri e cinema, non si accorgevano che le urne si svuotavano e la gente già guardava da un'altra parte. Sino alla vigilia del primo turno erano convinti che avrebbero sbancato, lanciando in aria percentuali a loro favore che non stavano nelle cose che scorrevano sotto gli occhi di tutti. Ora, a livello cittadino e regionale la resa dei conti si sta facendo più serrata e cruenta. E non è una buona notizia, perché la Sicilia rischia di arrivare alle imminenti elezioni regionali con quello che doveva essere il più grande partito riformista alla canna del gas. Detto questo, sul dato elettorale bisogna stare attenti. Palermo non si è convertita in una comunità che ha abbandonato del tutto il centrodestra. Tra tutti gli elettori che hanno espresso un voto per le liste al primo turno, più del 62% ha scelto partiti riconducibili al centrodestra, il resto, neanche il 38%, ha promosso liste o raggruppamenti politici che si possono riferire al centrosinistra. La consistenza numerica schiacciante determinatasi in consiglio comunale, potrebbe distogliere da questo stato di cose. Ma sia il sindaco eletto, sia i consiglieri che lo affiancheranno a Sala delle Lapidi, dovranno porsi il problema di convincere della bontà delle loro azioni la maggioranza dei palermitani che non ha votato per loro. Cominciando a dare risposte, speriamo efficaci e durature, ai molteplici e gravosi problemi che sono sul tappeto. E' chiaro che la politica fatta con le parole e assai più semplice di quella che poi deve sfociare in azioni concrete e tangibili. Dal verbo delle campagne elettorali, spesso messo nel cassetto non appena chiuse le urne, alla realizzazioni vere e proprie, ce ne corre. Le tante cose promesse devono ora farsi azione di governo che si confronta con i pochi soldi che ci sono a disposizione. Pare che, con l'annuncio di tanti piccoli interventi da fare subito a costo zero, si stia partendo col piede giusto. Ma ancora siamo all'alba. I palermitani giudicheranno su ciò che vedranno cambiare. Non sono disposti a firmare ancora cambiali in bianco. Difficilmente, dunque, concederanno al nuovo inquilino di Palazzo delle Aquile una luna di miele molto lunga. Il tempo del viaggio di nozze e dei dovuti festeggiamenti e poi il gioco si farà presto duro. Se si comincerà a vivacchiare se ne accorgeranno subito. Hanno creduto che Orlando lo sa fare ancora e bene. A lui e alla sua squadra, adesso, l'onere della prova.

venerdì 18 maggio 2012

La leggenda metropolitana dei candidati del centrodestra che fanno votare Orlando.


CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
18 Maggio 2012 - N. 19 - Pag. 11
Palermo? Resta al centrodestra.
Francesco Palazzo


In attesa degli esiti del ballottaggio, e soprattutto per il dopo, può essere utile riflettere meglio sui numeri usciti fuori dalle urne palermitane. Ponendoci due domande. La prima sul voto alle liste, la seconda sui consensi racimolati dai candidati alla poltrona di primo cittadino. Prima domanda? Si è trasformata la quinta città d'Italia, improvvisamente, in una roccaforte del centrosinistra? Basta che due esponenti del centrosinistra vadano al ballottaggio affinché avvenga tale mutazione genetica? Se ci fermiamo alle opinioni, possiamo dire ciò che vogliamo. Se guardiamo i numeri, gli unici che in politica non mentono, il cerchio si stringe. Consideriamo il dato più politico, ossia il voto alle liste. I palermitani che hanno espresso un segno per una lista sono stati 276.354. Ebbene, di questi 171.627 hanno premiato liste riferibili al centrodestra e 104.727 hanno scelto simboli che possiamo racchiudere nel perimetro del centrosinistra. Se vogliamo parlare di percentuali, il centrodestra è al 62,10 per cento e il centrosinistra non arriva quindi al 38 per cento. Non ci crederete, ma è lo stesso risultato, spiccicato, del 2007, cioè delle precedenti elezioni palermitane. Quando la galassia del centrosinistra arrivò al 37,8 per cento. E, si badi bene, questa volta abbiamo messo nel mazzo pure il voto dei grillini, che difficilmente può essere tutto ascrivibile al centrosinistra. Perciò, se aggiungiamo questo pezzo non secondario di ragionamento, vediamo come il centrosinistra, come voti attribuiti alle liste, che costituisce il dato più strutturale, di lunga durata, del corpo elettorale, ha fatto ancora peggio del 2007. Cioè di quando Cammarata vinse al primo turno. Secondo quesito. E' vero che il ballottaggio tutto interno alla coalizione di centrosinistra ha avuto la benedizione ai seggi da parte dell'elettorato delle liste del centrodestra? Si dirà, e tantissimi lo hanno detto, purtroppo senza guardare i numeri, che il blocco di elettori affezionati al centrodestra ha applicato a piene mani il voto disgiunto. Un colpo alla lista del mio cuore e un altro al candidato sindaco che più mi attizza. In questo caso, visto che è l'unico ad avere riportato un segno più rispetto ai partiti che lo sostenevano, questo modo di fare avrebbe favorito Leoluca Orlando. Che, subito è stato sentenziato, è stato portato, come si dice a Palermo, da tanti candidati al consiglio comunale di centrodestra. Ma se si guardano, anche solo distrattamente, i numeri, questo assunto, diventato subito verità rivelata, è semplicemente una leggenda metropolitana. Vediamo perché. A fronte dei 356.412 votanti, ben il 29,16 per cento, ossia 103.915 elettori, hanno preferito votare solo la lista non esprimendo alcuna simpatia per nessuno dei candidati a sindaco. Chi sono costoro? Qualche indizio l'abbiamo. Considerato che i candidati a sindaco Orlando, Nuti e Priulla hanno avuto un'altissima coerenza tra voti di lista e voti a se stessi, e che il candidato Ferrandelli ha avuto anch'egli una certa fedeltà da parte delle proprie liste, anche se con una sensibile erosione di 12.676 voti, è ai sostenitori del centrodestra che dobbiamo guardare per capire chi sono coloro che non hanno espresso alcuna preferenza per il sindaco. Quanti sono? Facendo una semplice addizione arriviamo alla somma di 104.636. Inutile che stia a spiegarvi quanto questi elettori del centrodestra che non hanno digerito alcun sindaco loro amico, somiglino molto ai 103.915 che hanno espresso, complessivamente, solo il voto per le liste. A questo punto, miracoli della tecnica, basta fare una semplice sottrazione per capire quanto è questa grande eredità che gli elettori del centrodestra hanno regalato al centrosinistra, nel caso specifico a Leoluca Orlando. Ebbene, la sottrazione, come voi già vi aspettavate, fa 721. Ecco a quanto ammonta il portentoso trasferimento di voti dal centrodestra al centrosinistra. Più che additarli come autori di possibili oscuri inciuci, io, questi elettori, li andrei a prendere ad uno a uno e li premierei per il coraggio. E però, rimane un problema. Chi ha votato Orlando, quasi portandolo alla vittoria a prima botta? Sono per caso elettori venuti nottetempo da Catania, Messina o Trapani? No, sono palermitani e palermitane purosangue. L'ex sindaco ha avuto 105.286 voti. Voto più, voto meno, di questi, 41.442 sono quelli che gli sono pervenuti dalle due liste che lo sostenevano, 12.676, sono i voti delle liste di Ferrandelli che non lo hanno votato. E siamo già a 54.118. La differenza tra i 105.286 consensi dell'ex sindaco e i 54.118 appena citati, cioè 51.168 schede, non si può sbagliare, sono i voti andati solo a Orlando, senza alcun altro segno nelle schede. Allora, possiamo dire, numeri alla mano, che la differenza in città tra centrodestra e centrosinistra, come voti ai partiti, rimane uguale a quella già conosciuta. Che solo una piccolissima percentuale di elettori del centrodestra, 721 per la precisione, ha optato per il cosiddetto voto disgiunto a favore di Orlando. Tutti i voti che il sindaco della primavera è riuscito a strappare provengono direttamente o da ex elettori del centrodestra che non si vedono più in nessun partito di quella coalizione, o da nuovi elettori del centrosinistra che non si vedono ancora rappresentati da nessun partito di quello schieramento. Oppure, come io credo, è un elettorato volatile che questa volta è andato verso Orlando e la prossima potrebbe andare altrove. In definitiva, possiamo dire che Palermo non si è spostata dal centrodestra al centrosinistra. C'è stata una massiccia percentuale di elettori di centrodestra (quasi 105.000) che non si è riconosciuta in nessuno dei sindaci che le proprie liste proponevano, ma non per questo ne ha votato un altro di un diverso schieramento, se non gli eroici 721. E ci sono stati più di cinquantamila elettori che hanno puntato direttamente sul candidato Orlando e che difficilmente si sarebbero orientati su Ferrandelli, qualora fosse stato il candidato unico. Questo serve a smentire l'altra leggenda metropolitana. E cioè che senza Orlando il centrosinistra avrebbe vinto al primo turno. Anzi, va detto che presentandosi a due punte il centrosinistra ha raccolto il massimo possibile sulla piazza di Palermo.

venerdì 11 maggio 2012

Elezioni a Palermo: tanti errori politici e zero dimissioni.


Francesco Palazzo

Quando si perde con numeri così evidenti e persino imbarazzanti, come prima cosa si ammette subito la sconfitta. Poi si discute del resto. Non l’ha fatto il competitor di Orlando, parlando addirittura di referendum/ballottaggio tra monarchia e democrazia (a tal proposito, basta compulsare qualche libro di storia per sapere che a Palermo vinse la monarchia). Si sono guardati bene dal farlo quelli del Partito Democratico. O quello che ne rimane. Sia in termini numerici che politici. Sino alla vigilia erano convintissimi, i maggiorenti del PD, di avere il vento in poppa. Bastava solo attendere la messe di voti che si sarebbero raccolte nelle urne. Quando tutti i sondaggi, più o meno di parte, e l’umore della città, che conta molto più dei sondaggi, davano Orlando in forte ascesa. Ma dove vivono, verrebbe da chiedersi. Può un partito, o quel che ne rimane, farsi travolgere da una mera operazione elettoralistica, temeraria quanto improbabile, e perdere, a tal punto, il bandolo del ragionamento? Certo, adesso la resa dei conti si farà più dura. Se all’indomani delle primarie al segretario Lupo, che pure aveva ottenuto un risultato più che dignitoso, era stata indicata la porta, da oggi dietro l’ufficio dimissioni del PD dovrebbe esserci la coda. Ma ancora nessuno si è presentato. A proposito di primarie. Di cosa erano rappresentative? Non certo del PD, visto che una buona metà dei suoi elettori ha votato Orlando. Né, ancor meno, dell’intero centrosinistra. Sono state soltanto un assalto alla Bastiglia. Una battaglia, vinta sul filo di lana, e spacciata per chissà cosa. Il voto di domenica e lunedì ha spazzato via tutto come un foglio di carta stropicciato e ingiallito. Quanto tempo è passato dai gazebo? Poco più di due mesi e oggi sembrano un’eternità. Un’altra era politica. Sia chiaro. La Sicilia, o Palermo, non sono mai state laboratorio di nulla. Ogni accadimento elettorale e politico regionale presenta risvolti che sono molto più locali di quanto si è portati a credere. Però, se c’è un dato di novità, in questi ultimi anni, non è affatto il cambio di maggioranza all’ARS, che è stato venduto come la quintessenza dell’abilità strategica, e invece è l’eterno levati tu che mi ci metto io, ma proprio questo voto di Palermo. Che non è il risultato del lavorio del ceto politico, che impasta la farina della politica come meglio crede, ma la volontà del popolo che va al voto. Quello di cui il PD ha avuto evidentemente paura a livello regionale, e probabilmente a ragione, visti i risultati del capoluogo, rimandando sine die l’appuntamento con i seggi, che ora gli viene imposto dal maturarsi di altri eventi. Nel capoluogo si scioglie il centrodestra. Non è una sorpresa. Che le tre candidature su cui si è spalmato il quadro politico che aveva vinto a Palermo nel 2007 erano una più debole dell’altra, era risaputo sin dalla vigilia. Ora se le danno di santa ragione. Ma nessuno che rimetta il mandato. Tuttavia, il vero risultato inatteso, se proprio vogliamo essere obiettivi, è il responso che il corpo elettorale, a fronte della gioiosa e baldanzosa macchina da guerra che si era mossa, ha tributato a Fabrizio Ferrandelli. Neanche il 18 per cento e più di dodicimila voti in meno rispetto alle liste che lo sostenevano. Non solo questa candidatura non ha sfondato nell’elettorato meno interessato alla politica, ma non è riuscita neanche a convincere una bella fetta di votanti delle stesse liste che la sostenevano. E c’è dell’altro in questo risultato. I vendoliani di Sinistra e Liberà, praticando un incomprensibile suicidio politico, non presentandosi con il proprio simbolo, anche in questo caso ancora niente dimissioni, sono sostanzialmente scomparsi da Palermo. Adesso c’è l’autocritica di Vendola, ma giunge quando i buoi sono scappati. Subito dopo il voto si è detto che Orlando avrebbe inciuciato prendendo i voti del centrodestra. Ma in una città che per dieci anni è stata la roccaforte del berlusconismo, e che in parte ancora lo è se andiamo a vedere bene le percentuali complessive delle liste, il consenso per vincere non poteva che venire dai palermitani che non vedono più nel centrodestra un punto di riferimento. Mica i voti si potevano importare da Bologna o da Perugia. Si dovrebbe anche dire dell’indecenza di uno spoglio che ha tempi, non diciamo europei, ma neanche mediorientali. Ma sparare sulla croce rossa non è elegante. Poi pare che adesso bisogna abbassare i toni.